SILIPRANDI, Francesco
– Nacque a Grazie, comune di Curtatone, nel Mantovano, il 23 ottobre 1816, da Giuseppe e Cecilia Palazzieri.
Negli anni della dominazione francese Giuseppe, conduttore insieme ai fratelli di terreni e mulini, aveva accumulato un patrimonio fondiario sostanzioso del quale, nel 1840, toccarono a Francesco circa 100 ettari. I Siliprandi possono dunque essere ritenuti esponenti rappresentativi della nuova borghesia campagnola che tra Settecento e Ottocento si affermò come la componente più dinamica della società locale e dalle cui file provenne la maggior parte della robusta leva patriottica del Quarantotto mantovano.
Poco si sa della prima educazione di Francesco. Indizi sono forniti dai volumi superstiti della sua biblioteca, tra i quali sono presenti opere di Jean-Jacques Rousseau, Cesare Alfieri, Melchiorre Gioia, Charles-François Dupuis, di Constantin-François de Chasseboeuf, conte di Volney. Nel 1846 Siliprandi cedette in affitto tutti i fondi di sua proprietà, intenzionato, si può presumere, a dedicarsi esclusivamente alla lotta politica. All’inizio del 1848 era a Parigi, dove prese parte attiva alla rivoluzione di febbraio. Rientrato a Mantova, nel corso della rivoluzione di marzo fu «uno degli esaltati» (Compromessi politici..., 1966, p. 181), come si legge in una nota della polizia. Successivamente partecipò alla campagna di Lombardia nelle file del battaglione Manara. Nel novembre del 1850 fu tra i patrioti che diedero vita alla cospirazione mazziniana nota come ‘congiura di Belfiore’; quando fu scoperta la trama, alla fine del 1851, riparò in Piemonte. Una delle sentenze con cui si chiuse il processo ai congiurati di Belfiore, pubblicata il 19 marzo 1853, lo condannò a morte in contumacia insieme ad altri trentadue fuggiaschi.
In virtù del condono della pena che all’inizio del 1857 fu concesso a tutti questi (escluso Giovanni Acerbi), Siliprandi poté rientrare a Mantova. Nei primi anni Cinquanta aveva venduto la maggior parte dei beni che possedeva a Curtatone; nel 1858 acquistò un fondo a Casatico, comune di Marcaria, e qui si stabilì insieme a Teresa Rovina con la quale conviveva da tempo e aveva avuto due figli: Giuseppe e Cecilia, nati rispettivamente nel 1849 e nel 1855. Durante la campagna del 1859 militò nei Cacciatori delle Alpi di Giuseppe Garibaldi; l’anno seguente fu in Sicilia con la spedizione Medici e combatté al Volturno meritandosi una medaglia al valore e la nomina a capitano; con questo grado fu ammesso nel 1861 nell’esercito regolare e partecipò alla repressione del brigantaggio. Nel 1866, chiesta l’aspettativa, fu di nuovo con i volontari garibaldini; ripreso servizio nell’esercito regolare, ne fu definitivamente congedato nel 1870.
Alle vicende risorgimentali dal 1820 al 1866 sono dedicate le Memorie storiche politiche del cittadino Francesco Siliprandi, pubblicate a Mantova nel 1881; a dispetto del loro titolo, l’autore dice ben poco delle proprie esperienze e più che ai propri ricordi si affida alle narrazioni e ai giudizi di Giuseppe Ferrari, Carlo Cattaneo e Carlo Pisacane.
A Casatico Siliprandi tornò a occuparsi della locale società operaia, di cui era stato nel 1861 uno dei fondatori. Nel 1872 fu il principale promotore di una modifica del suo statuto in virtù della quale le era assegnata come scopo, oltre al mutuo soccorso, «l’emancipazione completa dei lavoratori» e come mezzi «l’associazione fraterna di tutti i lavoratori nazionali e internazionali, la libertà politica, e l’istruzione progressiva intellettuale e morale» (lettera di Siliprandi a Paride Suzzara Verdi in La Favilla del 3 agosto 1872). L’iniziativa testimoniava come Siliprandi fosse ormai conquistato alle idee dell’Internazionale (un approdo forse propiziato dalla sua appartenenza alla massoneria). Fra il 1872 e il 1876 espose i suoi orientamenti in diversi scritti pubblicati su La Favilla.
Poiché la rivoluzione della borghesia, spiegava, si era arrestata di fronte al cattolicesimo e alle diseguaglianze politiche e sociali, non rimaneva altra possibilità che «la rivoluzione dei poveri» (La borghesia, ibid., 5 maggio 1874), la quale avrebbe dovuto dar luogo a una condizione in cui, abolito il salario, fossero a tutti assicurati sia il lavoro sia l’accesso al capitale. Quanto ai modi dell’auspicata rivoluzione, si direbbe che egli condividesse la rivendicazione del suffragio universale avanzata dalle formazioni di orientamento democratico o radicale a cui aderì in quegli anni – in particolare la Giovane democrazia, nata nel 1871 e trasformatasi l’anno seguente in Fascio operaio, e la Società dei reduci delle patrie battaglie che, anche per iniziativa dell’ex capitano garibaldino, promosse a sua volta la nascita nel 1876 dell’Associazione progressista democratica. Non risulta tuttavia chiaro se il «governo libero popolare» che avrebbe dovuto dar vita alla «repubblica sociale» (La canaglia, ibid., 5 marzo 1874) fosse a suo parere da conquistare attraverso le elezioni. L’associazione, che riteneva la chiave di volta di ogni possibile trasformazione, era del resto da lui concepita sì come lo strumento della lotta di resistenza intesa ad assicurare ai proletari il lavoro e un’equa retribuzione, ma al contempo come l’embrione di un nuovo organismo sociale: a essa egli attribuiva infatti il compito di riunire i tre fattori della ricchezza sociale – l’intelligenza, il capitale, il lavoro – al fine di stabilire, in ragione del valore prodotto dai singoli e dalla collettività nel suo complesso, la retribuzione di ciascuno; le deliberazioni dei tre fattori, «rappresentati in assemblee nazionali confederate da deputati eletti a suffragio universale», avrebbero avuto, egli concludeva, «forza di legge» (L’associazione, ibid., 21 maggio 1874). È ben riconoscibile in questa concezione l’influenza della lettura di Pierre-Joseph Proudhon, in particolare del Système des contradictions économiques ou Philosophie de la misère (1846) e dell’Idée générale de la révolution au XIXe siècle (1851), della cui edizione del 1868 (tomo X delle Œuvres complètes) un esemplare è tra i libri superstiti della sua biblioteca e reca annotazioni di sua mano.
Sul finire del 1876 Siliprandi promosse l’Associazione generale dei lavoratori di città e campagna, che nel giro di poco tempo raccolse più di tremila adesioni fra gli artigiani e fra i contadini mantovani. Il 17 e il 18 ottobre 1877, insieme a Luigi Colli e a Pietro Mongé, rappresentò l’Associazione al secondo congresso della Federazione dell’Alta Italia – riunione dei gruppi socialisti che, respinta la via delle avventure insurrezionali, propendevano allora verso una partecipazione alle lotte politiche, comprese quelle elettorali. La partecipazione all’incontro non significò tuttavia l’abbandono del proudhonismo da parte di Siliprandi: nel numero 41 del Lavoratore, foglio da lui stesso promosso che uscì negli anni 1877 e 1878, un suo articolo celebrò Proudhon come colui che aveva, da un lato, svelato l’antinomia insita nelle forme dell’economia borghese e, dall’altro, dimostrato il carattere oppressivo del comunismo. Nei primi anni Ottanta Siliprandi illustrò con una nutrita serie di scritti giornalistici le linee del suo pensiero anarchico.
Fedele all’ateismo e all’anticlericalismo cui era stata improntata la sua formazione, egli identificava nella credenza in Dio l’origine della subordinazione degli uomini al capitale e allo Stato (I pregiudizi del popolo, in La Favilla, 12 giugno 1883). Giudicava lo Stato non riformabile e illusoria e ingannevole l’idea dei democratici radicali che il suffragio universale, l’azione parlamentare e le riforme politiche potessero aprire la strada all’emancipazione del proletariato. «Si progredirà – affermava – quando il governo sarà il popolo [...], quando non vi sarà alcun governo, ma sibbene anarchia» (Le riforme, ibid., 18 marzo 1881). Se prospettava il collettivismo come un traguardo irrinunciabile, non spiegava peraltro come lo si potesse conseguire, limitandosi a esporre a quali riforme si sarebbe proceduto una volta demolito il vecchio edificio sociale.
Queste opinioni non gli impedirono di sostenere attivamente la candidatura di Alcibiade Moneta avanzata dal Circolo socialista di Mantova in occasione delle elezioni politiche del 1882. Peraltro la ripresa in quello stesso anno delle agitazioni nelle campagne riportò la sua attenzione verso l’organizzazione dei contadini, ai quali auspicava si alleassero i più «svegliati» (Le società contadine, ibid., 11 maggio 1884) operai della città. In un opuscolo pubblicato a Mantova nel 1884, Le rivoluzioni dei contadini, esordiva evocando l’idea proudhoniana dell’ineluttabilità delle rivoluzioni e concludeva sostenendo che, data la irragionevole resistenza degli «uomini del potere», difficilmente la questione sociale si sarebbe risolta se non con la forza. Nel novembre dello stesso anno promosse la rinascita dell’Associazione generale dei contadini italiani, caratterizzata ora da un orientamento più spiccatamente socialista e da una forma di organizzazione federale (e anche questo tratto rispecchiava il proudhonismo del promotore). Insieme alla Società di mutuo soccorso fra i contadini della provincia di Mantova a cui diede vita di lì a poco Eugenio Sartori, la quale aveva invece un indirizzo prevalentemente democratico, l’Associazione di Siliprandi fornì la base organizzata delle agitazioni che nel tardo inverno del 1885 videro protagonisti nel Mantovano e in altre provincie migliaia di contadini. Il movimento noto come la boje! fu stroncato da massicci arresti alla fine di marzo; la maggior parte degli imprigionati venne prosciolta in istruttoria; Siliprandi fu invece tra i ventidue rinviati a giudizio e processati di fronte alla corte d’assise del tribunale di Venezia, i quali riuscirono peraltro tutti assolti dalla sentenza del 27 marzo 1886.
Negli anni successivi, mentre veniva di fatto abbandonata l’azione di carattere rivendicativo, si delineò in seno al movimento operaio e contadino mantovano la scelta di perseguire l’emancipazione del proletariato attraverso la costituzione di una vasta rete di cooperative di lavoro e di consumo; Siliprandi approvò questo indirizzo e concorse attivamente alla sua affermazione, sebbene le sue energie venissero scemando come prova anche il fatto che i suoi interventi sulla stampa si fecero sempre più rari. Morì a Casatico il 3 gennaio 1892.
Opere. Le Memorie storiche politiche del cittadino F. S. furono nuovamente edite in F. Siliprandi, Scritti e memorie, a cura di R. Giusti, Mantova, 1959, pp. 3-144; oltre a un ampio saggio introduttivo (pp. XIII-LXXV), questo volume contiene una silloge degli scritti giornalistici (pp. 147-244) e una bibliografia degli scritti di Siliprandi (pp. 245-255).
Fonti e Bibl.: Lo stato di servizio di Siliprandi, i libri superstiti della sua biblioteca e il suo diploma massonico sono conservati da Gilberto Pizzamiglio. Notizie della vita di Siliprandi sono offerte da C. Spezia, Un congiurato di Belfiore di Curtatone, in Curtatone. Idealità e volontà nel Risorgimento, a cura di C. Cipolla, Milano 2004, pp. 376-405. La formazione della fortuna dei Siliprandi è documentata in M. Bertolotti, Le complicazioni della vita. Storie del Risorgimento, Milano 1998, pp. 108, 219. La nota della polizia relativa a Siliprandi è riprodotta in Compromessi politici del Mantovano (1848-1866), a cura di R. Giusti, Mantova 1966, pp. 181 s. Si segnalano inoltre i saggi contenuti in F. S. 1816-1892, a cura di L. Cavazzoli, Marcaria 1992.