SQUARCIONE, Francesco
Pittore padovano, vissuto dal 1397 al 1468. "Sartus et recamator" fino a trentadue anni; poi raccoglitore di anticaglie e soprattutto appaltatore di lavori pittorici, che eseguiva talvolta da sé, ma più spesso faceva eseguire dagli scolari, a cui pretendeva, forse sinceramente, d'insegnare la pittura rinnovata, secondo le leggi di una dubbia e rudimentale "isomatria" (prospettiva). Viaggiò, forse, parte d'Italia, raccogliendo cose che potessero servire di modello ai suoi scolari e di commercio antiquario per sé; non pare sia arrivato, secondo si vantava, in Grecia. Già esaltato come iniziatore e caposcuola della grande pittura padovana del Quattrocento e come maestro di Andrea Mantegna, sembra invece, nel suo polittico per casa Lazzara con San Girolamo (1449-1452; Museo civico di Padova), ancora legato alla tradizione gotica; dagli esempî dei grandi Toscani, nel Veneto al tempo suo, così vitali per il Mantegna, non seppe trarre che qualche elemento dei meno sostanziali; da Donatello e più da Filippo Lippi l'idea compositiva della Madonna di Berlino (la quale tuttavia spetta in massima parte allo Schiavone); da Andrea del Castagno forse e dallo stesso Donatello un certo frastagliamento nelle pieghe dei panneggi del polittico Lazzara, travisato però al tutto in senso gotico; nessun'altra pittura è rimasta, che gli si possa nemmeno parzialmente assegnare.
Se come artista fu appena mediocre, ebbe una certa abilità nel risvegliare, o almeno nel riconoscere, le giovani energie; e nel nutrire entusiasmi umanistici e prospettici. Ma la sua pretesa di far sempre il maestro e la sua avidità di guadagni gli alienarono gli artisti della nuova generazione, specialmente il Mantegna, che l'accusò apertamente di sfruttarne il lavoro. Per la sua bottega passarono, oltre al Mantegna, Dario da Treviso, Marco Zoppo e Gregorio Schiavone, e per ultimo quel maestro Angelo, che più decisamente gli si ribellò (1465). Figura caratteristica ed energica: antiquario tra i primi; precoce fondatore di un'accademia, armeggiò tutta la vita in una varia ma mediocre attività, disordinata, invidiosa, attaccabrighe, che gli dovette lasciare assai poco tempo per l'arte.
Bibl.: A. Venturi, Storia dell'arte ital., VIII, iii, Milano 1914, p. 9 segg.; G. Fiocco, L'arte di A. Mantegna, Bologna 1927, p. 115 segg.; E. Rigoni, Nuovi docum. sul Mantegna, in Atti del R. Istituto veneto, LXXXVII (1927-28), parte 2ª; Riv. d'Arte, XVIII (1936), p. 107.