CARLETTI, Francesco Saverio
Nacque a Montepulciano (Siena) il 31 genn. 1740 da una nobile famiglia, insignita del titolo comitale ma di modesta fortuna. Da giovane il C. dedicò particolare cura alla riorganizzazione della proprietà di famiglia e con speculazioni ben riuscite consolidò notevolmente il patrimonio. Non prestò altrettanta cura agli studi: benché di intelligenza vivace, fu però di mediocre sapere a giudizio dei contemporanei che lo conobbero all'apice della sua fortuna. Ambizioso, irrequieto, viaggiò molto, ma ignoti rimangono gli itinerari e il tempo in cui lasciò Montepulciano. Nel 1769 si trovava in Corsica e in amicizia con Pasquale Paoli, proprio mentre avveniva l'invasione francese. Dopo il '70, frequenti e lunghi sono i soggiorni a Roma. Durante uno di questi conobbe Alessandro Verri, Vittorio Alfieri, la contessa d'Albany, con la quale secondo alterne vicende avrà relazione fino alla morte. Nelle conversazioni romane e nei salotti il C. nutre la sua cultura da "orecchiante" e acquista un atteggiamento moderno e spregiudicato. Scoppiata la rivoluzione in Francia, ne segue gli avvenimenti con tale entusiasmo che è costretto a lasciare Roma, accompagnato dalla fama di "amico dei francesi". Arrivato a Firenze dopo la partenza di Pietro Leopoldo (1790), grazie all'amicizia con Neri Corsini è ammesso alle conversazioni nella casa del marchese Manfredini, maggiordomo del granduca Ferdinando III.
è una elezione naturale per il C., dopo la fuga dalla Roma di Pio VI, frequentare il gruppo dei colti fiorentini, detto dei "giacobini", che faceva cerchio intorno al Manfredini ed era caratterizzato da simpatia per i rivoluzionari francesi. Quando il ministro plenipotenziario inglese John Hervey costrinse il granduca a rinunciare alla tradizionale neutralità dello Stato toscano, a chiudere il porto franco di Livorno alle navi francesi e ad entrare nella coalizione europea, il C., ostentando un atteggiamento antinglese, trovò favorevole accoglienza nell'ambiente di corte, dove, ispirate dal Manfredini, attecchivano idee di neutralità e di pacifismo.
Il C., nominato gran ciambellano di corte e cavaliere dell'Ordine di S. Stefano, coltivò con cura la sua fama di "giacobino". Per aver ostentato le idee rivoluzionarie venne a duello, dopo uno scambio di invettive, con il nuovo ministro plenipotenziario inglese William Wyndham, successo nel marzo 1794 all'Hervey. In seguito a questo episodio, che fece molto scalpore, gli fu consigliato di lasciare Firenze ed egli raggiunse Genova dove strinse amicizia con il Cacault. Quando al Manfredini sembrò opportuno tentare un riavvicinamento alla Francia, il C. apparve come l'uomo più adatto per condurre le trattative per una pace separata e il 29 genn. 1795 poté presentare a Parigi le credenziali di ministro plenipotenziario del granduca. In poco tempo riuscì a stipulare (9 febbraio) l'accordo, che venne ratificato il 13 febbraio; il 1ºmarzo Ferdinando III poté di nuovo proclamare la neutralità del granducato di Toscana.
A Parigi il C., come a Roma e a Firenze, riuscì a entrare nella confidenza di molti, intrecciò nuove relazioni (sembra che frequentasse anche la casa di madame de Stael: cfr. Greppi, p. 193), concepì ampi e diversi disegni. Da una parte, appoggiando le aspirazioni pacifiste del Manfredini e di alcuni membri della Convenzione, cercò di favorire un progetto di pace separata fra Austria e Francia; dall'altra si eresse a protettore della figlia di Luigi XVI, tenuta prigioniera al Tempio. Ripetutamente domandò il permesso di visitare Madame Royale in nome della parentela che la legava al granduca e in nome dei sentimenti di umanità e generosità della nazione francese. Tanto poco diplomatica fu la sua insistenza che il Direttorio, ad una ennesima richiesta, rispose con un decreto di espulsione del C. dalla Francia.
Il 29 dic. 1795 egli lasciò Parigi e l'incarico diplomatico, ma il fatto non influì sui rapporti dei due governi. Il Direttorio precisò che il provvedimento riguardava la sola persona del ministro, né il granduca si risentì con i Francesi per l'espulsione, ma si affrettò a sostituirlo con Neri Corsini.
La vicenda, alla quale è rimasta legata la fama del C., rimane in gran parte oscura per mancanza dei documenti relativi alla missione, distrutti su ordine di Ferdinando III all'arrivo dei Francesi; sono andate perdute anche le memorie e il testamento del Carletti. Soprattutto rimane difficile stabilire quale parte abbia giocato nella vicenda l'iniziativa personale del C. e quanto abbiano influito le istruzioni del governo toscano. Certamente, a questo riguardo, può apparire sospetta la fretta con cui la corte granducale volle chiudere l'incidente, mentre a Parigi il Corsini si adoperava a dimostrare la colpevolezza del solo Carletti.
Il C., rientrato a Firenze, non ebbe modo di giustificarsi: non fu ricevuto a corte, né dallo stesso Manfredini. Tacitamente invitato a ritirarsi in provincia, si stabilì per qualche tempo in Siena, ove, per il troppo ostentato desiderio di ottenere una riabilitazione e per il fare da "grand ministre", fu soggetto ad aspre critiche. Solo dopo l'occupazione francese ottenne nuovi incarichi pubblici; chiamato a far parte del Consiglio d'Etruria nel 1802, mentre aspirava, secondo quanto riferisce la contessa d'Albany, a divenire primo ministro, morì a Firenze il 12 ag. 1803.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Minist. Esteri, Appendice (Corresp. de la légation à Paris), nn. 10 (1795, alcuni biglietti del C.), 11 (1796, 6 e 9 gennaio: lettere di Neri Corsini); V. Alfieri, Vita, giornali, lettere, a cura di E. Teza, Firenze 1846, pp. 412-14; Id., Vita, a cura di E. Bertana, Firenze 1924, p. 24; Lettres inédites de la comtesse d'Albany à ses amis de Sienne, a cura di L. G. Pélissier, Paris 1904, ad Ind.;A. Zobi, Manuale stor. delle massime degli ordinamenti vigenti in Toscana, Firenze 1847, pp. 257-59; Id., Storia civile della Toscana, III, Firenze 1551, pp. 128-40; A. von Reumont, Manfredini und C., in Histor. Zeitschrift, XXIV(1870), pp. 94-124; Id., F.Manfredini e la politica toscana nei primi anni di Ferdinando III, in Saggi di storia e letter., Firenze 1880, pp. 93-153; A. Morena, Giudizi sulla Rivoluz. francese nella corte del granduca Ferdinando III, in Arch. stor. ital., s. 5, XVI(1895), pp. 280-83 (l'articolo si documenta sulle memorie di L. Pignotti, Erequentatore di casa Manfredini); A. Franchetti, Storia d'Italia dal 1789 al 1799, Milano 1901, pp. 100, 136 e passim (con ampia bibl.); La Rivoluz. francese nel carteggio di un osservatore italiano (P. Greppi), a cura di G. Greppi, Milano 1900-04, passim;A. D'Ancona, Memorie e documenti di storia ital. dei secc. XVIII e XIX, Firenze 1914, pp. 182-186, 248; E. Lazzareschi, I Commentari della Rivoluz. francese di L. Papi, in Boll. stor. lucchese, VI(1934), pp. 145-59; R. Nuti, Toscana e Francia nel 1794in un carteggio Corsini-C., in Rass. stor. del Risorgimento, XXIII(1936), pp. 285-300; F. Boyer, Les relations artistiques entre la France et la Toscane de 1792 à 1796, in Revue des études ital., XXI(1956), pp. 23 s.; Id., Il primo sbaglio del conte C. a Parigi, in Rass. stor. toscana, III(1957), pp. 45-50.