STELLA, Francesco
– Vissuto nel XVI secolo e originario forse di Portobuffolè, era medico, ma manca ogni altro dato anagrafico.
Fu in buoni rapporti con alcune delle figure più rilevanti del movimento di riforma religiosa nella Repubblica di Venezia: il vescovo Andrea Centani, il vescovo Pier Paolo Vergerio (tanto che questi si firmava copertamente con il nome di Stella), Baldassarre Altieri, Andrea Arrivabene, pre Lucio Paolo Rosello, Girolamo Amalteo, medico a Serravalle. Aveva una casa a Portobuffolè e veniva ospitato a Venezia da più persone. Nella casa di Giovanni Giacomo Sforza a S. Samuele abitava nella parte occupata da Francesco Argenta e teneva con sé la moglie di questi, che non voleva più tornare dal marito.
Il processo dell’Inquisizione cominciò a Venezia il 16 novembre 1549 con una denuncia anonima, che rivelava l’adesione di Stella all’eresia luterana, il possesso e la distribuzione di libri proibiti e la presenza di molte lettere di diversi eretici, specie di Vergerio. I tre deputati contro gli eretici decisero il sequestro dei libri, eseguito dal procuratore fiscale e dal capitano Pasqualino Masarachi con i fanti dell’Inquisizione, mentre l’auditore del nunzio stese l’inventario. I libri trovati nelle bisacce, diciotto, li aveva portati un bolognese, quelli contenuti in una grande cassa, una quarantina, appartenevano a Stella. Si nota un grande interesse per la Sacra Scrittura e per la teologia protestante: un terzo erano commentari del Nuovo Testamento (Heinrich Bullinger, Johannes Oecolampadius, Johann Draconites, Martin Dorpius, Sebastian Meyer) o raccolte di passi biblici (Erasmo Sarcerio, Otto Brunfels), i più editi a Basilea e Zurigo, con l’Exhortatio ad studium evangelicae lectionis di Erasmo. Un terzo trattavano questioni teologiche (Lutero, Melantone, Vadian) e i rimanenti erano opere dei riformatori italiani Bernardino Ochino, Giulio da Milano, Vergerio, Celio Secondo Curione, la Tragedia del libero arbitrio di Francesco Negri e un libro di Lorenzo Valla. Furono interrogati tre testimoni, i tre deputati contro gli eretici disposero la citazione dell’imputato a S. Marco e Rialto, eseguita il 3 e 4 dicembre, e a Portobuffolè il 14.
Stella non si presentò, con una scelta avveduta che gli permise di non essere interrogato sui libri e sulle idee religiose, evitando così un esame potenzialmente pericoloso. Venne condannato in contumacia il 2 gennaio 1550 al pagamento di 50 ducati di multa per il possesso di libri proibiti, secondo la norma del Consiglio di dieci del 17 marzo 1547 e i giudici disposero che i libri fossero bruciati pubblicamente in piazza S. Marco.
A Venezia c’era un catalogo dei libri proibiti, preparato dall’inquisitore su richiesta del nunzio e pubblicato tra il 18 e il 25 maggio 1549. La sentenza fu pronunciata dai deputati contro gli eretici senza la partecipazione dei giudici ecclesiastici. Si passò cioè dalla competenza ecclesiastica a quella statale. Questa procedura era anomala per l’Inquisizione, ma fu applicata in altre tre cause concernenti libri proibiti, mentre in due casi i deputati agirono assieme ai giudici ecclesiastici.
Le pendenze economiche di Stella vennero subito saldate il 14 gennaio 1550 da Valentino Breda da Ceneda e da Girolamo Massara, cugino di Stella, che ritirò le robe, le lettere e gli scritti ad lites sequestrati. Il 16 gennaio si presentò ai deputati pre Anastasio Zordan, che aveva fatto la denuncia anonima e richiese i 50 ducati previsti, ma i deputati glieli rifiutarono perché vi aveva rinunciato durante la denuncia e gli concessero solo dodici ducati come dono. Dei rimanenti ducati, venti furono dati all’inquisitore, dodici al procuratore fiscale, due al capitano, tre ai due fanti, uno a pre Alvise Scortega, messo del nunzio, in servizio al S. Uffizio.
Non ci sono notizie su Valentino Breda, ma il nome di Girolamo Massara è significativo: era un calzolaio molto ricco di Porcia e faceva parte di un gruppo di artigiani che aderivano alle dottrine della Riforma e ruotavano attorno ad Antonio «de l’oio», cognato di pre Lucio Paolo Rosello. Questo prete molto colto era stato parroco di Maron di Brugnera dal 1532 al 26 ottobre 1548, quando aveva lasciato il ricco beneficio e si era trasferito a Venezia per pubblicare libri che parlavano copertamente della Riforma, in stretto contatto con uomini importanti del movimento di rinnovamento religioso, tra cui lo stesso Stella.
Le dottrine della Riforma credute da Stella emergono da due denunce anonime, una del gennaio 1553, l’altra non databile. Egli criticava il culto dei santi, il sacrificio della messa, le norme del digiuno e dell’astinenza, la presenza reale di Cristo nell’eucarestia, l’estrema unzione, non voleva sentir nominare la Madonna, negava i sacramenti, eccetto il battesimo, sosteneva che il papa era l’anticristo e la Chiesa romana la chiesa del diavolo. A Portobuffolè c’era un’altra persona che aderiva alle idee della Riforma, il notaio Francesco Pirochin, che verso il 1541 aveva ospitato pre Lucio Paolo Rosello. Le lettere sequestrate a Stella sono per la maggior parte di Giovanni Osimano, un prete di Viterbo che seguiva le idee della Riforma ed era stato condannato a dieci anni di remi sulle galere da un tribunale statale veneziano. Egli implorò accoratamente Stella di intervenire in suo aiuto per liberarlo da una condizione terribile, fino a quando la sua galera salpò con la flotta e Osimano scrisse l’ultima disperata lettera da Corfù.
Nel maggio del 1558 il cardinale inquisitore Michele Ghislieri chiese l’arresto di Stella alle autorità veneziane, non si sa come mai, ma probabilmente in seguito alle deposizioni del vescovo Centani sotto processo a Roma. Il 27 maggio il Consiglio di dieci non riuscì a stabilire se concedere l’arresto o anche l’estradizione, ma decise in quest’ultimo senso il 4 giugno e lo comunicò con lettere segrete ai podestà di Treviso e di Portobuffolè perché provvedessero all’arresto. Il cardinale Ghislieri apprese la notizia con grande piacere l’11 giugno. Stella risultò tuttavia irreperibile. Si era rifugiato infatti a Gorizia, sotto il dominio degli Asburgo, dove l’Inquisizione non poteva intervenire.
Venne tuttavia arrestato dal luogotenente della città, su ordine dell’imperatore, che era stato a sua volta sollecitato dal cardinale di Augsburg Otto von Waldburg. Roma sfruttò in questo caso i contatti tra le massime autorità per ottenere quello che in Italia veniva richiesto attraverso i canali ordinari. L’imputato venne quindi consegnato al luogotenente di Udine, che il 13 novembre 1559 lo fece portare al vescovo di Ceneda, diocesi originaria di Stella. Il giorno dopo il vescovo scrisse ai deputati sopra l’eresia chiedendo che ordinassero al podestà di Portobuffolè o a quello di Serravalle di assistere al processo, data l’assenza del podestà di Ceneda. Il Consiglio di dieci assegnò invece il compito al provveditore di Conegliano. Di questo processo non ci sono altre notizie. Il 6 aprile 1560 il Consiglio di dieci ordinò poi al rettore di Treviso di far trasportare l’imputato a Venezia sotto scorta armata, in modo che potesse essere estradato a Roma per via di Ravenna, avvertendo di tutto il nunzio apostolico. Lo stesso giorno fu informato l’ambasciatore a Roma, perché comunicasse la notizia al papa.
Stella arrivò a Roma e le striminzite note dei Decreta Sancti Officii ci permettono di seguire superficialmente l’iter della sua causa. Nella seduta plenaria della Congregazione del S. Uffizio il 31 luglio 1561 venne letto il suo processo. Il 21 aprile 1562 venne letta una supplica dell’imputato e si stabilì che venisse interrogato più diligentemente e che producesse una fideiussione di mille ducati, un valore altissimo, per ottenere come carcere il palazzo del S. Uffizio. La stessa decisione venne ripresa l’8 maggio, mentre il 2 giugno i cardinali stabilirono che Stella fosse torturato ad arbitrio del commissario. Il 7 luglio fu riproposta la causa, ma non venne presa alcuna decisione. Il 14 luglio si permise a fra Girolamo, socio del commissario, di concedere a Stella alcuni libri. Infine, il 24 agosto si decise che la causa venisse conclusa dal commissario generale assieme a quelle di Filippo Felicetta e fra Desiderio, agostiniano. Quindi il 2 settembre si ordinò che Stella non si allontanasse dalla città, sotto pena di mille scudi d’oro. L’imputato si era nel frattempo ammalato e il 6 ottobre gli venne assegnata una camera con il caminetto. L’ultima decisione della Congregazione fu presa il 4 gennaio 1563, quando risulta che Stella aveva dato la fideiussione e fu quindi eseguito il decreto di scarcerazione.
Dopo questa data non si ha alcuna notizia sul suo conto.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Santo Uffcio, bb. 7, fasc. 1549. Contra Franciscum Stella; 158, libro quarto, c. 93rv; Consiglio di dieci, Comune, reg. 24, cc. 57v, 94r; Secrete, reg. 6, c. 192r; Capi del Consiglio di dieci, Lettere, filza 63, n. 88; Lettere secrete, filza 5, 4 e 10 giugno 1558; Dispacci di ambasciatori, Roma, b. 24, n. 77; Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, Decreta Sancti Officii, reg. 1559-1563, cc. 73v, 103v, 105v, 107r, 109rv, 113v, 114v, 117v.
V. Bellondi, Documenti e aneddoti di storia veneziana (1810-1854) tratti dall’Archivio de’ Frari, Firenze 1902, pp. 61-63; L. Perini, Ancora sul libraio-tipografo Pietro Perna e su alcune figure di eretici italiani in rapporto con lui negli anni 1549-1555, in Nuova rivista storica, LI (1967), pp. 392-394; A. Del Col, Eterodossia e cultura fra gli artigiani di Porcia nel secolo XVI, in Il Noncello, XLVI (1978), pp. 21-23; Id., Lucio Paolo Rosello e la vita religiosa veneziana verso la metà del secolo XVI, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XXXII (1978), pp. 424-428; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino 1987, pp. 323, 329 s., 336; A. Del Col, Organizzazione, composizione e giurisdizione dei tribunali dell’Inquisizione romana nella repubblica di Venezia (1500-1550), in Critica storica, XXV (1988), pp. 274 s.; Id., L’Inquisizione nel patriarcato e diocesi di Aquileia, 1557-1559, Trieste-Montereale Valcellina 1998, pp. CLVII, CLXIV; L. Perini, La vita e i tempi di Pietro Perna, Roma 2002, p. 74; R.A. Pierce, Pier Paolo Vergerio the Propagandist, Roma 2003, pp. 43, 70, 76, 79, 103 s., 111, 117, 120 s., 124, 172; A. Del Col, Un territorio sotto l’Inquisizione. Conegliano e la diocesi di Ceneda nel Cinquecento, in Un Cinquecento inquieto. Da Cima da Conegliano al rogo di Riccardo Perucolo (catal., Conegliano), a cura di G. Romanelli - G. Fossaluzza, Venezia 2014, pp. 49-63.