SPIERA, Francesco
– Nacque nel 1498 da Nicolò e da Francesca di Zorzi Miazzo a Cittadella, vicino a Padova. La famiglia, antica e agiata, contò tra i suoi membri anche Bernardino Scardeone, ecclesiastico e storico.
Forse laureato a Padova, esercitò l’avvocatura con grande successo, accumulò un notevole patrimonio fondiario e prestigiosi incarichi pubblici. Da due matrimoni, con Caterina de Michaelibus e Onesta de Rubeis, ebbe undici figli. Nel 1523 venne eletto sindaco di Cittadella e nel 1536, come legale della città, la difese in una vertenza per le spese di acquartieramento dei soldati (Cittadella, Liber Consiliorum, b. II, 13 luglio 1536). Collaborò nella riforma del collegio notarile cittadino per volere dell’amico Pietro Speziale. Grazie a costui, maestro della scuola umanistica di Cittadella e propagandista protestante (anche con il suo De gratia Dei, 1542) sino alla condanna inquisitoriale nel 1543, Spiera aderì alla Riforma. Oltre che con la piccola comunità anabattistico-luterana raccolta intorno a Speziale e al maestro Agostino Tealdo ebbe probabili contatti con l’ambiente religioso eterodosso padovano. Alimentò la sua formazione la lettura della Bibbia e dei molti testi riformati circolanti a Cittadella, tra i quali il Beneficio di Cristo e il Sommario della Sacra Scrittura. Secondo una testimonianza processuale, tradusse diversi libri, ma è noto solo il suo volgarizzamento del Pater noster. Molto intensa e di grande successo fu la sua attività di proselitismo nella cerchia familiare (anche il figlio Camillo fu inquisito) e all’esterno, pure nelle campagne, nel clima di relativa tolleranza presente nella Repubblica di Venezia.
Con la stretta repressiva seguita al mutamento del quadro italiano ed europeo nel 1547, Spiera fu arrestato dall’Inquisizione veneziana il 5 novembre 1547 insieme con il nipote Girolamo Facio. Come risulta dagli atti processuali, la denuncia era tuttavia legata anche a ragioni politiche, data l’implicazione di Spiera nella violenta e duratura lotta tra le fazioni cittadine capeggiate dai Bigolini e dai Farfarello per i diritti di giuspatronato sulla chiesa dei Ss. Prosdocimo e Donato, in cui intervenne pure la Curia romana con la comminazione nel 1545 della scomunica e dell’interdetto. La nomina a procuratore legale cittadino del suo avversario e poi accusatore Antonio Francesco Cauzio aveva probabilmente comportato l’estromissione di Spiera dagli incarichi pubblici già da alcuni anni. Inizialmente Spiera respinse tutti i capi d’imputazione per i quali aveva pubblica fama di eretico: la negazione della dottrina eucaristica (in particolare della presenza reale di Cristo), del suffragio dei morti, del purgatorio, del culto dei santi, del valore salvifico delle opere, della confessione auricolare, dell’autorità del papa e dei prelati, la lettura, il possesso e la traduzione di libri proibiti, la frequentazione di Speziale, l’attività di propaganda, aggravata dal dileggio pubblico verso i riti cattolici (Archivio segreto Vaticano, Sant’Uffizio, Processi, b. 6, Spiera-Facio). Decise però poi di abiurare, forse per le pressioni familiari. Recitò l’atto in S. Marco a Venezia il 26 giugno e il 1° luglio 1548 lo ripeté a Cittadella alla fine della messa solenne; gli fu imposto altresì di acquistare un tabernacolo per il duomo cittadino e di far cantare una messa per il Corpus Domini.
Fu l’inizio della fine per Spiera. Lui, che aveva esortato alla massima fermezza nella fede i suoi proseliti, appena tornato a casa sprofondò in una insanabile disperazione a causa dell’abiura, giudicata un segno sicuro di dannazione eterna secondo la dottrina calvinista della predestinazione divina. È ignoto attraverso quali canali l’avesse appresa. Certo della vendetta divina a causa del peccato contro lo Spirito Santo, ebbe un’atroce agonia, durante la quale rifiutò cibo, cure, consolazioni e cercò di suicidarsi. Tentativi di salvarlo furono messi in atto sia da prestigiosi medici di Padova, dove era stato trasportato, sia da numerosissimi colleghi, dotti, amici, ecclesiastici, studenti anche forestieri accorsi al suo capezzale. Con gli astanti Spiera ebbe intense discussioni sulla predestinazione, la misericordia divina, la coerenza nella fede, le dottrine protestanti, l’aldilà (e lo psicopannichismo), con riferimento alla Bibbia, ma anche al pensiero di Pietro Pomponazzi.
Morì a Padova il 27 dicembre 1548, senza l’estrema unzione.
La sua tragica vicenda ebbe una vasta eco in Italia e in Europa sia durante il suo svolgimento sia dopo la sua conclusione, attraverso voci, lettere, testimonianze, relazioni di testimoni oculari, scritti. Queste narrazioni costituiscono la fonte principale della sua biografia. Il caso di Spiera divenne infatti centrale nel dibattito europeo sulla liceità della dissimulazione. Un problema allora cruciale e molto avvertito per le sue implicazioni sul piano dottrinale, istituzionale, ritualistico, soprattutto in Italia, dove il nicodemismo era molto diffuso a causa della repressione inquisitoriale.
Il dramma della coscienza spezzata di Spiera assunse così valore emblematico dei conflitti che laceravano la penisola e l’Europa. Dopo il tempestivo ed energico intervento di Calvino contro il nicodemismo con il De vitandis superstitionis (1549), l’ex vescovo di Capodistria Pietro Paolo Vergerio si impose come protagonista nel dibattito sul caso. Nel Francisci Spiera Civitatulani horrendus casus (1549) fornì un dettagliato resoconto della vicenda, cui aveva assistito, e una lettura in chiave anti-inquisitoriale, traendone giustificazione per il suo esilio Oltralpe; mutò posizione nel Catalogo de’ libri, edito a Poschiavo in quell’anno, dove dette anche conto dei resoconti della storia nelle varie lingue europee.
Al Casus collaborò Celio Secondo Curione che, nel 1550, insieme con Vergerio e Lelio Sozzini ne pubblicò un’edizione ampliata, la Francisci Spierae [...] historia, dal deciso taglio propagandistico e dall’interpretazione più sfaccettata, con il contributo di diversi teologi e testimoni oculari (Calvino, Curione, Vergerio, Martin Borrhaus, Matteo Gribaldi Mofa, Sigismondo Geloo, Henry Scrimger). Calvino ribadì la dottrina della predestinazione e la necessità della coerenza con la fede, ammonendo gli italiani a non «giocare con Dio» (p. A4v), ma nel complesso nell’opera prevalevano l’esaltazione della misericordia divina e la comprensione verso il dramma interiore dei deboli. Curione ne trasse altresì occasione per condannare tutti i poteri repressivi identificandoli con l’Anticristo.
Il caso assurse comunque a paradigma di visioni e comportamenti religiosi opposti. Nel 1549 Giulio Della Rovere dette alle stampe l’Esortazione al martirio, caposaldo della posizione antinicodemitica malgrado una certa tolleranza verso l’emigrazione, e nello stesso anno Geloo inviò in Germania la relazione di Gribaldi (Historia de quodam quem hostes Evangelii in Italia coegerunt abiicere agnitam veritatem) poi tradotta in tedesco e polacco. Nel 1550 vide la luce l’Epistola alli cittadini di Riva di Trento contro il mendatio di Francesco Spiera et falsa dottrina de’ protestanti di Giorgio Siculo, che legittimava la dissimulazione e sosteneva una concezione rivoluzionaria della salvezza universale basata su una nozione sostanzialmente etica del cristianesimo. Altre reazioni polemiche la vicenda ebbe a Wittenberg, in Inghilterra e nell’Europa orientale.
Fonti e Bibl.: Archivio segreto Vaticano, Sant’Uffizio, Processi, b. 6, Spiera-Facio; A.M. Cittadella, Liber Consiliorum, b. II, 1536; Archivio di Stato di Vicenza, Bassano del Grappa, Notai di Cittadella; E. Comba, F. S., episodio della Riforma religiosa in Italia, con aggiunta di documenti originali tratti dall’Archivio veneto del Sant’Ufficio, Roma-Firenze 1872; E. Zille, Gli eretici a Cittadella nel Cinquecento, Cittadella 1971; M.A. Overell, The exploitation of F. S., in The sixteenth century journal, XXVI (1995), pp. 619-637; D. Walker, Pier Paolo Vergerio (1498-1565) e il caso S. (1548), in Studi di teologia, X (1998), pp. 7-56 (con appendice di testi); A. Prosperi, L’eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000, pp. 108-131, 146-156, 201-203, 299-301, 303-307 e passim; S. Cavazza, Una vicenda europea. Vergerio e il caso S., 1548-49, in Per Adriano Prosperi, I, La fede degli italiani, a cura di G. Dall’Olio - A. Malena - P. Scaramella, Pisa 2011, pp. 41-51.