CASALI, Francesco Senese
Nato postumo da Francesco di Bartolomeo e da Chiodolina da Varano nel marzo del 1376, fu tenuto a battesimo da tre oratori senesi; perciò gli fu imposto il nome di Francesco Senese, a memoria dell'alleanza tra Cortona e Siena. La Signoria senese gl'inviò in dono un corredo cavalleresco. Il C. era menzionato nel testamento del padre, che lasciava erede il primogenito Niccolò Giovanni e il "ventre pregnante" di madonna Chiodolina, se il frutto di esso fosse stato maschio; così quando nel giugno 1384 suo fratello Niccolò Giovanni venne a morire, la signoria cortonese passò al C. stesso e al figlio di Niccolò, il piccolissimo Aloigi Battista, sotto la reggenza di Azzo degli Ubertini e di Ilario Grifoni. Ufficialmente per paura che fossero colpiti dalla peste che imperversava allora in Cortona, in realtà per sottrarli forse ai pericoli dell'instabile situazione politica cittadina, i due fanciulli furono inviati alla rocca di Agnolino Salimbeni, Tintinnano, dove rimasero finché lo zio di Francesco - Uguccio Urbano - che si era associato con la violenza e il delitto alla signoria, li fece richiamare in città.
La decisione di Uguccio di far tornare in Cortona i suoi piccoli colleghi in signoria dovrebbe ascriversi grosso modo al 1389, e in parte fu certo dettata dalla necessità di aver sottomano i due, che fuori dal suo controllo avrebbero potuto divenire strumenti dei suoi avversari politici; in parte tuttavia dovette esservi una preoccupazione reale di Uguccio a vegliare sugli interessi dei ragazzi (il che fra l'altro era un modo per legittimare il suo stesso potere). La madre di Francesco, Chiodolina da Varano, e il confidente di Uguccio, Luca di Grazia, dovettero avere influenza su queste decisioni, che rivelano oggettivamente una certa benevolenza da parte di Uguccio stesso che, il 6 ag. 1389 quale tutore dei nipoti, aggiunse addirittura certi beni a quelli spettanti ai pupilli. Con il passare degli anni Uguccio, nonostante il suo cupo e violento carattere, mostrò sempre una sincera sollecitudine e, a modo suo, una sorta di affetto per Francesco. Può darsi che, non riuscendo ad avere un legittimo erede maschio (l'unico, Giacobbe, gli era premorto), Uguccio vedesse in Francesco l'unico suo possibile erede. Sta di fatto che appena il giovane ebbe vent'anni, lo zio prese ad associarlo al governo e gli procurò anche un prestigioso matrimonio con Antonia d'Agnolino Salimbeni, dal C. conosciuta durante la permanenza nella rocca di Tintinnano. Antonia recava a titolo di dote una terza parte dei beni paterni dei quali sarebbe entrata tuttavia in possesso solo alla morte del genitore: tra essi, le rocche di Montegiovi, Montenegro, Ripa e Bagno di Vignone in Valdorcia, sulle quali però il duca di Milano vantava, quale accomandatario di Siena, alcune prerogative. La Salimbeni giunse a Cortona l'8 genn. 1397, accompagnata dal C. e da Uguccio; le nozze si celebrarono alla presenza di alcuni fra i protagonisti della vita politica centroitaliana del tempo o dei loro rappresentanti, che recarono ricchi doni. Nel contempo, l'entrata ufficiale e sostanziale di Francesco in quel ruolo signorile che gli spettava dalla nascita fu sancita dal fatto che nel 1397 il suo nome figurò accanto a quello di Uguccio negli atti per mezzo dei quali si rinnovava l'accomandigia di Cortona a Firenze. Naturalmente lo stretto rapporto fra Uguccio e il C. aveva i suoi lati negativi per quest'ultimo, che si trovava coinvolto nella politica dello zio, tutta doppiezza e colpi di testa, e doveva condivideme le responsabilità senza forse approvarne l'operato: per esempio il 15 febbr. 1400 i Perugini confiscavano certi beni appartenenti al C., con ogni evidenza per rifarsi dei danni subiti da parte di Uguccio.
Nell'estate del 1400, quando Uguccio gli passò il potere e si ritirò a Firenze dove di lì a poco morì, il C. si mostrò pronto a raccoglierne la pesante eredità politica. Il passaggio delle consegne avvenne senza scosse particolari, a parte l'uccisione o l'incarceramento di alcuni tra i più facinorosi scherani di Uguccio, che avevano attirato su di sé in anni di soperchierie l'odio dei Cortonesi. Esclusi coloro che si erano macchiati di qualche colpa particolare, però, i collaboratori di Uguccio - primo fra tutti il vescovo di Cortona Bartolomeo da Troia - rimasero al loro posto. In politica interna ed estera, tra la dura signoria di Uguccio e il pacato governo del C. vi fu una sostanziale continuità. Il riconoscimento ufficiale del C. e di suo nipote Aloigi Battista quali signori di Cortona si ebbe il 17 ott. 1400, all'indomani della morte di Uguccio. Poco dopo, con lettera del 6 dicembre, i due signori dichiararono ai principi elettori dell'Impero di essere pronti a prestare giuramento di fedeltà all'imperatore Roberto del Palatinato. In tal modo essi intendevano regolare la loro posizione anche come vicari imperiali. Il 14 genn. 1401, poi, si affrettarono a confermare, con qualche miglioramento a loro favore, l'accomandigia decennale stipulata da Uguccio con Firenze nel 1397 per i sette anni di restante validità.
Al di là della sistemazione formale della sua condizione di signore di Cortona, vicario imperiale e accomandato di Firenze, il C. intendeva palesare con chiarezza - dopo le ambiguità di Uguccio - la sua linea politica ispirata a fedele e univoca amicizia con Firenze e a decisa volontà di pace: si accordò infatti con i Perugini per Montequalandro e restituì loro Borghetto, Reschio, Lisciano.
Siamo assai documentati sui buoni rapporti tra Firenze e il C., il quale informava regolarmente i Fiorentini su quanto accadeva nelle sue terre, li soccorreva nei loro bisogni granari, era presente come loro accomandato ai principali avvenimenti politicodiplomatici del tempo, quali la pace con i Visconti del 1404, l'azione tesa a far sciogliere Siena dall'accomandigia viscontea, infine la partecipazione alle operazioni militari fiorentine culminate con la presa di Pisa. Dopo la caduta di questa città, la Signoria fiorentina lo insigni della dignità cavalleresca.
Degli ottimi rapporti con Firenze sono specchio la cordiale e non convenzionale amicizia del C. per Maso e Rinaldo degli Albizzi e per Leonardo Bruni. A Rinaldo il C. salvò forse la vita nel luglio-agosto 1406, mettendolo in guardia contro una congiura che si tramava ai suoi danni - da parte di elementi forse anche cortonesi - allorché l'Albizzi si trovava impegnato in una missione diplomatica tesa a sedare le contese fra Città di Castello e Ottaviano Ubaldini.
Quanto a Leonardo Bruni, la sua fiducia nel C. era tanta che egli si spingeva a narrargli per lettera certi retroscena della morte di Innocenzo VII, dell'elezione di Gregorio XII e delle manovre di Ladislao d'Angiò Durazzo per far fallire la composizione dello scisma d'Occidente. Si trattava di notizie riservate e condite di commenti che avrebbero potuto essere compromettenti, tanto che il Bruni pregò il C. di non divulgare la lettera.
Quanto fossero leali i rapporti del C. con Firenze si può valutare dal rinnovamento - stavolta ventennale - dell'accomandigia, stipulato il 2 apr. 1407 anche a nome di Aloigi.
La fama diffusa della giustizia e della mitezza del C. fu celebrata grandemente in Cortona e fuori di essa. Certo, molto in essa giocò il fatto che la sua signoria si ponesse tra due cattivi esperimenti di governo, quello di suo zio Uguccio e quello di suo nipote Aloigi: tuttavia gli anni del suo dominio dovettero essere oggettivamente tra i migliori che i Cortonesi avessero vissuto da quando i Casali si erano impadroniti della città.
La congiura che tolse contemporaneamente a Francesco la signoria e la vita nacque forse dall'invidia del nipote Aloigi, forse dal risentimento di qualche cortigiano offeso e messo da parte; non è molto probabile che dietro vi sia stata la manovra di qualche potenza interessata a sottrarre Cortona ai Fiorentini, dato che ormai l'egemonia fiorentina sulla Toscana meridionale si reggeva su basi ben più solide che non la semplice volontà di collaborazione del C; e dato anche che, volente o nolente, Aloigi non mutò la politica dello zio.
Il C. fu Ucciso l'11 ott. 1407 da alcuni famigli, che lo assalirono in presenza della moglie e ferirono anche lei, mentre coraggiosamente tentava di aiutarlo. Il suo corpo fu poi gettato da una finestra di palazzo Casali nella piazza antistante, al fine di scoraggiare una rivolta che stava scoppiando in città contro gli assassini.
Poco o nulla si sa dell'unico figlio legittimo di Francesco, Bartolomeo detto Buttinello, che pare sia stato il capostipite dei Casali marchesi di Monticelli stabiliti ad Imola.
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