ROSSI, Francesco (Checco, Cecco di Meletto, Cecco di Mileto)
– Di origine sicuramente forlivese, figlio di un Meletto o Mileto e di madre ignota, non è noto l’anno di nascita, ma è probabile che venisse alla luce intorno al 1320, deducendosi ciò dal fatto che egli definì Giovanni Boccaccio maior.
Secondo alcuni, il patronimico «de Mileto» o «Meletti» varrebbe piuttosto come ‘detto Meletto’, quindi come soprannome. La questione non sussiste perché anche l’espressione ‘detto Meletto’ può valere come patronimico, dal momento che talvolta il soprannome non era altro che il nome del padre. Il cronista forlivese del secondo Quattrocento Leone Cobelli lo chiamò, sbagliando, «Checco dei Luzzi».
Non si hanno notizie di lui fino agli anni Quaranta, ma sicuramente intraprese studi giuridici e fu notaio, dal momento che il 28 giugno 1348 la sua firma, «ser Franciscus de Rubeis», è apposta, come notaio aggiunto, in una copia autentica di una bolla di conferma di beni e privilegi emessa da Clemente VI nel 1347 a vantaggio dell’Ordine agostiniano di cui usufruirono, naturalmente, anche gli agostiniani di Forlì. Fu segretario e cancelliere di Francesco II Ordelaffi: sicuramente dal 1354, ma quasi per certo già in quel biennio 1347-48 in cui Boccaccio soggiornò presso la corte forlivese. La sua fama è in effetti prevalentemente legata alle due egloghe bucoliche in esametri latini che scambiò con Boccaccio, da lui conosciuto personalmente in tale occasione. La critica più recente tende ad attribuire entrambe le composizioni alla fine degli anni Quaranta, diversamente da quanto aveva ritenuto Augusto Campana (secondo il quale la seconda egloga di Rossi risaliva al 1353).
L’importanza di questo epistolario bucolico – quattro componimenti: due di Boccaccio e due di Rossi in risposta – è stata compresa appieno da poco grazie a studi che l’hanno collocato come inizio della ripresa di tale genere letterario. Giunta dall’eredità classica di Teocrito e Virgilio e imperfettamente ripristinata dopo un silenzio di secoli da Dante nella sua corrispondenza con Giovanni del Virgilio, la poesia bucolica fu condotta a nuova e completa maturazione e offerta all’ammirazione del pieno umanesimo soltanto da Boccaccio, che con Rossi fece le sue prime sperimentazioni, passando dal semplice idillio alla risentita allegoria politica concepita secondo una inalterata veste formale schiettamente pastorale. Ciò è ben testimoniato dal terzo componimento, e secondo del Boccaccio, l’egloga Tempus erat placidum dell’epistolario (poi divenuta Faunus nel Buccolicum carmen), dedicata, sulla falsariga dell’Argus di Francesco Petrarca, alle tormentate vicende del Regno di Napoli degli anni 1347-48 in cui i protagonisti, Roberto d’Angiò, Andrea d’Ungheria, Luigi d’Ungheria, Giovanna I di Napoli e lo stesso Francesco II Ordelaffi, figurano con i fittizi nomina pastorum della tradizione bucolica virgiliana; le questioni adombrate, però, sono di stretta e bruciante attualità e vengono esposte a Menalca. il nome pastorale di Boccaccio, da Meris, altra maschera bucolica sotto la quale il certaldese cela l’identità di Rossi.
Quanta e quale rilevanza rivestissero per Boccaccio queste prove sperimentali è rivelato dal fatto che inserì successivamente le sue due egloghe, modificate e levigate alla luce del magistero petrarchesco e ormai fuori dall’originaria cornice epistolare, nel successivo, più maturo e ambizioso Buccolicum carmen (sedici egloghe dialogate), conservandovi tuttavia la figura di Meris. Rossi-Meris. esponendo a Boccaccio-Menalca la drammatica sequenza dei fatti occorsi nel Regno di Napoli in cui fu coinvolto anche il suo signore Francesco II Ordelaffi (Faunus), svolse dunque la funzione di guida di Boccaccio in questo momento di trasformazione di un genere non secondario della nostra storia letteraria.
Certo, l’approccio di Rossi fu assai diverso da quello di Boccaccio e gli esiti sicuramente più modesti sul piano qualitativo. Rossi, a esempio, escluse, forse per coscienza della propria inadeguatezza, l’apertura sull’orizzonte storico-politico, limitandosi ad affermare che gli affanni della vita e le urgenze della guerra non avrebbero consentito di prendere in mano la cetra, come l’autore del Decameron nella sua prima egloga lo invitava a fare (risposta alla prima egloga di Boccaccio; 58 versi, inc. «Iam medium lucis contingere lumine fulvo»; expl.: «alter abit multam cererem prebere colonis»). La replica alla seconda egloga di Boccaccio, l’egloga Faunus (quarta e ultima) è anch’essa abbastanza elusiva e indiretta, constatando Rossi, pur piegatosi all’invito arcadico del suo alto interlocutore, come troppi si dedicassero alla poesia senza vero talento, pur se il campo era felicemente rischiarato da rare figure dotate di autentica eccellenza (così Menalca ovvero Boccaccio); il timbro è comunque velato di malinconia, ammettendo Rossi il carattere illusorio della poesia bucolica costretta per sua natura a cedere alla dura realtà dei fatti (42 versi, inc.: «Non tam prepetibus captabant ethera pennis»; expl.: «Finis erat; solitos repetebant cuncta recessus»).
In anni imprecisati, Rossi ebbe dimestichezza e familiarità con un altro poeta e giurista suo concittadino, Nerio o Nereo Morandi, segretario, a sua volta, dell’imperatore Carlo IV di Boemia.
Quando Innocenzo VI, da Avignone, lanciò la ‘crociata’ (1356-59) diretta dal cardinale castigliano Egidio di Albornoz contro Francesco II Ordelaffi, reo di avere ripetutamente tenuto atteggiamenti ostili verso la Chiesa, Rossi – già in familiarità epistolare con Petrarca – scrisse una lettera al poeta, all’epoca a Milano, pregandolo di intercedere presso i Visconti per ottenere da loro un intervento militare in appoggio al suo signore, o almeno perché essi si adoperassero per la pace. La lettera di risposta di Petrarca, del 26 ottobre 1356, fu però deludente per Rossi, ammettendo il poeta di non avere alcuna influenza a corte per cose riguardanti la politica. Non è noto se Francesco II Ordelaffi fosse o meno al corrente dell’iniziativa del suo segretario.
Dopo la presa di Forlì a opera delle truppe della Chiesa il 4 luglio 1359, Rossi passò dalla parte del cardinale Albornoz e successivamente prestò i suoi servizi nella cancelleria di Malatesta ‘Ungaro’ Malatesti, come ci è reso noto da alcune epistole in prosa risalenti agli anni 1361-63.
Dopo il 1363 non abbiamo più alcuna notizia che lo riguardi. Si ignora la data di morte: la scarsità dei dati biografici è dovuta al fatto che l’archivio degli Ordelaffi andò disperso nel 1480 con la fine della dinastia né è mai più ricomparso, nonostante le ricerche degli studiosi.
Non sappiamo nulla circa la sua discendenza, ma è assai verosimile che abbia avuto almeno un figlio. Testimonierebbe ciò, anche se la prova è solo onomastica, l’esistenza di un certo Meletto o Mileto di Checco Rossi, fisico, medico e astrologo, presente presso Sinibaldo Ordelaffi nel 1380 e che congiurò nel 1385 per porre fine al dominio di quest’ultimo.
Rossi è dunque ancora oggi ricordato, nonostante la piuttosto evanescente biografia, per la sua attività letteraria, che comprese anche due sonetti nell’ambito di una tenzone poetica che vide in lizza anche Petrarca, Boccaccio e Antonio da Ferrara, e altri brevi componimenti inediti; mentre sembra perduto un carme a favore di Francesco II Ordelaffi vinto dalla ‘crociata’ che si era abbattuta su di lui.
La lingua di Rossi affonda le sue radici nella letteratura latina classica acquisita senza sostanziali e personali modifiche o innovazioni stilistiche e riproposta, a differenza dei brillanti esiti raggiunti da Boccaccio, con minore linearità e con qualche artificiosa meccanicità. Oltre che il Virgilio delle Bucoliche e dell’Eneide e, soprattutto, l’Ovidio delle Metamorfosi, spia, questa consuetudine con il poeta di Sulmona, della sua vasta erudizione classico-mitologica, il forlivese mostra di conoscere a fondo anche autori a lui più o meno contemporanei come Dante, Giovanni del Virgilio, di cui riprende il ruolo nella corrispondenza avuta da questi con l’Alighieri, e Albertino Mussato.
Di lui non parlano i cronisti forlivesi posteriori come Girolamo Fiocchi, Giovanni di Mastro Pedrino Depintore e Andrea Bernardi, detto Novacula; anche se gli Annales forolivienses lo citano in qualità di poeta apprezzato da Petrarca. Scarsa anche la fortuna extra moenia, da un lato perché i testi bucolici boccacciani della corrispondenza rifluirono poi nel più prestigioso Buccolicum carmen, dall’altro perché Rossi, a differenza del ben noto Giovanni del Virgilio, docente allo Studium bolognese, fu soltanto un oscuro segretario. Non a caso, dunque, le edizioni della corrispondenza, a partire dal 1720 (princeps), mentre riproducevano integralmente i due testi di Boccaccio assieme con altri suoi carmina latini, per Rossi tendevano a limitarsi a riproduzioni parziali o addirittura soltanto a cenni. Questa insoddisfacente situazione è stata alfine superata nel 2011 con l’edizione critica integrale, commento e introduzione della corrispondenza fra i due curata da Simona Lorenzini (La corrispondenza bucolica tra Giovanni Boccaccio e Checco di Meletto Rossi. L’egloga di Giovanni del Virgilio ad Albertino Mussato, Firenze 2011).
Fonti e Bibl.: S. Marchesi, Supplemento istorico dell’antica città di Forlì in cui si descrive la provincia di Romagna, Forlì 1678, p. 290; P. Bonoli, Storia di Forlì distinta in dodici libri corretta ed arricchita di nuove addizioni, Forlì 18262, I, p. 403, II, pp. 24, 39; L. Cobelli, Cronache forlivesi dalla fondazione della città sino all’anno 1498 pubblicate per la prima volta di su i manoscritti, a cura di G. Carducci - E. Frati, con notizie e note di F. Guarini, Bologna 1874, pp. XXI, 2, 128, 432; Annales forolivienses ab origine urbis usque ad annum MCCCCLXXIII, a cura di G. Mazzatinti, in RIS, s. 2, XXII, 2, Città di Castello 1903-1909, p. 108; F. Torraca, Cose di Romagna in tre egloghe del Boccaccio, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, s. 4, II (1911-1912), 1-3, pp. 1-17; G. Pecci, Gli Ordelaffi Signori di Forlì, Faenza 1955, pp. 54-56, 60 s., 99; A. Campana, Rossi, Checco di Meletto, in Enciclopedia dantesca, IV, Roma 1970, pp. 1044 s.; A. Calandrini - G.M. Fusconi, Forlì e i suoi vescovi. Appunti e documenti per una storia della Chiesa di Forlì, I, Dalle origini al secolo XIV, Forlì 1985, pp. 872 s., 996; S. Spada, Gli Ordelaffi Signori di Forlì e di Cesena, Cesena 2011, p. 121; Id., Sulle tracce delle carte perdute degli Ordelaffi. Ipotesi di ricerca tra autostrade e sentieri, in Studi romagnoli, LXIV (2013), pp. 563-583; G.M. Anselmi, Boccaccio e la cultura umanistica in Romagna, in Boccaccio e la Romagna. Atti del Convegno..., Forlì... 2013, a cura di G. Albanese - P. Pontari, Ravenna 2015, pp. 34, 38; G. Albanese, Boccaccio bucolico e Dante: da Napoli a Forlì, ibid., pp. 89-118.