TEDESCO, Francesco
– Nacque l’11 marzo 1853 ad Andretta (Avellino), ultimo degli undici figli di Emiddio e di Apollonia di Pietro.
A sei anni si ritrovò orfano del padre, morto nel 1859 all’età di 53 anni. La perdita del genitore accelerò la ridefinizione del profilo economico e sociale della famiglia con il passaggio dalla borghesia terriera a quella intellettuale, amministrativa e burocratica. Ne fu artefice soprattutto il fratello sacerdote, don Pietro Antonio, che da primogenito assunse la conduzione della famiglia: insieme ai fratelli maggiori, Michele Arcangelo e Giuseppe Maria, ampliò gli affari familiari nel campo delle esattorie comunali e, alla metà degli anni Ottanta, sulla scia della febbre bancaria che contagiò anche le più piccole comunità meridionali, fondò ad Andretta l’Agenzia del credito agrario. Allo stesso tempo si intensificò la presenza dei Tedesco nel campo della politica amministrativa locale, detenendo l’ufficio di segretario comunale, esercitato dal 1868 al 1876 prima da don Pietro e poi da Giuseppe Maria. Altrettanto duratura fu la permanenza di quest’ultimo nel Consiglio comunale di Andretta.
Le strategie di potere a livello locale si proiettarono sui percorsi formativi e professionali dei fratelli più giovani. Francesco studiò nel seminario diocesano di Nusco fino al 1867, passando l’anno successivo a quello di Bisaccia per perfezionare le sue conoscenze sotto la guida dello zio don Pietro Capaldo. Nel 1868 si trasferì a Napoli, dove completò in due anni gli studi liceali, conseguendo il diploma nel 1870. Successivamente si iscrisse alla facoltà di legge, nella quale si laureò nel 1873. Influenzato in particolare dagli studi di diritto amministrativo, impartiti nella facoltà napoletana da Federico Persico, Tedesco optò immediatamente per la carriera burocratica. Nello stesso anno della laurea vinse un concorso nel ministero delle Finanze e si trasferì a Roma. Nel 1874, con un ulteriore concorso, passò da funzionario nel ministero dei Lavori pubblici, ricoprendo incarichi di grande prestigio. Appena assunto entrò a far parte della segreteria particolare del ministro Silvio Spaventa, ruolo che mantenne quasi ininterrottamente con i successivi responsabili del dicastero fino alla sua elezione a deputato. Per le sue competenze in materia di infrastrutture fu scelto come segretario generale della commissione di inchiesta sui rapporti fra le società ferroviarie Mediterranea, Adriatica e Sicula; nel 1899 fu nominato ispettore generale delle Ferrovie del Regno, passando nel 1901 a gestire la direzione dei porti e fari fino a quando, nel 1902, divenne consigliere di Stato.
Di pari passo ai successi in campo professionale procedette la sua vita privata. Nel 1884 sposò la gentildonna spoletina Amelia Cordelli, dalla quale ebbe due figli: Enrico Emidio, nato nel febbraio del 1885 e morto ad appena un mese dalla nascita, e, nel 1887, Ettore, destinato a percorrere la carriera politica del padre.
La contiguità delle sue funzioni ministeriali con la sfera politica inevitabilmente lo condusse a varcare la soglia dei palazzi del potere. Ribadendo il forte legame con la terra di origine, nel 1891 fu eletto consigliere provinciale in Irpinia, carica che ricoprì ininterrottamente fino al 1920, assumendo nel 1907 anche la funzione di presidente dell’assise provinciale, in sostituzione di Michele Capozzi, il famoso ‘re Michele’, fino a quel momento deus ex machina della politica irpina. Fu il preludio all’ingresso nell’arena politica nazionale. Nel 1900 fu eletto deputato nel collegio irpino di Mirabella Eclano, confermato nel 1904, quando fu eletto contemporaneamente nel collegio abruzzese di Ortona a Mare, per il quale optò, su pressione di Giovanni Giolitti, dopo esservi stato destinato per contrastare l’ascesa dei radicali locali, confidando sulle sue competenze ministeriali in relazione all’annosa questione del porto di Ortona. Da allora e fino al 1921 l’Abruzzo fu la sua terra politica di adozione.
Pur ritrovando nelle traiettorie dell’uomo pubblico tratti largamente assimilabili al cursus honorum del notabilato in età liberale, va tuttavia rilevata la novità rappresentata dal peso delle competenze tecniche nella definizione del suo profilo. È stato infatti notato che «il neo eletto Tedesco, futuro ministro giolittiano, e già consigliere di stato e alto funzionario ministeriale, rappresenta un tipo più moderno di deputato, esperto di bilanci e di organizzazione amministrativa, lontano da una esperienza risorgimentale, naturalmente portato a secondare il nuovo corso giolittiano di una attività vista innanzitutto come amministrazione» (Barbagallo, 1980, p. 85). D’altra parte, come retaggio degli studi universitari, lo stesso Tedesco sostenne il primato dell’azione amministrativa rispetto all’attività parlamentare, nel contesto di una prolungata crisi delle istituzioni parlamentari di fine Ottocento che propose come caratteristica storica rilevante un diverso e meno subalterno rapporto tra politica e amministrazione (cfr. Cassese, 1981, pp. 479-481).
Nel suo Codice dei lavori pubblici del 1888 non nascose una strisciante vena antiparlamentaristica, accusando il legislatore di aver costruito «un labirinto amministrativo» (parte II, Disposizioni generali, p. 28) che in nome di una presunta uniformità di intervento su scala nazionale aveva generato una totale paralisi delle attività di governo.
Tale convinzione portò Tedesco a rivalutare, come testimonia la sua assidua e fattiva presenza nel Consiglio provinciale irpino, il ruolo delle autonomie locali nell’ordinamento statale e, pur senza aderire al filone meridionalista e alle istanze della rappresentanza meridionale in Parlamento, lo rese convinto assertore delle leggi speciali per il Mezzogiorno e di una specifica politica di infrastrutturazione (ampliamento della rete ferroviaria, acquedotto pugliese) che caratterizzò l’azione dei primi governi giolittiani. Il suo meridionalismo concreto, come espressione di un riformismo essenzialmente tecnocratico, lo portò alla convinta adesione al giolittismo, intessendo con Giolitti un rapporto di inalterata fiducia, come riconobbe lo stesso statista piemontese in una corrispondenza del 1905: «Ti assicuro che non dimenticherò mai le prove di amicizia che costantemente mi hai dato nel tempo che ti ebbi a collega. L’accordo tra noi non poteva essere più completo e così abbiamo potuto risolvere problemi non facili e rendere alle tue province del mezzogiorno dei servizi che non saranno dimenticati» (lettera di Giolitti a Tedesco, 18 marzo 1905, cit. in Tedesco, in Francesco Tedesco..., 2007, p. 83).
I contenuti della lettera descrivono una relazione tra Giolitti e Tedesco improntata a una lealtà che scaturiva da una comune visione sull’efficacia e gli scopi dell’intervento pubblico. Era scontato, per il suo cursus burocratico e politico, che Tedesco entrasse nelle compagini governative ricoprendovi cariche di assoluto prestigio. Dal 1903 al 1906 fu ministro dei Lavori pubblici, prima con Giolitti e poi con Alessandro Fortis; dopo un intermezzo come presidente della Giunta generale del bilancio (1906-09), fu titolare del dicastero del Tesoro (1910-14). Con la guerra seguì il declino di Giolitti, ma rientrò nel 1919 nel governo Nitti come ministro delle Finanze, da cui si dimise l’anno successivo per motivi di salute.
Alla sua opera da ministro si devono importanti provvedimenti, che non sempre recarono il suo nome, che è invece legato, in particolare, alla statizzazione delle ferrovie. Fin dai tempi della sua partecipazione alla commissione di inchiesta sul personale ferroviario (1896-99), Tedesco aveva maturato un giudizio assai critico sulle società commissionarie, in particolare sulla Società italiana per le strade ferrate meridionali, fondata nel 1862 da Pietro Bastogi e diretta da Secondo Borgnini. Tali giudizi trovarono conferma, allo scadere delle convenzioni, nel 1905, nella richiesta delle società private di un maggiore sostegno finanziario da parte dello Stato, usando come arma di pressione il rallentamento degli investimenti in grado di sostenere il raddoppio del traffico ferroviario di uomini e merci e, di conseguenza, il mantenimento di alti costi dei noli. Il braccio di ferro coagulò un vasto fronte di operatori economici e commerciali favorevoli alla gestione pubblica del sistema ferroviario nazionale. Ciò nonostante, l’iter di nazionalizzazione procedette con difficoltà, soprattutto per i tentennamenti di Giolitti tanto sul versante delle trattative con le società di gestione, quanto su quello dell’adozione di forme più limitative delle libertà sindacali dei ferrovieri. Pur di non affrontare personalmente questo difficile passaggio, Giolitti preferì lasciare il posto di presidente del Consiglio a un suo sodale, Alessandro Fortis, garantendosi allo stesso tempo la permanenza di Tedesco nel governo, nonostante la sua avversione per gli indirizzi più morbidi assunti dalla nuova compagine governativa. Alla fine il provvedimento di nazionalizzazione delle ferrovie passò il 22 aprile 1905, ma a firma del suo momentaneo sostituto al dicastero dei Lavori pubblici, Carlo Ferraris, con la palese opposizione dell’irpino contro la più compiacente politica di liquidazione in favore delle società e, in particolare, del lauto riscatto alla Meridionali. Tuttavia, pur scontando l’acquiescenza ai disegni politici di Giolitti, il contributo di Tedesco rimase fondamentale nella transizione da una struttura di gestione privata a una pubblica del sistema ferroviario nazionale. A lui si può attribuire la scelta di organizzare il servizio attraverso l’istituzione di un’azienda autonoma, ovvero una forma di tecnostruttura con un’ampia autonomia finanziaria, largamente sganciata dal potere politico, sebbene sottoposta all’‘alta sorveglianza’ del ministro dei Lavori pubblici.
La prima esperienza di intervento pubblico, realizzato mediante un’impresa operante nel campo della produzione di beni e servizi, rispondeva coerentemente agli assunti sostenuti da Tedesco sul primato della tecnica di gestione rispetto alla politica. L’amministrazione ferroviaria costituì, in definitiva, un laboratorio nel quale vennero sperimentati innovativi modelli di funzionamento e assetti organizzativi improntati all’efficienza e all’economicità.
Animato dagli stessi principi, Tedesco attese al lavoro nel campo della finanza pubblica. Come responsabile della politica finanziaria e fiscale uscì dal mainstream liberale della finanza neutrale, cercando di introdurre elementi e concetti tipici della finanza pubblica funzionale alla politica economica complessiva, senza però perdere di vista il necessario rigore nella gestione della contabilità nazionale, ma destinando quote crescenti degli attivi di bilancio a vantaggio di iniziative pubbliche nel Mezzogiorno. La sua impronta si avvertì in modo specifico nel campo della politica tributaria, con la Riforma generale delle imposte dirette sui redditi e sui tributi locali (r.d. 24 novembre 1919 n. 2162). Con tale provvedimento – proseguendo sulla strada dei suoi predecessori Giolitti, Francesco Saverio Nitti e Filippo Meda – Tedesco introdusse un processo di semplificazione dell’impianto tributario su base progressiva e personale, incentrato sull’imposta normale sul reddito e sull’imposta complementare sul reddito complessivo. Il riordino della fiscalità pubblica avrebbe dovuto rappresentare il primo passo per un assai più pervasivo intervento nel campo finanziario. Purtroppo i problemi di salute, che di lì a poco gli avrebbero imposto le dimissioni da ministro del governo Nitti, non gli permisero di proseguire nel lavoro avviato.
Morì a Roma il 9 maggio 1921 e i funerali furono celebrati nella basilica di S. Maria degli Angeli.
Le commemorazioni ufficiali testimoniarono il prestigio dell’uomo politico e il ruolo di primo piano ricoperto nel corso dell’età giolittiana. A ricordarlo in Senato, il 13 giugno 1921, intervenne tra gli altri Benedetto Croce, mentre nella successiva commemorazione alla Camera dei deputati, tenutasi il 20 giugno, presero tra gli altri la parola Enrico De Nicola, il conterraneo avvocato Alfonso Rubilli e lo stesso Giovanni Giolitti, che richiamò come sue doti fondamentali «non solo l’altezza del suo ingegno, ma la bontà del suo carattere, la sua rettitudine indiscussa» (Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, XXVI Legislatura, I sessione, Discussioni, tornata del 20 giugno 1921, p. 26). Pur in una posizione più defilata ed estemporanea, il testimone fu raccolto dal figlio Ettore (1887-1969), deputato per una sola legislatura (1919-21) e consigliere provinciale in Irpinia (1914-19), legato per la comune matrice radicale a Rubilli, di cui sostenne la candidatura al Parlamento nell’elezione del 1913, nonché a Guido Dorso. Più lunga e fortunata la carriera della nipote Giglia Tedesco (1926-2007), all’interno del Partito comunista italiano (PCI), al quale aveva aderito nel 1945 e di cui fu senatrice dal 1968 al 1994. Sposata con Antonio Tatò, segretario particolare di Enrico Berlinguer, nel 1993, con lo scioglimento del PCI, fu eletta presidente del Partito democratico della sinistra.
Opere. Codice dei Lavori pubblici, Firenze 1888; Quattro anni di finanza, Roma 1914.
Fonti e Bibl.: A. Acocella, L’ingegno, le virtù e le opere di F. T., Napoli 1922; P. Rizzo, Una coscienza e un carattere. F. T. eminente statista irpino, in Economia irpina, 1962, n. 9-10, pp. 7-18; A. Papa, Classe politica e intervento pubblico nell’età giolittiana. La nazionalizzazione delle ferrovie, Napoli 1973; P. Frascani, Politica economica e finanza pubblica in Italia nel primo dopoguerra (1918-1922), Napoli 1975; F. Barbagallo, Stato, Parlamento e lotte polito-sociali nel Mezzogiorno (1900-1914), Napoli 1980; S. Cassese, Giolittismo e burocrazia nella ‘cultura delle riviste’, in Storia d’Italia, Annali, IV, Intellettuali e potere, Torino 1981, ad ind.; C. Valentino, Il comune popolare e l’origine del partito socialista in Avellino (1900-1913), in Annali del Centro Guido Dorso, I (1984), pp. 137-161; R. Colapietra, Tra notabilato provinciale e riformismo tecnocratico in età giolittiana: F. T. deputato di Ortona 1904-1921, in Rassegna storica del Risorgimento, 1997, n. 2, pp. 240-259; A.M. Riviello, Ho imparato tre cose. Conversazione con Giglia Tedesco, Rionero in Vulture 2006; F. T. e la vita politica nell’età giolittiana, a cura di N. Di Guglielmo, Avellino 2007 (in partic. G. Acocella, F. T. e la cultura politica del suo tempo, pp. 13-40; V. Tedesco, F. T. ministro e parlamentare: il senso dello stato e della società, pp. 59-94; A. Amatucci, La politica finanziaria di F. T., pp. 131-144; N. Di Guglielmo, Profilo biografico di F. T.: contesto familiare e vita civile, pp. 145-210).