SICILIANI, Francesco
– Nacque a Perugia il 3 marzo 1911 da Domenico, di origini calabresi, direttore della Società Reale Mutua di assicurazioni, e da Dirce Matricardi, di Rieti.
Domenico, che durante il servizio militare era stato clarinettista nella banda del suo reggimento di fanteria e avrebbe voluto fare il musicista di professione, organizzava in casa serate concertistiche. Durante una di queste Francesco si fratturò una gamba, restando a lungo immobilizzato; gli fu regalato allora un piccolo violino con il quale, dopo due settimane, a tre anni e senza lezioni, eseguiva noti temi musicali.
Iniziò lo studio della musica prima della scuola elementare. Per le spiccate attitudini alla direzione d’orchestra, a sei anni, in un concerto di beneficenza nella sala dei Notari di Perugia, condusse l’orchestra dell’Istituto musicale Morlacchi in pagine di Cavalleria rusticana e La traviata. Eseguì anche al pianoforte musiche di Luigi Boccherini e Anton Diabelli. Un impresario teatrale perugino propose una tournée a New York, Boston e Columbus. Ma il progetto fallì sul nascere, perché al bambino, già molto provato dopo i primi concerti italiani, fu proibita tale attività. Poté continuare però a studiare pianoforte, armonia e contrappunto. Presto iniziò a scrivere pezzi pianistici per canto e pianoforte, su versi di Johann Wolfgang von Goethe, raccolti in Il suonatore d’arpa.
A quindici anni la passione per la filosofia lo indusse a seguire all’Università per stranieri le lezioni di Giovanni Gentile, di cui divenne amico. Nel 1928 conseguì la maturità classica. Nel 1929 conobbe Ambra Jole Provvisionato, pianista, che sposò a Bolzano nel 1941. Ne ebbe due figli: Maria Francesca, nata il 10 febbraio 1944, che divenne regista teatrale, e Alessandro, nato il 5 giugno 1952, divenuto direttore d’orchestra. Dopo la maturità si dedicò in modo esclusivo alla musica; ma per volontà dei genitori si laureò in giurisprudenza nel 1932 e in scienze politiche nel 1934, sempre con lode.
A Firenze trovò in Vito Frazzi un valido maestro di composizione. Mentre si preparava al diploma, in tre anni invece di dieci, musicò Due frammenti dal Cantico dei Cantici, eseguiti all’Accademia Chigiana di Siena, e divenne familiare di artisti e intellettuali tra cui Giovanni Papini, Giuseppe De Robertis, Ardengo Soffici, Gianfranco Contini, Eugenio Montale, Vittore Branca. Il sodalizio con Aldo Capitini, filosofo e pedagogista, ebbe influenza profonda sulla sua vita spirituale.
Nel 1936 compose Salmo XII per tenore coro e orchestra, tra i lavori più validi, eseguito nello stesso anno a Firenze insieme al Salmo IX di Goffredo Petrassi. Nel 1937 pubblicò Canto notturno del viandante (Goethe), Notte (autore ignoto) e Tre Laudi dell’Amor Divino (Feo Belcari), per canto e pianoforte.
Alla fine del 1938 ebbe la consulenza musicale dell’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) di Torino, presto lasciata per il corso di formazione da allievo sovrintendente al S. Carlo di Napoli, dove divenne poi direttore artistico. Nei primi anni Quaranta, a causa della guerra, abbandonò Napoli per la più sicura Perugia, dove si dedicò alla composizione.
Il sodalizio musicale con Luigi Dallapiccola gli procurò una profonda crisi artistica ed esistenziale. Ritenendo anacronistici i propri lavori rispetto a quelli dodecafonici di Dallapiccola, li volle ‘aggiornare’. La facilità nell’imitare stili altrui e i dubbi circa l’autenticità del proprio lo indussero ad abbandonare la composizione, per coerenza morale prima che artistica. Solo in parte la straordinaria attività di organizzatore di eventi musicali compensò il vuoto incolmabile.
Dopo la guerra, a Perugia, fu commissario del liceo musicale e ripristinò la Sagra musicale umbra, dedicata ai generi sacri e religiosi, presto impostasi all’attenzione internazionale. Ne fu l’autorevole direttore per circa cinquant’anni. Nominato direttore artistico del S. Carlo di Napoli, per la risonanza della prima stagione (1947-48) fu chiamato a dirigere il Maggio musicale fiorentino.
Il compito di sanare i danni della guerra si prospettava arduo, ma pochi giorni dopo la nomina un evento imprevedibile ne favorì i progetti. Il direttore d’orchestra Tullio Serafin chiese infatti a Siciliani un parere su una cantante poco nota, Maria Callas, che l’anno prima in Gioconda, Tristano e Isotta e Turandot sembrava aver mostrato delle qualità; ma il giudizio negativo di Mario Labroca, direttore artistico della Scala, e di Arturo Toscanini rischiavano di estrometterla dai teatri italiani. Serafin, contando sull’autorevolezza di Siciliani, l’unico che avrebbe potuto ribaltare la sentenza, lo pregò di ascoltarla: nell’audizione di metà ottobre del 1948 egli seppe vedere nella Callas la reincarnazione dei grandi soprani drammatici di coloratura ottocenteschi, in grado di ridare valenza drammatica a opere come Lucia di Lammermoor, Norma e I Puritani. Impose quindi al sovrintendente del teatro di inaugurare la stagione imminente con Norma e di scritturare la cantante per tre anni. Ne vinse le resistenze minacciando di tornare al S. Carlo. In meno di un mese la Callas studiò l’opera, esordì il 30 novembre e avviò una carriera trionfale che rivoluzionò l’interpretazione vocale e scenica del melodramma.
Molti tra gli eventi ideati da Siciliani alla guida dell’istituzione fiorentina fino al 1957 ebbero un rilievo storico. Nella stagione 1950-51 la parte di Violetta nella Traviata, mai affrontata dalla Callas, rimase punto di riferimento nell’interpretazione del personaggio. Prima di conoscere le teorie di Adolphe Appia sulla messinscena (che comunque già circolavano in Europa da alcuni decenni), per risolvere il problema dell’ideale regia globale dello spettacolo melodrammatico, nel 1951 Siciliani affidò la regìa del Macbeth verdiano a Gustaf Gründgens. Nel 1952, al primo Maggio monografico (poi molto imitato) dedicato a Gioachino Rossini, fece rappresentare Armida (memorabile il successo della Callas), Il conte Ory, Tancredi, La scala di seta, La pietra di paragone e Guglielmo Tell.
Nel 1953, al Maggio, si ebbe la straordinaria interpretazione vocale e scenica della Medea di Luigi Cherubini da parte della Callas. Nello stesso anno la prima assoluta in forma scenica di Guerra e pace di Sergej Prokof′ev fu tra gli avvenimenti più rilevanti nella storia del Maggio: Siciliani, avuti in gran segreto i microfilm della partitura manoscritta, ne curò la rappresentazione prima che la Commissione ideologica del Partito comunista dell’Unione Sovietica l’approvasse. Si rischiò l’incidente diplomatico: il progetto ardimentoso andò in porto per la sopraggiunta morte di Iosif Stalin il 5 marzo 1953 (lo stesso giorno morì anche Prokof′ev) e la conseguente crisi politica, che indusse le autorità sovietiche a disinteressarsi della vicenda. L’opera, diretta da Artur Rodziński, andò in scena il 26 maggio al teatro Comunale.
Nel 1954 Siciliani ebbe la direzione artistica degli spettacoli del teatro Verde nella Fondazione Giorgio Cini di Venezia, tenuta fino ai primi anni Sessanta. Dall’aprile del 1957, per le riserve suscitate da una programmazione ritenuta troppo elitaria e dispendiosa, lasciò Firenze e accettò la direzione artistica della Scala. La sua quasi decennale gestione scaligera, proseguita fino al 1967, non ebbe il geniale impulso innovativo di quella del Maggio; numerosi però furono gli eventi d’alto livello, come Les Troyens di Hector Berlioz, allora sconosciuti in Italia (edizione integrale, in lingua originale e in una serata, 1960), Fidelio di Ludwig van Beethoven (1960), Gli Ugonotti di Giacomo Meyerbeer (1962).
A causa di tensioni emerse nel 1965-66 con i dirigenti della Scala, non più libero nella sua attività, decise di lasciare il teatro e accettò la Consulenza generale della RAI per la musica lirica e sinfonica, propostagli dal direttore generale Ettore Bernabei. Ebbe il compito di allestire le stagioni delle orchestre di Torino, Milano, Roma e Napoli, con risultati prodigiosi per vastità di territori esplorati e prestigio di interpreti, spesso tra i più grandi del tempo.
Altri incarichi di rilievo: consulente della Fenice (1972-74) e della Scala (1974-77); ancora direttore artistico della Scala (1980-83). Lasciata la RAI nel 1976 per limiti di età, dal dicembre del 1977 fu direttore della programmazione artistica nell’Accademia nazionale di S. Cecilia, di cui divenne poi consulente e dal 1983 presidente-sovrintendente, riproponendo fino al 1990, in una fastosa antologia, le composizioni più significative in precedenza riportate alla luce. Tra i musicisti più amati, eseguiti in edizioni non di rado storiche, Händel, Cherubini, Spontini, Berlioz, Schumann, Debussy. Per suo merito i concerti sinfonici ceciliani da bisettimanali divennero tri- e poi quadrisettimanali. Nominò Giuseppe Sinopoli direttore principale dell’orchestra e Leonard Bernstein presidente onorario dell’Accademia.
Nel 1985 assunse la direzione artistica delle Panatenee pompeiane e nel 1993, ottantaduenne, della Fenice. L’incendio del 29 gennaio 1996, che distrusse uno dei teatri più ricchi di storia del mondo, vanificò però i suoi progetti artistici.
Pochi mesi dopo un male inesorabile cominciò a minare l’energia fisica, non però l’entusiasmo di Siciliani. Morì la sera del 17 dicembre 1996, a quasi ottantasei anni. Il 15 novembre 1997 si spense la moglie Ambra.
Fonti e Bibl.: S., F. e Siciliani, Maria Francesca, in Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, VII, Torino 1988, p. 275; L. Pinzauti, Storia del Maggio, Lucca 1994, ad ind.; F.C. Ricci, F. S. Sessant’anni di vita musicale in Italia, Napoli-Milano-Roma 2003; Un laboratorio per la musica. La biblioteca di F. S., a cura di M.A. Guiso - S. de Capua, Roma 2007; G. Barigazzi, La Scala racconta, nuova ed. a cura di S. Barigazzi - F. Pulcini, Milano 2010, ad indicem.