ROBORTELLO, Francesco
ROBORTELLO, Francesco. – Nacque il 9 settembre 1516 a Udine da Andrea.
Il padre, nobile oriundo di Ceneda (vi era nato Eliseo, nonno di Francesco), aveva studiato con l’umanista Francesco Diana, ed era notaio di conto e cancelliere del Monte di Pietà di Udine. Francesco ebbe due fratelli: Bernardino, notaio a Trivignano Udinese, ed Elisabetta, con la quale il 31 gennaio 1548 era in lite per l’eredità del padre (il testamento risale al 2 giugno 1547).
Robortello ricevette la prima istruzione a Udine per trasferirsi poi a Bologna e seguire le lezioni di Romolo Amaseo: il discepolato è testimoniato da un lungo epigramma in greco apposto alla Defensio pro Romuli Amasaei auditoribus adversus Sebastiani Corradi calumnias (Bologna 1537), e da una nota autobiografica nel capitolo XLII del secondo libro delle Emendationes (1557, c. 55r). Come scrisse nel De vita et victu populi Romani (1559, c. 5v), già prima dei 23 anni immaginò una tecnica per memorizzare nozioni antiquarie relative al mondo antico, così da poter chiarire prontamente i luoghi difficili degli auctores; presto dunque avvertì l’esigenza di un’efficace metodologia di studio e l’interesse per l’erudizione antiquaria che avrebbero poi caratterizzato la sua attività di docente e studioso.
Verisimile è l’ipotesi di Gian Giuseppe Liruti, che per breve periodo sia stato precettore presso una nobile famiglia fiorentina (forse i Carnesecchi). Certo è che a soli 23 anni, il 5 gennaio 1539, fu nominato alla sua prima cattedra pubblica, a Lucca: il decreto del Consiglio comunale prevede che «magistrum Franciscum Bertellam [sic] de Udine» sia incaricato «ad legendum et docendum litteras grecas et latinas» per sei mesi, con stipendio di dieci scudi mensili; delle due cattedre cittadine di eloquenza, gli fu affidata quella principale, detta di Sant’Alessandro; l’incarico fu rinnovato fino al 1543, con stipendio accresciuto a 162 scudi annuali (decreti del 30 maggio 1539 e 15 marzo 1541).
L’allievo Giovanni Battista Busdraghi nella prefatoria alle recollette del corso virgiliano tenuto dal maestro (è nella miscellanea di scritti edita a Firenze nel 1548, pp. 288-293) informa che a Lucca Robortello lesse Cicerone (De oratore, Tusculanae, De officiis, Epistulae ad Atticum), Orazio (Epistulae), Quintiliano e Virgilio (Aeneis). Avviò allora anche uno scambio epistolare con Piero Vettori, cui indirizzò due lettere (Clarorum [...] epistolae ad Petrum Victorium…, 1758, pp. 10 s.). Nella seconda (28 gennaio 1540), elogia l’amico che gli aveva inviato le sue Adnotationes posteriores al testo delle Familiares di Cicerone; al contempo, lo invita a studi d’interesse maggiore: riteneva che l’impegno filologico di Vettori non garantisse acquisizioni durature, ma revocabili in dubbio all’apparire di manoscritti più affidabili – per dimostrarlo fornisce un elenco di variae lectiones a suo giudizio preferibili alle varianti proposte da Vettori. Questi da parte sua, il 1° febbraio 1540, rispose con una lettera (è nella sua raccolta epistolare, Firenze 1586, p. 14), con la quale difese il proprio impegno filologico; un’altra lettera di Vettori a Robortello è nella stessa raccolta (p. 37): non datata, è successiva al 1549, quando Robortello aveva già lasciato Pisa per Venezia.
A Lucca Robortello conobbe nel 1541 Francesco Florido, il quale era al corrente di una traduzione poetica degli inni di Callimaco compiuta da un giovane udinese, ma rimasta inedita (a tale lavoro Florido accenna nella raccolta di sue opere In M. Actii Plauti [...] calumniatores apologia, Basilea 1540, p. 314 r. 31). Robortello stesso dichiara di essere quell’udinese nelle Annotationes (1543, poi ristampate nella raccolta che ha in apertura il De historica facultate, 1548, p. 124), cioè nel suo primo contributo filologico, il cui terzo capitolo è dedicato al restauro di luoghi callimachei, compiuto anche tramite un manoscritto oggi non più conservato (Carlini, 1966-1969, p. 56).
Grazie al favore di Francesco Campana, il 19 settembre 1543 fu nominato docente presso lo Studio di Pisa. Ottenuta licenza dalla cattedra di Lucca il 16 ottobre 1543, assunse il nuovo incarico che mantenne per i successivi sei anni. Oggetto dei suoi studi furono soprattutto Aristotele, con la Retorica e la Poetica (così testimonia Francesco Spino il quale, in una lettera a Vettori del novembre 1545, in Clarorum [...] epistolae ad Petrum Victorium, 1758, pp. 41-43, descrive Robortello impegnato a chiarire all’uditorio alcuni termini della Poetica), e Cicerone, con il De inventione. Ne sortirono due lavori, pubblicati entrambi a Firenze nel 1548 per i tipi di Torrentino, cioè il commento alla Poetica (alcuni passi furono anticipati in una lettura presso l’Accademia fiorentina, Firenze, Biblioteca nazionale, II.IV.192, cc. 244-250) e la raccolta saggistica che ha in apertura il De historica facultate. Entrambi i volumi furono realizzati con il sostegno di Cosimo I, fautore di un progetto culturale funzionale ad avallare il proprio dominio politico: a lui Robortello dedica il commento, esaltando i meriti del principe. Nel successivo indirizzo al lettore con orgoglio Robortello sottolinea la priorità e dunque la difficoltà dell’opera, e fin da principio afferma una concezione edonistica della poesia (p. 2: «Poetice, siquis diligenter attendat, omnem suam vim confert ad oblectandum, etsi prodest quoque»), ben diversa da quella moralistica prevalente in età controriformistica.
Anche nell’esordio del De historica facultate Robortello dichiara l’originalità del suo scopo, quello di definire arte e metodo della storia (c. Aijv). Se a giudizio di Sesto Empirico (autore all’epoca ai più ignoto) la storia è un accumulo di fatti disordinato, secondo Robortello, al contrario, essa è spiegazione di azioni compiute dagli uomini, e il suo metodo va identificato con quello della retorica. Di tale metodo è sprovvista l’annalistica, che manca di discorsi verisimili, come sono, per esempio, quelli attestati nell’opera di Tucidide: ciò che dimostra essere la storia figlia della retorica (l’argomentazione, come segnala Carlo Ginzburg, 2006, è contraddittoria con la premessa secondo cui la storia spiega, non inventa). Robortello specifica, inoltre, che la storia considera azioni pubbliche e private, si interessa cioè del particolare, in contrapposizione alla poesia, la quale è rivolta all’universale; contrariamente alla poesia, che può cominciare la narrazione in medias res, la storia segue l’ordine cronologico; è fondamentale in essa la documentazione antiquaria, quella utilizzata da Tucidide nel VI libro (parr. 54-55), dove un’epigrafe diviene un documento probante.
Nella stessa collezione di scritti è pubblicata l’ode greca Βιοχρησμῳδία (‘profezia sulla vita’; alle pp. 278-285, riedita e tradotta in Liruti, 1762, pp. 459-464), un’autocelebrazione la quale comprova l’eccellente conoscenza del greco, ma anche lo «spirito di vanità» che era suo proprio.
Il 1° marzo 1547 Giovanni Battista Egnazio aveva chiesto al Senato veneziano di essere dispensato dalla docenza di umanità presso la Scuola di San Marco. Il Senato aveva acconsentito e la cattedra, supplita momentaneamente da Bernardino Partenio, fu assegnata a Robortello con stipendio di 220 ducati annui (delibera del 4 aprile 1548; Venier, 2003, p. 280). Robortello raggiunse Venezia nel giugno del 1549; nell’autunno sposò Camilla, figlia dell’udinese Antonio Belloni, notaio, amico e compagno di studi del padre Andrea, e con il quale Robortello stesso era in continuativo contatto – l’epistolario di Antonio Belloni (Udine, Biblioteca civica, Fondo Principale, 565) è fonte diretta di notizie su Robortello e ragguaglia anche sulla trattativa per la dote, pattuita in 650 ducati (Sachs, 1915, pp. 81 s.).
Robortello avviò l’insegnamento veneziano il 30 ottobre 1549; oggetto delle sue lezioni furono le opere retoriche di Aristotele e Cicerone, e l’anno successivo, sempre di Aristotele, i libri Della politica (prolusione pubblicata a Venezia nel 1552, con titolo De fine et materie politicae scientiae seu artis disputatio…). Nel 1550 entrò in conflitto con il predecessore Egnazio: un evento oscuro, con risvolti violenti – Egnazio avrebbe assalito Robortello con un pugnale, stando alla testimonianza di Robortello in una lettera a Belloni del maggio 1550 (Venier, 1998, pp. 59 s.) –, invano Belloni, legato anche a Egnazio da lunga frequentazione, cercò di fare da paciere.
Nel maggio del 1552 Robortello fu chiamato presso l’Università di Padova alla cattedra di umanità greca e latina, che era stata di Lazzaro Bonamico. In quello stesso 1552 pubblicò le prove forse più impegnative della sua carriera, tutte concepite e realizzate nel triennio veneziano: l’editio princeps di Eliano (Venezia, A. e G. Spinelli), accompagnata da un distinto volume (anch’esso impresso dagli Spinelli), contenente due traduzioni latine, quella di Robortello stesso e di Teodoro Gaza (secondo una modalità attestata nella principale fonte manoscritta usata, Venezia, Biblioteca statale Marciana, Marc. gr., Z.516, entrambi i volumi sono corredati da illustrazioni figurate); l’edizione delle tragedie eschilee (Venezia, G. Scotto) e l’editio princeps degli scholia a quelle stesse tragedie (Venezia, V. Valgrisi), fondata sul ms. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur., 32.9. L’impegno editoriale fu coronato due anni più tardi, nel 1554, dalla editio princeps del trattato Perì hỳpsous, pubblicata a Basilea da Giovanni Oporino, fondata su un apografo non identificato del ms. Parigi, Bibliothèque nationale, Par. gr., 2036. Tali cure ecdotiche contribuirono alla più esatta costituzione di ciascun testo, ma anche focalizzarono concetti chiave della metodologia filologica: l’importanza della tradizione indiretta; la comparazione e l’analisi strutturale come strumenti per individuare interpolazioni presenti in testi drammatici; la fenomenologia degli errori, che spesso dipendono dal passaggio da scritture maiuscole a minuscole (Carlini, 1966-1969, pp. 61-66).
Dalla traduzione latina di Eliano (1552) nacque una riflessione sulla traduzione trasmessa da un breve testo manoscritto (Venezia, Civico Museo Correr, Donà delle Rose, 447, n. 28), in cui la materia è organizzata in un albero diagrammatico; Robortello utilizza qui la stessa metodologia, fondata sulla schematizzazione, usata per presentare i corsi di retorica e testimoniata in manoscritti individuati e illustrati da Lina Bolzoni (1995).
Robortello aveva appoggiato alla sua stessa successione presso la Scuola di San Marco il modenese Carlo Sigonio, benché questi avesse criticato nel De praenominum Romanorum causis et usu (Modena 1550) il De nominibus Romanorum di Robortello (compreso nella raccolta torrentiniana del 1548). Ora, il condiviso interesse per argomenti storico-antiquari generò un’accesa controversia che sfociò in eclatante rivalità: nel 1555 Robortello ripubblicò la Consulum, dictatorum, censorumque Romanorum series curata da Bartolomeo Marliani, accludendovi una lettera in cui contestava la trattazione fatta da Sigonio dei prenomi romani; nello stesso anno Sigonio replicò, pubblicando in appendice alla sua seconda edizione dei Fasti, il trattato De nominibus Romanorum: rifacimento del De praenominum, con un’aggravata serie di critiche a Robortello (tra gli argomenti in discussione è interessante quello sul prenome delle donne romane, considerato autentico da Sigonio, spurio da Robortello). Tra il maggio e il giugno del 1557 Robortello fece imprimere a Padova la miscellanea composta di quattro sezioni con in testa il De convenientia supputationis Livianae (vi sosteneva che le differenze tra le liste consolari di Livio e quelle dei Fasti erano accidentali, non sostanziali come credeva Sigonio). Anche le tre opere successive, il De arte sive ratione corrigendi antiquorum libros disputatio, prima trattazione di critica testuale, e i due libri di Emendationes, contenevano risvolti critici nei confronti del rivale, in particolare dell’edizione liviana da lui curata.
Nel novembre del 1557 Robortello lasciò Padova per trasferirsi a Bologna, dove per il quadriennio 1557-61 subentrò alla cattedra di umanità che era stata di Sebastiano Corradi. Pubblicò qui due trattati, entrambi con dedica a Giovan Battista Campeggi: nel 1559 il De vita et victu populi Romani, opera storico-antiquaria che avrebbe dovuto essere completata da altri tre tomi (ebbe scarsa fortuna ed è oggi severamente giudicata; cfr. McCuaig, 1989, p. 43), e nel 1560 il De artificio dicendi, una rarità bibliografica, riedito dallo stesso tipografo Alessandro Benacci nel 1567, ampio e complesso manuale, suddiviso in molteplici sezioni, funzionale a chiarire e delucidare attraverso procedimenti innovativi i vari aspetti dell’ars rhetorica.
Nel 1561 fu d’autorità richiamato dal Senato veneto presso l’Università di Padova per insegnarvi umanità e filosofia morale, con stipendio di 400 fiorini (come attesta egli stesso nelle Ephemerides Patavinae, [1562], c. 2v): una decisione sorprendente, perché nella stessa Università, nel precedente anno accademico 1560-61, Sigonio era stato nominato, accanto a Giovanni Fasolo, docente di umanità, con stipendio di 300 fiorini. Il rientro di Robortello sortì l’allontanamento di Fasolo e il riaccendersi della disputa con Sigonio, il quale si rifiutò di lasciare la lettura principale a Robortello e di spostare le proprie lezioni alla sera. Il Senato alla fine di novembre del 1561 diede ragione a Sigonio, sicché i due cominciarono a leggere entrambi al mattino in concorrenza, non senza avere anche questionato sull’aula che avrebbero dovuto rispettivamente occupare. Tale ultima e più aggressiva fase della rivalità è testimoniata a stampa dai Disputationum Patavinarum adversus Franciscum Robortellum libri di Sigonio (pubblicati in una prima parte tra aprile-maggio del 1562 e in una seconda nel settembre dello stesso anno) e dalle Ephemerides Patavinae di Robortello (pubblicate nel giugno-luglio del 1562): libelli che facilmente scadono in accuse infamanti, e il cui interesse scientifico e disciplinare è limitato.
La situazione si placò nel 1563, con il trasferimento di Sigonio a Bologna; Robortello continuò a insegnare a Padova per i successivi quattro anni, fino al 10 marzo 1567, quando, ammalatosi, interruppe le lezioni.
Morì otto giorni dopo, il 18 marzo (Padova, Archivio antico dell’Università, 651, c. 254v). Il funerale fu officiato dal francescano Salvator Bartoluzzi e dal servita Giovanni de’ Grandi presso la chiesa del Santo, dove Robortello fu sepolto e commemorato dagli studenti della Natio Germanica, con una effigie e una stele a coronamento del sepolcro.
Opere. Variorum locorum Annotationes tam in Graecis quam Latinis authoribus, Venetiis 1543; In librum Aristotelis De Arte poetica explicationes, Florentiae 1548 (rist. anast. Münich 1968); De historica facultate, disputatio. Laconici, seu sudationis explicatio. De nominibus Romanorum. De rhetorica facultate. Explicatio in Catulli Epithalamium. His accesserunt Annotationum in varia tam Graecorum, quam Latinorum loca libri duo. Ode Græca quae biochrēsmōdia inscribitur. Explanationes in primum Aeneidos Vergili librum eodem Robortello praelegente collectae a Ioanne Baptista Busdrago Lucensi, Florentiae 1548; De convenientia supputationis Livianae Ann. cum marmoribus Rom. quae in Capitolio sunt. De arte, sive ratione corrigendi veteres authores, disputatio. Emendationum libri duo, Patavii 1557; De vita et victu populi Romani sub impp. Caess. Augg. tomus primus, qui continet libros XV [...] Disputationes novem [...] Reliqui tomi, qui tres sunt, excudentur deinceps cum suis commentariis, Bononiae 1559; Ephemerides Patavinae mensis Quintilis. 1562. Adversus Caroli Sigonii Triduanas disputationes. A Constantio Charisio Foroiuliensi descriptae et explicatae fusius. Gabrielis Faerni, Epistola qua continetur censura emendationum Sigonii Livianarum, Patavii [1562].
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 387, Carteggio universale di Cosimo I, c. 103 (12 aprile 1548: lettera a Giovan Francesco Lottini); Padova, Archivio antico dell’Università, 651, cc. 198v, 199v, 206v, 207v, 211v, 217r, 220r, 226v, 238r, 240v, 241(a)r, 242v, 244v, 245r, 248v, 252v, 254v; 737 (Scuole in Venezia. Decreti e terminazioni), cc. 265, 266-269r, 278r; Udine, Biblioteca del Seminario, Schedario Biasutti, s.v. Robortello (segnala documenti presso l’Archivio arcivescovile di Udine, alcuni oggi non reperibili, come il testamento del padre Andrea); Udine, Archivio arcivescovile, Acta Curiae, 349/2, c. 232r (lite con la sorella Elisabetta); Archivio di Stato di Venezia, Consiglio de’ dieci, Comune, reg. 13, c. 185v.
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