SPINACINO, Francesco.
– Non si possiede alcuna notizia circa luogo e data di nascita, famiglia di origine, luogo e data di morte.
La sua biografia, da collocare tra la fine del Quattro e l’inizio del Cinquecento, si compendia in toto nei due libri di musica pubblicati sotto il suo nome nel 1507: Intabulatura de lauto Libro primo e Intabulatura de lauto Libro secondo, stampati in Venezia da Ottaviano Petrucci; il primo libro reca la data «iii. Calendas Martias [...] M.D.VII.», il secondo «Die ultimo Martij 1507». Di entrambi rimane un solo esemplare, conservato nella Biblioteca Jagellonica di Cracovia (olim Berlino; facsimile a cura di F. Lesure, Genève 1978; cfr. anche http://ricercar.cesr. univ-tours.fr/3-programmes/EMN/luth/ pages/ notice.asp?numnotice=2; altre copie erano presenti nelle biblioteche cinquecentesche di Fernando Colombo a Siviglia e Johann Heinrich Herwart ad Augusta).
L’intavolatura era un sistema notazionale di tipo pratico-prescrittivo, che indicava la posizione della mano e delle dita sulla tastiera del liuto, mediante un sistema di numeri sovrapposti a un esagramma (sei righi, corrispondenti ai sei ‘cori’ del liuto, ossia i sei ordini di corde appaiate). La scansione ritmica è dettata dalle code stilizzate delle note, collocate al di sopra dei numeri. In genere si trascrivevano in intavolatura brani vocali già noti, ridotti per poter essere suonati, ma anche composizioni concepite specificamente per il liuto.
In apertura del Libro primo, accanto al sommario del contenuto, figura un epigramma «in laudem Francisci Spinacini» stilato da «Christophorus Pierius Gigas Forosemproniensis». In un atto del Consiglio municipale di Fossombrone risalente al 1514 questo Cristoforo Gigante viene qualificato come «magist[er] ludi litterarj» (Boorman, 2006, p. 1149, n. 14c). L’epigramma, in sei soli versi, gioca a tre riprese sulla parola «spina», con evidente allusione al nome dell’autore ma forse anche al plettro, la piccola lamina usata per pizzicare i ‘cori’ del liuto. La provenienza forsempronese tanto di Gigante quanto dell’illustre stampatore della raccolta, Petrucci, ha fatto ipotizzare che anche Spinacino fosse loro concittadino (il cognome Spinaci è ancor oggi piuttosto diffuso nelle Marche). Alcuni elementi bibliografici lasciano effettivamente intravedere una relazione diretta tra Spinacino e Petrucci (ibid., p. 295). Entrambi i libri presentano correzioni a penna effettuate direttamente in stamperia prima della vendita, forse dall’autore stesso (pp. 648 s.), ed entrambi utilizzano capilettera ornati già usati da Petrucci per le sue edizioni di maggior spicco: ambedue gli elementi denotano la cura con cui vennero prodotti. Il Libro primo presenta solo intavolature di brani già pubblicati in precedenza da Petrucci (con un’unica eccezione); il Libro secondo viene stampato a ridosso del Primo, senza attendere il consueto riscontro commerciale. È possibile che sia stato proprio Spinacino a commissionare la stampa dei volumi, probabilmente concepiti come un dittico, e financo a sostenerne, almeno in parte, i costi.
L’abilità liutistica di Spinacino fu già riconosciuta all’epoca. Nel citato epigramma, Gigante lo compara a Orfeo, e nel poemetto Monte Parnaso, redatto tra il 1519 e il 1522, Filippo Oriolo da Bassano lo elenca tra i migliori liutisti: «... ecco una lunga schiera / di gente in vista altera e signorile / [...] / v’era Agnol Testa Grossa e Spinacino, / [...] / eravi ancor Francesco melanese / [...] / [...] giù tutti a sedere / posersi in cerchio con gli lor liuti» (Modena, Biblioteca Estense, ms. γ.B.6.21, cc. 60v-61r; Slim, 1965, pp. 141, 145 s.).
L’importanza storica di Spinacino risiede nella novità della sua proposta editoriale. I due libri di intavolature sono i più antichi a noi noti, e forse i primi in assoluto ad aver veduto la luce delle stampe. Essi presentano in apertura una «Regola per quelli che non sanno cantare», data anche in latino, che spiega come leggere l’intavolatura. Tale premessa venne poi riprodotta da Petrucci, sostanzialmente identica o con lievi modifiche, nei successivi libri di intavolature, di altri autori (Fabris, 1997).
Nel complesso le due raccolte presentano 81 brani, di cui 46 intavolature desunte per la maggior parte da chansons, ma anche da movimenti di messe, da mottetti, e da brani per ensemble strumentali, tutti dei maggiori autori del primo Rinascimento: Josquin des Prez, Heinrich Isaac, Antoine Brumel, Joannes Ockeghem, Jacob Obrecht, Alexander Agricola. Vi si aggiungono 27 recercari propri di Spinacino, sei pezzi per due liuti (ancora trascrizioni), e due bassedanze sul modulo denominato Il re di Spagna.
I modelli di partenza dei brani intavolati sono composizioni a tre o a quattro voci, di solito ridotte a tre da Spinacino, che in pochi casi mantiene integralmente la quarta voce o la fa emergere nei momenti più significativi (Schmidt, 1969, I, p. 18). L’elemento dell’originale da cui essi più si discostano è il ricamo delle linee melodiche: in modi più o meno esuberanti, Spinacino introduce note di passaggio, tirature, figure di ornamentazione, per mezzo delle quali le melodie, pensate in origine per voci cantanti o strumenti melodici, e dunque per valori ritmici piuttosto sobri e distesi, si arricchiscono di abbondanti fioriture, fatte di molte notine, perciò adeguate allo strumento a pizzico.
I recercari si differenziano dalle altre musiche intavolate, in quanto concepiti ex novo come pezzi per il liuto (Chiesa, 1973, II). Il termine ‘ricercare’ allude appunto al lavorio del compositore sul linguaggio idiomatico dello strumento. Destinati a essere vuoi accostati ad altri pezzi vuoi eseguiti indipendentemente, non presentano una struttura formale standardizzata e possono essere articolati in una o più sezioni. L’unità interna è garantita dall’uso di motivi ricorrenti, piccoli passaggi imitativi posti in sequenza, contrasti fra le varie densità sonore (Schmidt, 1969, I, p. 60). L’insistenza su talune specificità tecniche (nella diteggiatura, nei moti paralleli particolarmente estesi, negli accordi polifonici ecc.) ha fatto ipotizzare una funzione didattica dei recercari (in particolare il Recercare de tutti li toni, in cui le varie sezioni sono impostate su altezze differenti in modo da coprire tutta la gamma sonora disponibile; cfr. Slim, 1960, p. 236): ma la tesi non ha trovato validi elementi di conferma (Schmidt, 1969, I, p. 74). I recercari De tous bien e A Juli amours non sembrano avere alcun rapporto diretto con le intavolature per doppio liuto che recano le stesse diciture nelle due raccolte; la possibilità di un’esecuzione congiunta, per esempio in funzione di preludio, si scontra con le diverse altezze sonore su cui sono impostati rispettivamente i recercari e le intavolature. Tuttavia tali discrepanze non sono di per sé sufficienti a escludere una tale soluzione, attestata, ad esempio, in sillogi di autori seriori.
Le sei intavolature per due liuti – Juli amours, De tous biens, La Bernardina de Josquin, Je ne fay, Jay pris amours e Fortuna desperata (rispettivamente Libro primo, nn. 8, 9, 10, 11, 12, e Libro secondo, n. 29) – sono concepite a tre voci. Si tratta delle composizioni più singolari nei due Libri. Innanzitutto esse sono disposte in partitura, le due intavolature sono cioè sovrapposte verticalmente, in modo da consentirne la lettura sinottica. Le due voci inferiori sono affidate al secondo liuto, chiamato tenor, e ripropongono in modo quasi pedissequo il modello originale; la voce acuta, invece, destinata al primo liuto, presenta una particolarissima scrittura ornamentale, quantomai florida, che si muove diffusamente per tutta la tessitura dello strumento, sopra e sotto le altre voci: in qualche caso essa appare come un’elaborazione pervasiva della melodia originale, ma più spesso non mostra alcun legame con la fonte, bensì sembra relazionarsi esclusivamente con le due voci gravi (Schmidt, 1969, I, p. 24; Chiesa, 1973, III, pp. 24 s.).
Fonti e Bibl.: E.E. Lowinsky, The goddess Fortuna in music: with a special study of Josquin’s “Fortuna dun gran tempo”, in Musical Quarterly, XXIX (1943), pp. 45-77; H.C. Slim, The keyboard ricercar and fantasia in Italy c. 1500-1550, tesi di dottorato, Harvard University, Cambridge (Mass.) 1960; Id., Musicians on Parnassus, in Studies in the Renaissance, XII (1965), pp. 134-163; J.M. Ward, Parody technique in 16th-century instrumental music, in The commonwealth of music, in honor of Curt Sachs, a cura di G. Reese - R. Brandel, New York 1965, pp. 208-228; L. Nordstrom, Ornamentation of Flemish chansons as found in the lute duets of F. S., in Journal of the lute society of America, II (1969), pp. 1-5; H.L. Schmidt, The first printed lute books: F. S.’s “Intabulatura de Lauto, Libro primo” and “Libro secondo” (Venice: Petrucci, 1507), tesi di dottorato, University of North Carolina, Chapel Hill (N.C.) 1969; R. Meylan, La technique de transcription au luth de F. S., in Schweizer Beiträge zur Musikwissenschaft, I (1972), pp. 83-93; R. Chiesa, Storia della letteratura del liuto e della chitarra. Il Cinquecento, in Fronimo, I (1972), pp. 21-26, II (1973), pp. 11-15, III (1973), pp. 22-26; K. Underwood, The Renaissance lute in solo song and chamber ensemble: an examination of musical sources to ca. 1530, tesi di dottorato, Stanford University 1987; R.d’A. Jensen, The lute ricercar in Italy, 1507-1517, tesi di dottorato, University of California, Los Angeles 1988; P. Pozniack, Problems of tonality in the ricercars of S. and Bossinensis, in Journal of the lute society of America, XXIII (1990), pp. 63-79; D. Fabris, Lute tablature instructions in Italy: a survey of the “Regole” from 1507 to 1759, in Performance on lute, guitar and vihuela, a cura di V. Coelho, Cambridge 1997, pp. 16-46; Id., The origin of Italian lute tablature: Venice circa 1500 or Naples before Petrucci?, in Basler Jahrbuch für historische Musikpraxis, XXV (2001), pp. 143-158; L. Nordstrom, S., F., in Grove music online 2001, http:// www.oxfordmusiconline.com (6 ottobre 2018); S. Boorman, Ottaviano Petrucci: catalogue raisonné, New York 2006, pp. 294-296, 645-654, 1149.