Salfi, Francesco Saverio (Cosenza 1759 - Parigi 1832)
, Di D. si occupò in un capitolo del Resumé de l'histoire de la littérature italienne (Parigi 1826; in traduz. ital., Lugano 1833), cui aveva atteso in una pausa del più ampio lavoro che lo occupava in quel tempo, la continuazione dell'Histoire littéraire del Ginguené. Fu altresì autore di una tragedia d'ispirazione dantesca, Francesca da Rimini, composta nel 1832 e rimasta inedita insieme con altri suoi lavori drammatici. Va infine ricordato che a lui si rivolse dalle pagine dell'Antologia del Vieusseux il poligrafo Urbano Lampredi, esortandolo a promuovere in Francia quel culto di D. che si andava diffondendo in Italia fra i giovani con un entusiasmo etico-politico oltre che estetico.
Certo anche l'interpretazione del S. obbedisce a ragioni storico-culturali più che a un impegno filologico e letterario: il momento pubblicistico in realtà predomina sullo scavo erudito, sulla volontà attenta e perplessa di penetrare in un mondo spirituale e artistico lontano. In un certo senso manca al S. il senso della storia come successione di momenti diversi, validi o rifiutabili solo nell'impegno con cui sono vissuti e realizzati. Benché lontano dall'antidantismo di molti critici illuministi, la sua mentalità è ancora condizionata da elementi settecenteschi, che costituiscono non diremo il limite ma la caratteristica del suo modo d'intendere Dante. L'anticlericalismo giacobino e massonico lo portava ad accentuare la svalutazione della cultura medievale, teologica ed ecclesiastica: di qui l'immagine di un D. chiuso in una solitaria grandezza, che poco deve ai tempi e molto al suo spirito indagatore e insonne.
Il Tesoro, ad esempio, se da un lato mostra " il talento e l'erudizione " di Brunetto Latini, dall'altro rivela " la miseria delle cognizioni " del Duecento: quindi, poco o nulla dovette significare per D. l'esperienza delle corti e delle scuole più famose, che frequentò nella giovinezza e negli anni dell'esilio. Un messaggio esclusivamente antipapale è poi per il S. la Monarchia; la stessa adesione alla parte guelfa non è altro che una breve illusione, presto dissipata dalla scoperta che questo partito " lungi dal servire gli interessi della sua patria, non serviva che quelli di Roma, che erano assai differenti "; nel racconto del viaggio per l'oltremondo il poeta frequentemente attacca i pregiudizi di cui la corte di Roma si serviva per abbattere i suoi avversari " e per elevare una potenza la più contraria agli interessi della religione e dell'Italia ".
Al denominatore politico, visto in chiave decisamente contemporanea, cioè con quello spirito che corre attraverso le interpretazioni risorgimentali di D. neo-guelfe o neo-ghibelline che siano, è ricondotta anche la meditazione linguistica del De vulg. Eloq.: la lingua illustre risponderebbe all'esigenza di superare le barriere di una cultura regionale e di favorire una più ampia circolazione di idee " per accelerare i progressi dello spirito ed i perfezionamenti della società ".
La poesia dantesca è accostata dal S. per via psicologica e biografica: la sincerità artistica delle rime d'amore ha la sua base nella realtà umana del sentimento; i rimatori che precedettero D. non attinsero la sfera dell'arte, perché finsero un sentimento estraneo alla loro vita; la sofferta passione per Beatrice fu la vera scuola di Dante. Parimenti i toni più alti della Commedia sono attinti a un'esperienza di dolore, le cui radici affondano in un complesso gioco di sentimenti e di risentimenti nei confronti della cerchia familiare, dei concittadini, dei potenti con i quali l'esilio lo pose in contatto. Il poema è uno specchio dei tempi, perché al centro è la storia di un'anima risentita nei suoi burrascosi rapporti con la società: di qui anche la sua fisionomia del tutto nuova nei confronti dei poemi di Omero e di Virgilio. In esso si accampano in primo piano personaggi storici, collocati " in una posizione che rialza la loro ordinaria condizione "; anche gli esseri più vili e spregevoli sono visti in una prospettiva, che, ingrandendoli, ne accresce il senso di ammirazione e di orrore.
Naturalmente la simpatia del S. va alla prima cantica: se la poesia di D. è nella forza della passione, nell'incisività dei caratteri, nelle immagini statuarie e gigantesche, essa si affievolisce e perde d'interesse passando al Purgatorio e al Paradiso: se nel Purgatorio, infatti, i dolori sono temperati da una dolce speranza che li sbiadisce, nel Paradiso la felicità suprema finisce per tradursi in una successione monotona, che toglie vibrazioni umane, contrasti, sfumature alla poesia. È vero tuttavia che D. ha cercato di superare questo limite, affidandosi spesso al gioco dei colori e degli effetti della luce, alla danza degli spiriti (ma non evitando del tutto il bizzarro e il grottesco), agli scatti di collera con cui i santi considerano le brutture del secolo. Solo dunque la perduranza dell'umano, l'accento di malinconia così caratteristico che ci fa piangere sulle sventure prodotte dai malvagi nello stesso tempo che accende la nostra ira contro di essi, salvano la poesia del Paradiso, che tanto più naufraga nel vuoto disputare di un'accademia scolastica quanto più il poeta s'illude di dominare l'aridità della teologia e della filosofia.
La Francesca da Rimini (ms. autogr. nella biblioteca Nazionale di Napoli), fu scritta dopo l'omonima tragedia del Pellico, dalla quale differisce profondamente. In essa non predomina la storia d'amore: l'interesse si appunta sulla lotta tra guelfi e ghibellini, presentata in una luce di fiero anticlericalismo. Paolo si scaglierà contro il " Regno sacerdotal che dell'imbelle / Italia involve la total ruina ". Dopo i primi due atti però il motivo politico è abbandonato e si accampa la storia d'amore, anche se nel tratteggiare i personaggi il S. non dimentica mai la sua passione politica, fino a fare di Lanciotto (così si chiama nella tragedia il marito di Francesca) un'incarnazione del tiranno alfieriano chiuso in un orgoglioso sogno di potere.
Bibl.-A.N. Renzi, Vie politique et littéraire de F.S., Parigi 1834; L.N. Greco, Vita letteraria ossia analisi delle opere di F.S.S., Cosenza 1839; B. Croce, La storia della lett. ital. nel sec. XVII di F.S.S., in Nuovi saggi sulla lett. ital. del Seicento, Bari 1931, 3-11; C. Nardi, La vita e le opere di F.S.S., Roma 1925.