SOAVE, Francesco
(Gian Francesco). – Nacque a Lugano il 10 giugno 1743 da Carlo Giuseppe e da Chiara Francesca Herrick (Herrich).
Lì iniziò gli studi presso il collegio S. Antonio, retto dai padri somaschi; sedicenne, chiese di entrare nell’Ordine; vestì l’abito il 3 settembre 1759; venne quindi inviato a Milano, nel convento di S. Pietro in Monforte, per l’anno di noviziato, al termine del quale, il 10 settembre 1760, prese i voti, passando subito dopo a Pavia, nel collegio di S. Maiolo, dove trascorse due anni, compiendovi il corso filosofico (Stoppiglia, 1931, p. 279). Nell’ottobre del 1762 si trasferì a Roma, nel collegio Clementino, per gli studi teologici; oltre alla teologia e alle lettere classiche, studiò anche alcune lingue moderne: francese, tedesco, inglese e, forse, spagnolo ([Amoretti], 1806, p. 9). Nel maggio del 1764 venne elevato al suddiaconato. Durante il soggiorno romano tradusse le Bucoliche e le Georgiche di Virgilio (Roma 1765; ristampa con modifiche e aggiunta dell’Eneide nella traduzione di Annibal Caro, I-IV, Milano 1781-1782).
Il 3 settembre 1765 Soave lasciò Roma per Milano, dove era stato destinato quale maestro dei chierici; ma dopo poco più di un mese si trasferì a Parma, su invito del confratello Francesco Venini, che lo volle come docente di belle lettere nel collegio della Reale Paggeria, di cui era direttore su nomina del ministro Léon Guillaume du Tillot, che l’aveva anche coinvolto in progetti per la riforma delle scuole del Ducato. Nel febbraio del 1768, per l’espulsione dei gesuiti da Parma, du Tillot dovette chiamare i professori della Reale Paggeria, che fu soppressa, a insegnare sui posti lasciati liberi nell’università da lui riformata; la cattedra di poesia venne assegnata a Soave (Epistolario, 2006, pp. 47 s.), che subito si occupò della preparazione di testi per l’insegnamento: oltre a una Antologia latina, lavorò a una Gramatica ragionata della lingua italiana. Il testo, che risentiva dell’influenza delle teorie linguistiche di Venini e, per suo tramite, di Étienne Bonnot de Condillac (Mamiani, 1989, pp. 217-219), era quasi pronto già agli inizi del 1768, ma non fu apprezzato da du Tillot, come non approvati furono i progetti per la riforma scolastica predisposti da Venini e da Soave (Epistolario, 2006, pp. 26-28; Mamiani, 1989, p. 221); per questa ragione la Gramatica (come anche l’Antologia) venne pubblicata anonima a Parma solo nel 1771; l’opera ebbe comunque un notevole successo; venne ristampata con il nome dell’autore una prima volta a Napoli nel 1793, e poi numerosissime altre volte nel corso dell’Ottocento.
Nel 1769 Soave partecipò al concorso sul tema dell’origine del linguaggio, bandito dall’Accademia di Berlino; la dissertazione di Soave giudicata la migliore dopo quella del vincitore Johann Gottfried Herder, ebbe l’onore del primo accessit. L’originale latino, che è conservato presso l’archivio dell’Accademia, venne poco dopo tradotto con modifiche dallo stesso Soave, e pubblicato con il titolo Ricerche intorno all’istituzione naturale d’una società, e d’una lingua, e all’influenza dell’una, e dell’altra su le umane cognizioni (Milano 1772); il testo, che si richiamava, pur con qualche riserva, all’Essai di Condillac (pp. 8 s.), venne poi inserito negli Opuscoli metafisici (Milano 1794). Sempre sul tema dell’origine del linguaggio, un paio di anni dopo, Soave pubblicò il saggio Riflessioni intorno all’istituzione di una lingua universale (Roma 1774).
Il 19 novembre 1771 il ministro du Tillot dovette lasciare Parma; il suo allontanamento segnò la fine della stagione delle riforme nel Ducato; molti dei professori da lui nominati nella locale università furono licenziati; fra questi, nell’agosto del 1772, anche Soave e, prima di lui, Venini; nell’autunno di quell’anno Soave si trasferì quindi a Milano, dove trovò sistemazione nel monastero di S. Maria Segreta. A questo periodo risale l’abbandono del nome Gian Francesco, impiegato fino al termine del periodo parmense, e da quel momento in poi sostituito dal solo Francesco (Epistolario, 2006, pp. XXXIX, 54 e 57). La notorietà di cui Soave ormai godeva indusse il governatore austriaco Carlo Gottardo di Firmian ad affidargli già nei primi mesi del 1773 l’educazione del nipote (pp. 63 s.), e poi, nel gennaio del 1774, a nominarlo professore di filosofia morale nel ginnasio di Brera (pp. 63-67), per poi trasferirlo nel novembre del 1778 alla cattedra di logica e metafisica.
Nel gennaio del 1775, in collaborazione con Carlo Amoretti, e con il sostegno di Firmian (pp. 71 s.), Soave diede avvio al periodico bimestrale Scelta di opuscoli interessanti tradotti da varie lingue (poi, dal 1778, Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti), in cui furono pubblicate memorie relative alle più importanti scoperte che in Europa si andavano facendo in campo scientifico (Venturi, 1987, p. 752; Arato, 1987, pp. 189-209); Soave vi collaborò fino al 1801. In questo periodo, oltre alla nuova edizione dei poemi virgiliani, Soave pubblicò anche le traduzioni (con originale a fronte), dei Neue Idyllen di Salomom Gessner (Vercelli 1778) e del poema The force of religion di Edward Young (Vercelli 1781).
Ma l’interesse prevalente del giovane Soave era ormai per la filosofia. Nel 1775 diede alle stampe la traduzione di un noto compendio, curato da John Wynne e pubblicato nel 1696, dei libri II-IV dell’Essay di John Locke (Saggio filosofico di Gio. Locke su l’umano intelletto, I-III, Milano 1775); Soave vi volle inserire anche un riassunto del libro I, sulla critica dell’innatismo, che Wynne aveva omesso, e a questo fine utilizzò il sunto che ne aveva fatto Jean Le Clerc (Bibliothèque universelle et historique de l’année 1690, pp. 399-427). Oltre a numerose note a piè pagina, Soave inserì nel testo dodici brevi saggi, nei quali, da un lato, illustrava gli sviluppi settecenteschi, non sempre da lui condivisi, dell’empirismo lockiano, e, dall’altro, confutava quanto nelle dottrine del filosofo inglese gli sembrava in contrasto con «la cattolica religione» (Saggio filosofico..., cit., I, p. VI). L’anno seguente pubblicò anche la traduzione del saggio postumo di Locke Guida dell’intelletto nella ricerca della verità (Milano 1776), aggiungendovi, anche in questo caso, numerose annotazioni e l’appendice Del metodo che dee tenersi per trovare la verità, e per insegnarla ad altri. Entrambi i testi furono pensati come manuali per la scuola (Epistolario, 2006, pp. 67 s.); nel secondo, poi, in particolare nell’appendice, Soave sviluppava tematiche pedagogico-didattiche.
Nello stesso periodo venne coinvolto dalle autorità austriache in progetti di riforma del sistema scolastico (pp. 71-74); nel 1774 venne inserito in alcune commissioni, fra cui una per la riforma dei libri di testo, su incarico della quale preparò una Gramatica delle due lingue italiana e latina, che venne però pubblicata soltanto un decennio dopo (Milano 1785); la commissione, infatti, nel 1777 interruppe i lavori e il processo di riforma del sistema scolastico in Lombardia subì un arresto.
Nel 1776 Soave partecipò a un concorso promosso dal conte Carlo Bettoni per le migliori novelle per fanciulli; il premio non venne assegnato e nemmeno lo fu nel 1781, quando venne ribandito; Bettoni tuttavia, che aveva apprezzato il lavoro di Soave, finanziò la stampa delle sue Novelle morali; nel 1782 uscì un primo volume con sedici novelle, e nel 1784 un secondo con altre diciotto; nel 1786 uscì la seconda edizione dell’opera, e alle trentatré novelle dei due primi volumi (due furono unificate) ne furono aggiunte altre due; questa edizione fu di modello per le ristampe successive; nell’edizione di Venezia del 1797 furono aggiunte altre sei novelle, la cui attribuzione a Soave è però dubbia (Tancini, 1993, pp. 68 s.). L’opera ebbe una straordinaria fortuna nel corso di tutto il XIX secolo, divenendo un modello per i libri di lettura nelle scuole elementari; ebbe fin da subito numerose edizioni, anche all’estero, dove fu utilizzata per l’insegnamento della lingua italiana.
A metà degli anni Ottanta nella Lombardia austriaca il programma di riforme in campo scolastico, in particolare del grado elementare, riprese vigore. Il 15 maggio 1786 venne creata dal nuovo ministro plenipotenziario Johann Joseph Wilczek una delegazione per le scuole normali, con l’incarico di riformare l’insegnamento elementare e di organizzare la formazione professionale dei maestri secondo il metodo detto ‘normale’; lo Stato, nell’assumere il controllo diretto dell’istruzione pubblica, si proponeva di darle uniformità – una «norma comune e uniforme» (Compendio..., 1786, p. II), appunto – sia sul piano dell’organizzazione scolastica sia su quello dei programmi e delle tecniche di insegnamento. Il metodo, molto rigido, aspetto questo su cui Soave espresse riserve (Epistolario, 2006, pp. 226 s.; Rossi Ichino, 1977, p. 157), era stato ideato da Johann Ignaz von Felbiger, che nel 1774 Maria Teresa aveva incaricato della riforma del sistema scolastico negli Stati austriaci (Polenghi, 2001, pp. 245-268). Della delegazione venne chiamato a far parte anche Soave, al quale, anche per la sua pregressa esperienza, fu dato l’incarico di raccogliere informazioni sul nuovo metodo, di organizzare la formazione dei nuovi maestri e di preparare i libri di testo (Stoppiglia, 1931, p. 2712). Del nuovo metodo e della nuova organizzazione scolastica si sapeva ancora poco in Lombardia; per questo motivo, ai primi di giugno del 1786, Soave, accompagnato dal domenicano Wolfgang Moritz, venne inviato da Wilczeck nel Tirolo italiano, dove la riforma era stata introdotta da un decennio. Soave, oltre a visitare le scuole e a farne relazione a Wilczeck (Epistolario, 2006, pp. 150-158, 160), raccolse documenti sul nuovo metodo e libri di testo. Al rientro a Milano si dedicò alla stesura di un Compendio del metodo delle scuole normali (ibid., pp. 193 s.; Rossi Ichino, 1977, pp. 132 s.), che per lo più riprendeva, adattandoli, testi di Felbiger; il Compendio uscì a Milano nel settembre di quell’anno, e fu per lungo tempo testo di riferimento per la scuola elementare in Lombardia e in altri Stati italiani; di lì a poco, a cura di Soave, uscirono anche le Leggi scolastiche da osservarsi nelle R. scuole normali della Lombardia austriaca (Milano 1786); sempre a settembre del 1786 iniziò presso il ginnasio di Brera un primo corso per la formazione dei maestri elementari secondo il nuovo metodo; le prime scuole partirono a Milano nel gennaio del 1787, e Soave, che continuava a mantenere l’insegnamento a Brera, venne nominato, assieme a Moritz, direttore-visitatore delle scuole; sul finire del 1787 chiese più volte di essere sostituito nelle attività di visita alle scuole a lui assegnate (Epistolario, 2006, pp. 205-231) per poter dedicare più tempo alla stesura dei libri di testo (per un elenco completo di questi cfr. Epistolario, 2006, pp. 232-234); la richiesta, dopo qualche tempo, fu accolta e gli fu affiancato il confratello Giacomo Pagani (Rossi Ichino, 1977, p. 139). Nell’aprile del 1789 a Soave fu affidato l’incarico di organizzare anche a Pavia le scuole elementari secondo il nuovo sistema; con quest’ultimo incarico si concluse la sua attività di organizzatore scolastico; poco dopo presentò le dimissioni da direttore delle scuole milanesi.
Per l’autunno del 1789 Soave aveva progettato un viaggio di istruzione a Parigi; partito ai primi di luglio con gli amici di sempre, Venini e Amoretti, a Ginevra e Losanna venne raggiunto dalla notizia dello scoppio della Rivoluzione, «gli orrori di Francia», come ebbe a scrivere all’amico Clementino Vanetti, e ritenne più prudente interrompere il viaggio e far rientro in Italia (Epistolario, 2006, pp. 248 s.; [Amoretti], 1806, pp. 14 s.).
Sollevato dai compiti organizzativi, Soave poté dedicarsi agli studi di filosofia e, finalmente, pubblicare le Istituzioni di logica, metafisica ed etica (I-IV, Milano 1790-1792; nella seconda edizione, Milano 1793-1794, venne aggiunto un volume V, Opuscoli metafisici, con alcuni saggi già pubblicati, le Ricerche, 1772, le Riflessioni, 1774, scritti sul sonnambulismo, e il saggio inedito Congetture intorno al modo in cui si scopre dall’anima l’esistenza dei corpi, sostituito nella terza edizione, Pavia 1804, dal saggio su Immanuel Kant).
Matura sintesi delle sue idee filosofiche, oltre che frutto del suo insegnamento a Brera, l’opera ebbe nelle scuole d’Italia vastissima diffusione, testimoniata dalle numerose edizioni e ristampe fino alla metà dell’Ottocento; Soave vi confermava la sua adesione all’empirismo moderato di Locke, integrato e corretto quando necessario per conciliarlo con l’ortodossia cattolica; pur ammirando Condillac, egli ne dissentiva su più punti; in particolare criticava l’abbandono da parte dell’abate francese della distinzione lockiana fra sensazione e riflessione, abbandono che gli faceva temere pericolosi sviluppi in direzione del materialismo. In metafisica, nei capitoli dedicati alla cosmologia, dopo aver confutato le opinioni degli antichi circa la formazione del mondo, dava ampio spazio alle ipotesi dei moderni su questo tema, da René Descartes a Julien Offray de La Mettrie.
Nel 1793 Soave venne incaricato dal governo austriaco di «esporre in brieve, e colla chiarezza che gli era propria, la storia de’ disastri e de’ pericoli a cui allora la Francia soggiacea» ([Amoretti], 1806, p. 15); il pamphlet Vera idea della Rivoluzione di Francia. Lettera di Glice Cerasiano ad un amico, composto fra l’aprile e il giugno del 1793, uscì anonimo, e senza indicazione di luogo e stampatore, ai primi di agosto di quell’anno, poi in novembre, sempre anonimo, a Torino, e infine, con il nome dell’autore, in dicembre a Napoli; una seconda edizione uscì l’anno seguente a Milano, e poi ancora a Napoli nel 1797. L’autore, avverso alla Rivoluzione, e non solo ai suoi eccessi giacobini, della letteratura controrivoluzionaria utilizzava le Reflections di Edmund Burke e De la liberté di Sebastiano d’Ayala (Vera idea..., Napoli 1793, p. 49).
Agli inizi di maggio del 1796, con l’ingresso dell’esercito francese a Milano, Soave, forse temendo ritorsioni in quanto autore della Vera idea ([Amoretti], 1806, pp. 15 s.), abbandonò il capoluogo lombardo, trovando rifugio a Lugano, dove per oltre un anno insegnò nel collegio S. Antonio, avendo come allievo il giovane Alessandro Manzoni. Alla fine del 1797 decise di trasferirsi a Napoli, accettando l’invito di Marcantonio Doria, principe di Angri, che lo volle come istruttore del figlio (Epistolario, 2006, p. 321). Lì Soave iniziò a lavorare alla traduzione con commento delle Lezioni di retorica e belle lettere di Hugh Blair, che avrebbe dato alle stampe dopo il suo rientro a Milano (I-III, Parma 1801-1802). Nel gennaio del 1799, con l’arrivo dell’esercito francese a Napoli, Soave cercò di riparare in Sicilia; il tentativo non riuscì; costretto a rimanere a Napoli, non subì però alcun danno ([Amoretti], 1806, pp. 16 s.).
A fine aprile del 1799 gli austro-russi riconquistarono la Lombardia e il 9 ottobre la congregazione delegata, insediata con compiti di autorità municipale, richiamò Soave a Milano, reintegrandolo nelle sue funzioni di professore a Brera e invitandolo altresì ad assumere nuovamente la direzione delle scuole milanesi (Rossi Ichino, 1977, pp. 118 s.). Di lì a poco però, nel giugno del 1800, Milano ritornò sotto il dominio francese, e Soave dopo poco venne privato sia della cattedra a Brera sia della direzione delle scuole cittadine. Questo fu però l’unico atto di ostilità che subì; la situazione politica stava mutando rapidamente; estromessi dalla vita pubblica gli elementi giacobini e più accesamente anticlericali, con il prevalere delle forze moderate, e poi con la nomina a fine gennaio del 1802 di Francesco Melzi d’Eril a vicepresidente della Repubblica italiana, Soave riebbe importanti incarichi nel campo dell’istruzione e della cultura: nell’ottobre del 1802 venne nominato da Napoleone Bonaparte membro dell’Istituto nazionale; negli stessi giorni Melzi d’Eril lo nominò direttore scientifico-letterario del collegio nazionale civico di Modena (Epistolario, 2006, pp. 358-361; [Amoretti], 1806, pp. 18 s.). Nell’agosto del 1803 Soave ottenne, sempre per intervento di Melzi d’Eril, la cattedra di analisi delle idee nell’Università di Pavia; lasciò pertanto Modena, e in dicembre si stabilì a Pavia.
Nel frattempo Soave continuò a impegnarsi nella stesura di libri di testo: ricordiamo un’edizione annotata con testo a fronte delle Satire, delle Epistole e dell’Arte poetica di Orazio (Venezia 1802), un’edizione delle Rime di Francesco Petrarca (I-II, Milano 1805), le traduzioni in versi dell’Odissea di Omero (Pavia 1805) e delle Opere di Esiodo (Pavia 1805); e poi, usciti postumi, La mitologia [...] con l’aggiunta d’un transunto delle Metamorfosi di Ovidio (Vigevano 1810) e la Storia del popolo ebreo (Vigevano 1813).
L’interesse preminente era però sempre per la filosofia. Nel marzo del 1803 uscì a Modena un suo saggio sulla Filosofia di Kant. In una lettera a Melzi d’Eril, cui l’opera fu dedicata, Soave dichiarava di non conoscere «filosofia né più falsa né più perniciosa alla società» (Epistolario, 2006, p. 363; Filosofia di Kant, 1803, pp. 3 s.). Pur disponendo della traduzione latina delle opere di Kant di Friedrich Born (Filosofia di Kant, cit., p. 7 nota), per l’esposizione della filosofia critica, Soave si servì quasi soltanto del compendio di Charles Villers (Metz 1801). Di Kant Soave proponeva una lettura in chiave marcatamente empiristica; interpretando il trascendentale in senso innatistico, egli accostava il criticismo all’idealismo fenomenistico di George Berkeley, riducendo quindi il «fenomeno» kantiano a mera «illusione» (Filosofia di Kant, cit., pp. 53 s., 100-109); in realtà, ancor più dell’esito scettico, ciò che maggiormente preoccupava Soave erano gli esiti di tali dottrine in campo etico e politico ([Amoretti], 1806, p. 19).
Un anno più tardi, nel luglio del 1804, Soave presentò all’Istituto nazionale italiano due memorie (pubblicate nel 1809 nelle Memorie dell’Istituto, I, parte 1, rispettivamente pp. 47-69 e 117-160). La prima conteneva un Esame de’ principi metafisici della zoonomia d’Erasmo Darwin; al medico inglese Soave rimproverava la «smania di voler tutto ridurre a materia» (p. 50), con tutte le conseguenze che da questo ne potevano discendere. Nella seconda egli sviluppava alcune Riflessioni sopra il progetto di elementi d’ideologia di Destutt-Tracy; all’ideologo francese rimproverava di aver identificato la facoltà di pensare con la semplice sensibilità, e poi, trattando di quest’ultima, di non far la benché minima menzione dell’anima, aprendo così, a suo giudizio, «la strada al materialismo, e quindi all’epicureismo» (p. 127); e al suo richiamarsi all’autorità di Condillac, Soave opponeva la critica da lui rivolta anni addietro a quest’ultimo e contenuta in Istituzioni di metafisica, sez. II, cap. II, per aver egli abbandonato la distinzione lockiana fra sensazione e riflessione (p. 119).
Con riferimento alla filosofia, nell’ultimo periodo della sua vita, che coincise con la svolta moderata impressa in politica da Bonaparte, a preoccupare Soave furono dunque, da un lato, le filosofie che, come la kantiana, si collocavano agli antipodi rispetto alla tradizione dell’empirismo moderato in cui egli da sempre si era riconosciuto, e dall’altro, quelle che, come nel caso di Erasmus Darwin e di Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy, pur ponendosi in continuità con quella tradizione, gli sembravano però svilupparla in senso decisamente materialistico.
Poco dopo, a inizio gennaio del 1806, Soave, ancora nel pieno della sua attività di filosofo e pubblicista, venne colpito da improvvisa malattia e il 17 di quel mese morì a Pavia nel monastero della Colombina.
Pochi anni dopo, fra il 1815 e il 1817 uscì a Milano, in diciannove volumi, la Raccolta delle opere complete di Francesco Soave (che però non comprende gli Idilli, la Vera idea, la Filosofia di Kant, gran parte dei testi composti per le scuole elementari, e contributi pubblicati negli Opuscoli scelti).
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