RICCHINO, Francesco
RICCHINO (Richini, Richino), Francesco. – Nacque a Bione, in Val Sabbia (odierna provincia di Brescia), da «magister» Crescinbene e da Maria «de Lanfranchis», verosimilmente tra il 1509 e il 1513, perché doveva aver raggiunto la maggiore età nel 1534, quando sottoscrisse in prima persona il contratto dotale per prendere in sposa a Vercelli Letizia Margari (Fiori, 2016b, pp. 104 s., n. 8). Stando a quanto riferisce Antonio Beffa Negrini (1606, p. 368), contemporaneo di Francesco, la sua famiglia era originaria della terra di Soragna, nei pressi di Parma. Non si capisce, quindi, come mai più tardi Leonardo Cozzando (1685, p. 128), seguito poi da numerose voci settecentesche e ottocentesche, lo indichi come originario di Rovato, nel Bresciano.
In merito alla formazione di Francesco è certo da smentire la tradizione, impostasi a partire da Giulio Antonio Averoldo (1700, p. 212), che lo vuole allievo di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, così come l’ipotesi più recente, suggerita da Sandro Guerrini (2000, pp. 218 s.), di un apprendistato con Martino da Gavardo e, successivamente, con Sebastiano Aragonese presso il vicentino Marcello Fogolino, che ha portato ad assegnare erroneamente all’artista alcune opere in collaborazione con Aragonese (ibid.). Le prime notizie sul suo percorso artistico si desumono dal già citato contratto dotale del 1534 e delineano uno scenario diverso. Dalla carta, siglata a Vercelli il 9 giugno 1534, si evince infatti che il «pictor» Francesco a quella data non si trovava più in ambito bresciano, ma risiedeva nella cittadina piemontese, dove prese in sposa una nobile vercellese, ed era in contatto con i pittori Girolamo Giovenone e Bernardino Lanino, che presenziarono come testimoni alla stesura dell’atto (Fiori, 2016b, pp. 104 s., n. 8). Non ci è dato sapere per quali vie e quando il pittore fosse giunto a Vercelli, ma il documento attesta un rapporto con due importanti pittori della scuola di Gaudenzio Ferrari, che nel 1534 risiedeva anch’egli già da qualche anno nella medesima città. Il giovane Ricchino si formò quindi avendo sotto gli occhi i capolavori vercellesi di Ferrari, e in stretto rapporto con la pittura del grande maestro piemontese sono le prime opere note di Francesco: l’affresco strappato con il Compianto (ora in una collezione privata a Lavone di Pezzaze, proveniente da una casa privata a Stravignino di Pezzaze) e quello con la Trinità (Lavone di Pezzaze, S. Maria Maddalena), realizzati per i due piccoli centri della Val Trompia, datati rispettivamente 1538 e 1539 e siglati entrambi «FR» (Guzzo, 1988, pp. 32 s.; Fiori, 2016a, pp. 210 s., tavv. 9.I, II). I due dipinti murali documentano dunque il ritorno in area bresciana di Francesco, che nel corso degli anni Quaranta entrò probabilmente in contatto con la bottega del Moretto, visti i rimandi alla pittura di Bonvicino apprezzabili nelle opere successive e i rapporti, attestati dai documenti, con due suoi allievi: Agostino Galeazzi (testimone al testamento redatto a Brescia da Ricchino nel 1554; Boselli, 1977, II, pp. 78-80) e Giovan Battista Moroni (incaricato nel 1565 con Francesco della decorazione della cappella del Sacramento nella parrocchiale di Romano di Lombardia; Pinetti, 1922, pp. 550 s.).
A partire circa dalla metà del Cinquecento Ricchino fu attivo in più occasioni a Dresda (Fiori, 2016b, pp. 106 s., n. 15, 16, 27). Possiamo ipotizzare almeno tre soggiorni nella città tedesca: il primo, probabilmente tra il 1549 e il 1553 circa, lo vide lavorare al servizio di Maurizio di Sassonia e prendere parte, verosimilmente, alla perduta decorazione del castello di Dresda. Nel secondo, prolungatosi almeno tra l’autunno del 1554 e l’estate del 1555, fu al servizio del successore, il fratello Augusto, presso cui ebbe luogo anche il terzo soggiorno, collocabile forse tra la primavera del 1556 e almeno fino al 1557.
Una lettera di Augusto di Sassonia ci informa che certamente fu impiegato alla corte tedesca come ritrattista, e sappiamo da un contemporaneo, Bartolomeo Arnigio (Rime, 1568, c. 36v), che dovette distinguersi anche come architetto. Delle «molte prove» lasciate a Dresda cui fa riferimento Arnigio rimangono solo due stampe di Virgil Solis da disegni di Ricchino: si tratta del frontespizio e dell’antiporta con il Ritratto di Augusto di Sassonia per un’edizione della Bibbia di Martino Lutero in due volumi stampata a Wittemberg tra il 1558 e il 1561 (Fiori, 2010, p. 360, figg. 186-187; 2016b, p. 106, n. 17).
La mancanza di dipinti sicuri nel quinto e nel sesto decennio del Cinquecento pone non pochi problemi in merito alla definizione della cronologia delle opere di Ricchino. È con estrema prudenza che si propone quindi una collocazione intorno al 1555 della tela documentata (Inventario..., 1931, p. 354) con Abramo e Melchisedech per la chiesa di S. Lorenzo a Palosco, nel Bergamasco (l’Incoronazione della Vergine nella stessa chiesa, erroneamente citata in molta letteratura come opera di Ricchino, è invece di Giovan Paolo Cavagna: L. Bandera, Gian Paolo Cavagna, in Pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Cinquecento, IV, Bergamo 1978, p. 194, n. 102), dove non vi è più traccia della formazione gaudenziana. Tra il 1555 e il 1560 può quindi essere datato il Ritratto di medico (Bartolomeo Arnigio?), di ubicazione sconosciuta, realizzato nel solco della ritrattistica morettesca (Fiori, 2016b, pp. 93 s., fig. 144).
Tornato definitivamente a Brescia almeno dal 1560, Francesco entrò a far parte della prestigiosa Accademia degli Occulti (fondata nel 1563) e pubblicò nella raccolta di Rime degli accademici del 1568 tredici suoi componimenti poetici in volgare (Rime, 1568, cc. 37r-39v, 44v).
In questi anni ottenne diverse commissioni pubbliche e private. Nel 1565 la scuola del Sacramento di Romano di Lombardia lo incaricò di decorare la propria cappella per la parrocchiale del centro bergamasco. Gli affreschi, perduti, vennero portati a termine solo nell’estate del 1567 (per lo stesso ambiente Moroni realizzò una pala tuttora in loco con l’Ultima Cena, verniciata nel 1569 da Ricchino) forse perché il pittore era impegnato nella realizzazione delle quattro grandi tele con Storie di Mosè per il presbiterio di S. Pietro in Oliveto a Brescia (la tela con Mosè spezza le tavole della legge reca la firma e la data 1566). Le opere, lodate da Giorgio Vasari, rivelano un’ampia cultura figurativa in cui si intrecciano rimandi ai romanisti nordici, all’eclettico stile dei Campi e alla pittura del Moretto. Prevale invece la componente morettesca nel tabernacolo eucaristico per la chiesa di S. Filastrio a Tavernole sul Mella (ora in deposito presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia; Fiori, 2014, pp. 268-270, n. 135), firmato e datato 1568, e nella più raffinata Madonna con il Bambino di S. Giorgio a Bovegno in Val Trompia (Guerrini, 1988, pp. 106 s.), portata a termine forse nello stesso giro d’anni.
Ricchino si dedicò con una certa continuità anche alla produzione ritrattistica (Fiori, 2016b, pp. 89-97, figg. 136-141), realizzando le effigi di Agostino Gallo (Seniga, collezione privata, 1565-69 circa; disegno per la xilografia sul verso del frontespizio del testo di Agostino Gallo Le vinti giornate dell’agricoltura et de’ piaceri della villa, Venezia 1569), un perduto dipinto con Bartolomeo Arnigio (firmato e datato 1566), noto grazie a un disegno settecentesco, e un Ritratto di pittore (firmato e datato 1569), di ubicazione sconosciuta: tutte opere che testimoniano le sue singolari qualità in questo campo e nello stesso tempo i suoi debiti nei confronti della ritrattistica morettesca e moroniana. La Figura femminile conservata a Roma nell’Accademia di S. Luca (1566 circa) non è invece un vero e proprio ritratto, ma rappresenta più verosimilmente un’allegoria.
L’ottavo decennio è inaugurato da una commissione fuori dal territorio bresciano. L’artista realizzò infatti per la chiesa di S. Rocco a Vicenza il Martirio di s. Caterina d’Alessandria (1571-72), in cui si mescolano riferimenti alla pittura morettesca, dei Campi e di Giulio Romano (Barbieri, 1998, pp. 360-372).
Ancora nel 1572 e di nuovo nel Bresciano si colloca l’ultima opera firmata e datata dal pittore: l’Annunciazione e i ss. Francesco e Girolamo per la chiesa dell’Annunciazione di Maria a Drugolo, ora in collezione Sorlini (Begni Redona, 2000, p. 50; Fiori, 2010, pp. 360, 365, 370, fig. 188).
L’opera si rivela spoglia ed essenziale e non priva di qualche impaccio che potrebbe far pensare alla partecipazione della bottega.
La stessa composizione semplificata si ritrova nella Madonna con il Bambino, Michele arcangelo e s. Pietro, forse riferibile però ad anni anteriori, realizzata per la chiesa di S. Michele a Gazzane di Preseglie in Val Sabbia (ora in casa parrocchiale; Vaglia, 1948, p. 85), purtroppo decurtata da un furto negli anni Settanta del Novecento e segnata da una radicale adesione alla pittura morettesca.
Nel 1571 Ricchino dettò un nuovo testamento, dal quale sappiamo che si stava prendendo cura dei suoi tre giovani nipoti, Camillo, Feliciano e Ricchino, rimasti orfani della sua unica figlia Caterina (Guerrini, 1990, pp. 282 s.).
Nel documento si destinano gli attrezzi per dipingere agli eredi che giunti all’età di vent’anni avessero dimostrato una propensione per quell’arte.
Francesco morì probabilmente poco prima del 26 aprile 1573, quando venne stilato l’inventario di tutti i suoi beni, nel quale sono registrate anche le opere incompiute dell’artista e la sua considerevole collezione di stampe (Fiori, 2010; 2016b, p. 110, n. 80).
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