SAMBIASE (Sambiasi, Sanbiase), Francesco
SAMBIASE (Sambiasi, Sanbiase), Francesco. – Nacque a Cosenza nel 1582 da Flaminio, patrizio di Cosenza, e da Giulia Passalacqua, figlia di Camillo, patrizio di Cosenza e secreto della Provincia di Calabria, e di Isabella Ferrari.
Appartenne a pieno titolo alla seconda generazione di gesuiti savants che operarono in Cina nel XVII secolo grazie alle competenze scientifiche sviluppate negli anni di studio presso i collegi gesuitici di Roma, Napoli, Messina e Coimbra.
Come il fratello maggiore, Giovanni Andrea (1578-1626), martire in India, Sambiase fece il suo ingresso nella Compagnia di Gesù il 20 ottobre 1602 a Napoli (Roma, Archivum romanum Societatis Iesu [ARSI], Neapolitani, 81, c. 66) e presso il collegio gesuitico napoletano ricevette una formazione che lo rendeva particolarmente adeguato alle missioni in Asia. Infatti, grazie al diretto intervento di Cristoforo Clavio, a partire dagli anni Novanta del Cinquecento, il cursus napoletano comprendeva anche una lettura di matematiche, indipendente da quella di filosofia naturale e tenuta, con brevi interruzioni, da Giovanni Giacomo Staserio, allievo di Clavio al Collegio romano (Cfr. R. Gatto, Tra scienza e immaginazione. Le matematiche presso il collegio gesuitico napoletano (1552-1670 ca.), Firenze 1994, pp. 31-33, 76-80; Baldini, 2000, p. 86).
Tuttavia non furono le competenze scientifiche acquisite a spingere Sambiase a scrivere al generale Claudio Acquaviva per chiedere, come tanti altri indipetae, di essere inviato in Asia «nell’occasioni del patire e di missioni pericolose» (ARSI, Fondo gesuitico, 734, c. 259; G.C. Roscioni, Il desiderio delle Indie, Torino 2001, pp. 182 s.), bensì appunto il desiderio di immolarsi, impulso piuttosto comune tra i novizi della giovane famiglia religiosa che aveva fatto della professione del quarto voto di obbedienza al pontefice circa missiones il tratto essenziale del proprio carisma.
La richiesta venne accolta e Sambiase fu prescelto da Acquaviva per la missione cinese insieme ai confratelli Pierre Van Spiere e Giulio Aleni con i quali si imbarcò il 23 marzo 1609 sulla Nossa Senhora da Piedade alla volta di Macao, ove giunse nel 1610 (Aleni, 1630, 2010, p. 83; J. Wicki, Liste der Jesuiten-Indienfahrer 1541-1758, in Portugiesische Forschungen der Görresgesellschaft, a cura di H. Flasche, 1. Reihe, Aufsätze zur Portugiesischen Kulturgeschichte, VII, 1969, p. 555). Benché fosse inizialmente destinano alla missione gesuitica in Giappone, le sue competenze astronomico-matematiche costituirono la ragione primaria della sua destinazione alla missione cinese. Com’è noto infatti Matteo Ricci aveva più volte richiesto a Christopher Grienberger, succeduto a Clavio alla cattedra di matematica presso il Collegio romano, strumenti e libri di matematica, nonché «qualche Padre che sapesse molto bene di matematica, particolarmente di astrologia» (Fonti Ricciane, 1949a, p. 18).
Sambiase soggiornò nell’enclave portoghese sino al 1613, molto probabilmente per completare gli studi teologici e la formazione scientifica, insegnando matematica per un anno presso il collegio di San Paolo (ARSI, Japonica-Sinica, 134, c. 301rv; Baldini, 2008, p. 55). Durante questa prima stagione macaese egli, insieme ai confratelli, contribuì in modo significativo a disseminare il primo nucleo di conoscenze sulle osservazioni condotte da Galileo Galilei al telescopio e descritte nel Sidereus nuncius, pubblicato nella primavera del 1610, fungendo da trait d’union tra il Collegio romano e i gesuiti presenti a Pechino, quali, ad esempio, Sabatino de Ursis e Manuel Dias jr. Infatti quest’ultimo riferì delle osservazioni galileiane nel compendio cinese di astronomia Tianwen lüe (De sphaera), stampato nel 1615 (Baldini, 2009, pp. 269 s.).
Nel 1613 gli fu finalmente concesso di recarsi presso la capitale ausiliaria dell’impero Ming, Nanchino, ove continuò lo studio del cinese (ARSI, Japonica-Sinica, II, 15, c. 269), a breve interrotto da una lunga serie di trasferimenti da una residenza all’altra. Fu instancabile nei viaggi nelle province centromeridionali della Cina, rivelando non comuni doti organizzative nonché una certa intraprendenza nel gestire i rapporti con le autorità cinesi. Nel 1614 si trasferì a Hangzhou per sostituire Feliciano da Silva nella cura pastorale della fiorente comunità cattolica di quella città. In questo periodo, su suggerimento di Xu Guangqi (1562-1633), alto funzionario, convertito e assistente di Ricci nell’impresa di traduzione delle principali opere di scienza europea (A.W. Hummel, Eminent Chinese of the Ch’ing period (1644-1912), I, Washington 1943, pp. 316-319), progettò un viaggio in Corea che tuttavia non riuscì a realizzare (ARSI, Japonica-Sinica, 161, cc. 49-52).
Si trovò a Pechino quando ebbero luogo le persecuzioni anticristiane del 1616, culminate nell’editto di espulsione dei missionari del 1617. Fortunatamente riuscì a riparare a Hangzhou. Tra il 1616 e il 1621 ricevette l’ordinazione sacerdotale e, anziché fare ritorno a Macao, come previsto, si trasferì a Jiading, nell’area metropolitana di Shanghai, su invito di Sun Yuanhua (morto nel 1632; A.W. Hummel, Eminent Chinese of the Ch’ing period, II, Washington 1943, p. 686), importante intellettuale cattolico, mentore dei missionari e discepolo di Xu Guangqi. Durante questo periodo si dedicò alla composizione della sua principale opera in cinese classico: Lingyan lishao (Umili considerazioni sull’anima), stampata nel 1624, basata sul trattato De anima del Cursus Conimbricensis (Coimbra 1598).
Com’è noto, i Commentari di Coimbra, modulati sulla prassi didattica della filosofia aristotelica impartita presso il collegio gesuitico di Coimbra, si proponevano come libri di testo per l’uso dei collegi di arti (cfr. C. Casalini, Aristotele a Coimbra, Roma 2012). Così come il Cursus era stato, almeno in parte, opera di squadra, lo fu anche l’impresa traduttiva dei suoi testi principali in cinese. In particolare il De anima, postulando la tripartizione dell’anima in vegetativa, sensitiva e intellettiva, si prestava a una lettura comparata con la tradizione cinese della duplice natura dell’anima, concezione che tuttavia occorreva chiaramente integrare con la nozione cattolica di anima immortale, onde non dar luogo a fraintendimenti da parte dei lettori cinesi. Occorre peraltro segnalare che l’anno precedente la comparsa di questo testo, il confratello Giulio Aleni aveva dato alle stampe il Xingxue cushu (Studio della natura umana), opera nella quale la concezione aristotelica veniva integrata alle nozioni sulla natura umana proprie della teologia fondamentale e dell’antropologia teologica.
Il 2 febbraio 1625, mentre si trovava ancora nell’area suburbana di Shanghai, Sambiase fece la solenne professione del quarto voto. Nel 1628 si recò a Kaifeng (Henan) ove fondò una nuova comunità cristiana che fu oggetto delle sue cure pastorali sino al trasferimento nelle regioni dello Shanxi e dello Shandong e infine nuovamente a Nanchino dal 1631 al 1643. Risale al 1629 la stampa di Shuihua erda (Due risposte sulla pittura e sul sonno), opera tanto astrusa da essere stata erroneamente inscritta tra le trattazioni intorno alle regole della prospettiva lineare (J. Needham, Science and civilization in China, IV, Cambridge 1971, t. 3, p. 111), mentre in realtà, per la sua composizione, Sambiase si servì di alcuni scritti minori di Aristotele, tra i quali i Parva naturalia, probabilmente con l’intenzione di completare il progetto, iniziato con Linyan lishao, di rendere accessibile in cinese classico il nucleo del pensiero aristotelico sull’anima e sulle attività mentali durante gli stadi del sonno e della veglia (Corsi, 2012, pp. 427-442). A questo periodo probabilmente risale l’attività di revisore, insieme ad Alfonso Vagnoni, del Xiguo jifa (Metodo mnemotecnico) di Ricci (copie presso Roma, Biblioteca nazionale, Fondo gesuitico, 72.C.471; presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Borgiani cinesi, 324, 4, Raccolta Generale Oriente III, 227, 7; in ARSI, Japonica-Sinica, 10, II, e alla Biblioteca nazionale di Francia, Courant, 5656).
In una lettera del dicembre 1629 al padre provinciale, il visitatore André Palmeiro lamentò le sue attitudini eccessivamente politiche, criticandone l’atteggiamento accomodante nei confronti dello stile di vita cinese che Sambiase riteneva dovesse essere adottato da ogni missionario, anche a costo di fare concessioni alla rigida disciplina della vita consacrata (ARSI, Japonica-Sinica, II, 161, c. 112v; Pina, 2008, p. 173). Durante il decennio di residenza a Nanchino Sambiase venne impiegato nella riforma del calendario, essendosi distinto per aver predetto un’eclissi e aver calcolato la longitudine e latitudine della capitale ausiliaria. Al 1639 risale la compilazione della mappa terrestre, basata su quella che Ricci aveva prodotto nel 1602: Kunyu quantu (Mappa completa dell’orbe, cfr. A. Heirman, P. De Troia, J. Parmentier, Francesco Sambiasi, a missing link in European map making in China?, in Imago Mundi, 2009, vol. 61, 1, pp. 29-46).
Durante questo periodo Sambiase trasformò numerose cappelle in citang (templi domestici), in genere rispettati dalle autorità che si erano astenute dal profanarli durante le persecuzioni del 1616-17 (e così sarebbe avvenuto anche in quelle del 1664; A. Chan, Towards a Chinese Church: the contribution of Philippe Couplet S.J. (1622-1693), in Philippe Couplet, S.J. (1623-1693). The man who brought China to Europe, a cura di J. Heyndrickx, Nettetal 1990, p. 70). Durante il secondo periodo di residenza a Nanchino, Sambiase allacciò rapporti di amicizia con alcuni figli dell’imperatore Wanli e, allorché uno di essi venne insediato come imperatore Hongguang (1644-45) nella capitale ausiliaria, questi lo prescelse come suo ambasciatore, inviandolo in missione a Macao con lo scopo di ottenere l’appoggio militare portoghese nella lotta di resistenza all’avanzata dei Mancesi. Sambiase accettò la patente de Embaixador e indossò le insegne mandarinali, previa approvazione dei superiori, i quali gliela concessero alla condizione che il culto fosse liberamente permesso ai fedeli, unitamente alla possibilità di edificare chiese (Lisbona, Biblioteca da Ajuda, Jesuítas na Ásia, 49-V-13, c. 381v; Madrid, Real Academia de la Historia, Archivos del Japón, Jesuitas, legajos 21, f. 12, cc. 1025-1046).
La missione tuttavia non ebbe esito positivo per la deposta dinastia dei Ming, anche se Sambiase riuscì a negoziare concessioni commerciali con le autorità di Canton in favore dei portoghesi. Hongguang morì prima dell’arrivo di Sambiase a Macao, ma il successore Longwu lo confermò nell’incarico. Non avendo ottenuto l’appoggio portoghese, fu costretto a fare ritorno in Fujian, ove la corte era esiliata. Nonostante la sconfitta, Longwu gli consegnò un lasciapassare e un permesso di edificare una chiesa a Canton (ARSI, Japonica-Sinica, 134, c. 336rv). Per celebrare la sua dipartita, il 4 gennaio 1646, l’imperatore compose un poema in onore dell’amico missionario, conferendogli un alto grado mandarinale (Parigi, Biblioteca nazionale di Francia, Courant, 1323).
Trascorse gli ultimi anni a Canton ove morì nel gennaio del 1649 (ARSI, Historia Societatis, Defunti, 47, c. 27r; J. Fejér, Defunti secundi saeculi Societatis Jesu, Roma 1990, p. 17).
Il contributo di Francesco Sambiase alla vita della missione gesuitica in Cina è significativo non solo da un punto di vista intellettuale, ma forse soprattutto da un punto di vista logistico, in quanto egli fu un valido amministratore delle comunità cristiane costituite nella Cina centromeridionale, nonché per i privilegi accordatigli dalle autorità civili.
Fonti e Bibl.: ARSI, Japonica-Sinica, 123, Relação das couzas que aconteçerão e aconteçem na pessoa do Padre F. S. no Reino da China e em Macau, cc. 158, 164, 168, 174; ms. 1646 (Hum-Quam rex Sinarum), c. 174; Lisbona, Biblioteca da Ajuda, Jesuítas na Ásia, 49-V-12, 49-V-13 (F.G. Cunha Leão, Jesuítas na Ásia. Catálogo e guia, I, Lisbona 1998, pp. 285, 287, 290, 293, 296, 300); Madrid, Real Academia de la Historia, Archivos del Japón, Jesuitas, legajo 21, f. 12, cc. 1025-1046.
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