BARTOLOMEI, Francesco Stefano
Nato a Pergine (Trento), il 13 genn. dell'anno 1738, studiò nella locale scuola dei gesuiti, percorrendo il consueto corso di studi umanistici, ma formandosi soprattutto sul classico manuale teologico del Genovesi e sulle altre opere filosofiche dello scrittore meridionale, sulla Logica del Condillac e sugli scritti del Mabillon: dimenticò così - come scrisse poi - "le categorie di Aristotile e il sistema teologico dei tomisti", rivolgendosi con più entusiasmo agli studi di fisica e di storia naturale, e, sulle orme del padre, di numismatica e di lapidaria. Seguì poi, sempre a Trento, le lezioni di diritto.
Passò verso il 1760 a Mantova, a far pratica legale presso un avvocato. Il padre, contro le sue inclinazioni, voleva indirizzarlo alla carriera ecclesiastica e, in corrispondenza col Firmian, fece trasferire il figlio a Milano nel 1763, affinché si presentasse al potente uomo di stato. Al B., accolto cordialmente, il Firmian fece balenare la possibilità d'una sicura e agiata sistemazione, ma egli, per niente incline a una vita di tranquillo prelato, se ne tornò a Pergine: la decisione gli costò l'esclusione dall'eredità del padre, che gli lasciò solo un piccolo fondo capace di garantirgli un modesto sussidio. Nel 1764, dopo aver studiato per quasi un decennio giurisprudenza, con particolare riguardo a quella trentina, il B. intraprese la carriera di avvocato.
Nel 1763, frattanto, si era sposato. Rimasto vacante il vicariato di Pergine, riuscì nel 1766 ad essere eletto a quella carica, nonostante una vivace opposizione del cancelliere di corte presso il principe vescovo: il B. era già noto per lo spirito inquieto e per le libere idee. La posizione ufficiale gli diede modo di trascorrere con più tranquillità, la propria esistenza e di volgere le sue mire alla carriera dell'insegnamento.
Fu spesso, fino al 1767, il sostituto del Pilati sulla cattedra di diritto civile a Trento, ottenuta dall'illuminista trentino nel 1763, ma sovente disertata per la sua irrequietezza e i continui viaggi; tra i due uomini si stabilì una sincera amicizia e il B. fu dominato sempre, in seguito, dall'esempio di libero pensiero e di coraggiosa vita del Pilati e da una forte ammirazione per lui: ma, se ne fu un discepolo fedele e convinto, certo non seppe arrivare alla forte coscienza civile e morale del suo conterraneo e finì per far convivere in difficile equilibrio i suoi ideali di uomo libero e spregiudicato con la routine di professore, funzionario e uomo di cultura del vecchio regime.
Vinta nel 1774 la cattedra di istituzioni civili, la mantenne fino al 1778, conservando tuttavia sempre il vicariato di Pergine. Molte furono le vicende scabrose provocate in questi anni dal suo spirito poco ortodosso, sino al punto che si manovrò per privarlo della cattedra. Disgustato da questi continui incidenti e dalle calunnie, saputo alla fine del 1778 che il collegio dei riformatori dell'università di Ferrara aveva bandito un concorso per una cattedra di diritto pubblico, vi partecipò, e riuscì a conquistare l'ambita vittoria, grazie anche alle conimendatizie del principe vescovo.
Ma il B. non era destinato a una vita universitaria tranquilla. Le stesse libertà intellettuali nella lettura e nel commento dei testi giuridici che gli avevano sollevato contro l'ambiente trentino favorirono l'invidia e le calunnie che la sua vittoria a Ferrara aveva provocato; per reclami tendenti a invalidare la sua nomina, il papa si vide costretto a sospendere il corso e solo dopo faticose manovre il B. riuscì ad avere partita vinta. Rimase in quell'università sette anni, sino al 1785, ma non vennero mai meno le menzogne e le accuse che gli amareggiarono la vita e contribuirono a tenerlo sempre in un fastidioso allarme; furono messe in dubbio la sua fede cattolica e l'ortodossia delle sue letture, e l'Inquisizione lo accusò formalmente di recare scandalo ai discepoli.
Nel 1785 non ne volle più sapere, anche se gli era giunta la conferma dell'incarico per altri tre anni. Aveva stampato a Venezia nel 1781 la sua prolusione ferrarese, De vitiis publicae educationis, e a Ferrara, nello stesso anno, un De iustis patriae potestatis finibus.
Due strade ugualmente vantaggiose gli erano aperte al momento della rinunzia alla cattedra ferrarese: da Trento gli era giunta la nomina a consigliere aulico del principe vescovo, e da Parma la corte gli aveva offerto di entrare come consigliere in uno dei Tribunali e il titolo di consigliere dell'infante duca. Il B. si recò a Parma con tutta la famiglia, sperando finalmente di trovare la tranquillità e a sicurezza economica; buone furono le accoglienze della corte, e intenso e fecondo il suo lavoro: ma le diffidenze e gli scandali erano i compagni della sua esistenza, e anche a Parma dovette subire affronti e malevolenze, amareggiato soprattutto per le continue e indebite intrusioni della corte negli affari della giustizia. Nel 1796, nonostante l'accusa corrente contro di lui che lo designava "giacobino", fu creato conte; ebbe poi a soffrire notevoli disagi durante l'occupazione francese, finendo in seguito per esser destituito dal Consiglio criminale e privato delle sue varie prebende.
Nell'estate del 1806, "defraudato, annoiato dalla solátudine, entrato nel set,tantesimo anno", decise di tornare in patria, col pretesto di un mese di permesso e con in tutto venti franchi di patrimonio, ché di più non gli permise il governo di portare con sé; da Pergine inviò a Parma le proprie dimissioni, sancendo così la propria incapacità di tipico uomo della vecchia generazione a convertire i propri ideali di libertà nella nuova dimensione politica creata dalla rivoluzione.
Neanche questa rinuncia, tuttavia, gli procurò la tranquillità: incorporata la regione natale nel Regno italico, il B. dovette accettare incarichi assai pesanti nella Corte di giustizia di Trento: polemiche avvocatesche con Antonio Mazzetti e Francesco Barbacovi arrivarono ai tristi estremi di libellì infamanti, che provocarono denunce, perquisizioni, minacce di prigione. Nel 1814 la famiglia, orinai residente a Gorizia, tentò di farlo trasferire in quella città, ma il clima nocivo alla sua salute lo costrinse a tornare a Pergine: provinciale d'ingegno e di carattere, pareva tenacemente ricacciato dal destino a vivere nella propria piccola patria, tra le beghe legali e le piccole battaglie locali.
Si diede ancora in vecchiaia agli studi eruditi, e, oltre ad alcuni opuscoli giuridici (tra gli altri il Saggio politico dell'apologia Barbacovi, Verona 1808, e un Nuovo metodo di difendere le cause cattive, Trento 1810), scrisse nel 1811 i Cenni intorno al carattere, ai costumi e le usanze del popolo perginese, pubblicati solo nel 1860 a Trento a cura del municipio di Pergine. Conobbe le patetiche incertezze delle palinodie senili e, come scriveva ormai ottantenne, consacrò "gli ultimi tratti della penna alla gloria di Dioc ma, in questo ritorno a un pensiero tradizionale, che del resto egli non aveva mai del tutto abbandonato, trovava anche consolazione personale alla propria tormentata vicenda terrena.
La morte lo colse, nella piccola città natale, il 9 ag. 1819.
Fonti e Bibl.: Fondamentale per la biografia e l'attività di scrittore del B. il fondo omonimo di manoscritti e carte personali conservato nella Biblioteca Civica di Trento, già in parte sfruttato ma ancora largamente utilizzabile, soprattutto per la ricostruzione dell'ambiente trentino dell'epoca; di particolare importanza in questo fondo la Lettera sopra le vicende della mia vita, scritta dal B. al Gaudenti nel 1816; un ricco epistolario, comprendente per il periodo tra il 1776 e il 1790 soprattutto lettere a Bartolomeo Galvagni, e per gli anni dopo il 1790 al Gaudenti, e infine molti scritti inediti, tra i quali il famoso ma poco notevole, in realtà, dal punto di vista storico, elogio del Pilati, che doveva uscire a Parma per i tipi del Bodoni e che fu impedito dalla censura per la fama di "luterano" in cui era il Bartolomei (cfr. Lettere al bar. Gaudenti sull'elogio inedito di C. A. Pilati, Trento 1884; si tratta di un opuscolo per nozze che pubblica alcune lettere del B. sull'episodio).
Una lettera del B. al Bodoni da Ferrara, 10 marzo 1779, è conservata nel Carteggio Bodoniano della Biblioteca Palatina di Parma (cfr. A. Bosefli, Il carteggio bodoniano della Palatina di Parina, in Arch. stor. per le prov. parmensi, n.s., XIII [1913], p. 173). G. A. Grammatica ha pubblicato per nozze a Trento nel 1861 alcune Lettere scelte (1811-1818), tolte dal fondo trentino già ricordato, e dallo stesso fondo fu tratto per le stampe l'opuscolo, scritto nel 1796 dal B., Pensieri sopra l'educaz. delle fanciulle Per la nazione genovese, Bergamo 1886.
Scarsa ma diligente la bibl.: Arch. Trentino, II I ( 1884), p. 128; V (1886), p. 278 (recensioni); F. Ambrosi, Scritt. ed artisti trentini, Trento 1894, pp. 112 ss.; Mem. dell'I. R. Accad. di Scienze, Lettere ed Arti in Rovereto, Rovereto 1901, pp. 562-64; F. Menestrina, G. D. Romagnosi a Trento (1791-1802), in Tridentum, XI (1908), pp. 149 s. (una nota sui suoi rapporti con il Barbacovi, che gli fu acerrimo nemico); M. Rigatti, Un illuminista trentino del secolo XVIII, Carlo Antonio Pilati, Firenze 1923, pp. 16 s., 74, 76, 95, 182; G. Costa, Dagli scritti di F. S. B. di Pergine (1738-1819), in Studi trentini, VII (1926), cl. 1, pp. 1-31; Id., Tra le figure dell'illuminismo trentino: F. S. B. di Pergine, ibid, pp. 147-71.