PUCCINOTTI, Francesco
PUCCINOTTI, Francesco. – Nacque a Urbino l’8 agosto 1794 da una modesta famiglia di origini contadine che veniva da Saturnana, un villaggio della campagna pistoiese. Il padre, Angelo, era cuoco al servizio dell’arcivescovo Spiridione Berioli di Urbino, e la madre, Vincenza, era figlia di Giovanni Ercoli, addetto alle scuderie dei marchesi Antaldi di Urbino.
A Urbino Puccinotti frequentò il collegio dei padri scolopi, laicizzato e trasformato in liceo durante il Regno d’Italia, e nel 1811, per meriti scolastici, fu ammesso gratuitamente al Liceo militare di Pavia. Qui rimase per due anni, appassionandosi agli studi filosofici e scientifici più che alla carriera militare. Nel 1813 si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Roma e divenne allievo del clinico Giuseppe De Matthaeis, oltre che collaboratore e amico del chirurgo e anatomico Gaetano Flaiani.
Dopo la laurea nel 1816, lavorò per qualche tempo negli ospedali romani del S. Spirito prima e di S. Giovanni in Laterano poi, studiando principalmente le febbri malariche anche attraverso dissezioni anatomiche. Il materiale così raccolto confluì nella Storia delle febbri perniciose di Roma negli anni 1819, 1820 e 1821, pubblicata a Urbino nel 1824. Nello stesso periodo si occupò di altre malattie infettive che colpivano le campagne del Lazio e della Campania, come l’epidemia di tifo petecchiale nel 1817, che riguardò gran parte dell’Italia centrale.
Pubblicò nel 1820 l’opuscolo Dei contagi spontanei e delle potenze e mutazioni morbose credute atte a produrli ne’ corpi umani, in cui sostenne che le malattie contagiose sono causate da esseri viventi microscopici che attaccano specie diverse. Intendeva così polemizzare con Valeriano Luigi Brera, professore di clinica medica a Padova, che interpretava il contagio come l’azione di sostanze nocive che si formano nei corpi malati e aggrediscono una sola specie.
Durante il soggiorno romano, Puccinotti intervenne anche nel dibattito che si era acceso in Italia dopo la pubblicazione, nel 1799, dell’Analisi del preteso genio d’Ippocrate da parte di Giovanni Rasori.
Quest’ultimo aveva criticato la medicina ippocratica in quanto inconsistente e inefficace, promuovendo piuttosto il sistema dinamico-vitalistico del medico scozzese John Brown – di cui aveva tradotto le opere nel 1795 – basato sul principio dell’eccitabilità, secondo cui le malattie sarebbero dovute principalmente ad astenia o difetto di stimoli.
Nel 1819 Puccinotti tenne tre discorsi all’Accademia dei Lincei sul tema Della sapienza d’Ippocrate e della necessità di ristabilire la medicina ippocratica in Italia, in cui si schierò a favore di Ippocrate. Contro le imperversanti teorie astratte, a suo parere, bisognava ritornare all’insegnamento ippocratico, osservazione clinica, ricerca delle cause e terapia che confidasse nella vis medicatrix naturae.
Nel 1822 Puccinotti lasciò Roma per Urbino. Nello stesso anno fu nominato professore di clinica medica all’Università di Fermo, ma non vi prese mai servizio a causa delle difficoltà dell’Ateneo, chiuso definitivamente da papa Leone XII nel 1826. Ebbe intanto diversi incarichi di lavoro in Romagna, uno a Santarcangelo, dove nel 1823 sposò Rosalia Franchini, dalla quale ebbe cinque figli che morirono tutti prima di lui: l’ultima, Virginia, a 25 anni nel 1855, dopo essersi sposata l’anno precedente con Augusto Vittorangeli, protomedico di Urbino.
Puccinotti divenne quindi medico comprimario a Urbino, e nell’autunno del 1824 assistette a un’epidemia che si diffuse tra i maiali nel territorio a Urbino e di Fermo. Tornò a riflettere sul contagio e pubblicò una lettera a Giovanni Bagli intitolata Di una epizoozia contagiosa e dei contagi in generale negli Opuscoli della Società medico-chirurgica di Bologna del 1825.
Qui ribadì che le malattie infettive sono causate da animali microscopici che si trasformano e attaccano specie diverse, e ricondusse queste malattie a un’origine comune, il ‘contagio archetipo primitivo’ che sarebbe esordito con la civiltà stessa: l’uomo, facendosi addomesticatore e allevatore, ha imposto una coabitazione forzata a specie diverse che avrebbe provocato la nascita, lo sviluppo e la diffusione di essere viventi microscopici patogeni.
Nel marzo del 1825 Puccinotti lasciò Urbino per una condotta a Recanati, dove conobbe e frequentò Giacomo Leopardi per pochi mesi – fino all’inizio di luglio, quando Leopardi partì per Bologna – sufficienti però perché tra i due nascesse un’amicizia che durò nel tempo, documentata dallo scambio epistolare. Nel gennaio del 1826 Puccinotti si traferì a Macerata per insegnare patologia e medicina legale all’Università, oltre che per dirigere il manicomio cittadino. Di lì a poco pubblicò due opere che avrebbero avuto entrambe un impatto significativo nella comunità scientifica: la Patologia induttiva nel 1828, in cui è ribadita l’adesione alla medicina ippocratica, che avrebbe dato avvio alla scuola degli eziologisti o iatrofilosofi in Italia; le Lezioni di medicina legale nel 1830, in cui l’esperienza di anatomia patologica è applicata alla soluzione dei casi giuridici, con rassegna e messa a punto delle docimasie. Quella pneumo-epatica, utilizzata per un certo tempo nei casi di sospetto infanticidio, fu conosciuta sotto il suo nome.
Nel 1831 Puccinotti fu espulso da Macerata in seguito al coinvolgimento nei moti rivoluzionari di quell’anno. Iniziò per lui un periodo difficile che nel 1832 lo portò a Civitanova come medico primario. In autunno partecipò a un concorso per la cattedra di patologia generale a Pavia, ma non vi fu mai chiamato per motivi politici, sebbene fosse risultato vincitore. Intanto fu avviata l’edizione delle sue opere apparsa a Macerata in otto volumi tra il 1834 e il 1836. A Civitanova Puccinotti fu colpito da gravi lutti familiari: la morte della moglie e di due figlie. Decise quindi, nel dicembre del 1833, di trasferirsi a Bologna, contando di mantenersi con lezioni private. In attesa del permesso ufficiale, fece lezioni sulle malattie nervose che ebbero successo tra gli studenti, ma poco dopo fu espulso dalla città.
Si rifugiò a Firenze, a casa del marchese Pompeo Azzolino, che era stato protagonista dei moti rivoluzionari del 1831 a Macerata. Qui Puccinotti riprese gli studi filosofici e letterari su Dante e curò la pubblicazione, nel 1834, delle Lezioni sulle malattie nervose tenute a Bologna. Quando nel 1835 il colera scoppiò in Toscana, si preoccupò di osservare l’epidemia a Firenze e a Livorno, e sull’argomento pubblicò nello stesso anno, a Firenze, le Annotazioni cliniche sul cholera-morbus e sulle malattie epidemiche e contagiose, e nel 1836, a Napoli, le lettere ai colleghi Salvatore De Renzi e Vincenzo Valorani. Sempre nel 1836, Puccinotti pubblicò a Firenze la traduzione delle Malattie acute e croniche del medico greco Areteo, dedicandola a Pompeo Azzolino; nel 1837 i Dialoghi intorno alla teoria della flogosi di Giovanni Rasori, appena apparsa e in polemica con questa, come pure l’intervento d’igiene e medicina sociale fatto all’Accademia dei Georgofili, Delle relazioni della medicina con l’economia politica.
Nell’autunno del 1838 il granduca di Toscana Leopoldo II lo chiamò a insegnare igiene e medicina legale all’Università di Pisa. Il 3 dicembre Puccinotti fece la sua prolusione Del carattere civile della medicina, in cui distinse la medicina in tre parti – civile, legale e filosofica – illustrandone i compiti, e pose come modello per i giovani il «medico dei poveri», sostenuto da conoscenza e carità. Tra giugno e luglio del 1839, Puccinotti fece esperimenti di elettrofisiologia sugli animali a sangue caldo con il fisico Luigi Pacinotti, e li presentò al I Congresso degli scienziati italiani svoltosi a Pisa in ottobre. Per l’anno accademico successivo passò alla cattedra di clinica medica e si impegnò perché la fisiologia diventasse a Pisa un insegnamento sperimentale. Sempre nel 1839 uscì a Pisa il primo volume delle sue opere, mentre il secondo apparve a Livorno nel 1846. Nel 1842 Puccinotti fu incaricato da Leopoldo II di studiare l’impatto che la coltivazione del riso avrebbe avuto nelle campagne toscane. Preparò una relazione pubblicata nel 1843, Sulle risaie in Italia e sulla loro introduzione in Toscana, in cui espose i rischi per la salute della popolazione che questa coltivazione avrebbe creato, favorendo la diffusione della malaria. Intanto nel 1842 perse la figlia maggiore, Erminia, di 14 anni, e sposò in seconde nozze Teresa Ludovici di Siena che gli diede nuova prole.
Nel 1843 Puccinotti istituì a Pisa la Scuola ippocratica, un’accademia che doveva promuovere in tutta Italia una medicina ispirata all’insegnamento ippocratico e sostenuta da profondi sentimenti religiosi. Quest’accademia tuttavia non riuscì a decollare e nel 1847 fu chiusa. Intanto, nel 1846, Puccinotti passò alla cattedra di storia della medicina che ricoprì fino al 1860, quando si trasferì a Firenze, dove insegnò un altro anno all’Istituto di studi superiori, prima del pensionamento. A questa disciplina dedicò molte energie, pubblicando tra il 1850 e il 1866 la monumentale Storia della medicina in tre parti, di cui la seconda è in due volumi, ancora utile.
Qui ricerche erudite, filologiche e documentarie confluiscono in un’interpretazione complessiva dell’evoluzione della medicina di ispirazione idealistica: la medicina sarebbe dominata nell’antichità dalla natura, nel Medioevo dall’arte, e nell’epoca moderna avrebbe raggiunto la sintesi tra natura e arte.
Nel 1964 Puccinotti pubblicò a Firenze Boezio e gli altri scritti filosofici e storici; nel 1855-1856 apparve a Milano un’edizione delle sue opere in due volumi, e tra il 1858 e il 1870 un’altra a Napoli in cinque volumi.
Puccinotti fece parte di molte accademie ed ebbe numerosi riconoscimenti. Fu tra l’altro senatore del Regno d’Italia fino al 1865, quando decise di dimettersi. Pur avendo partecipato ai moti risorgimentali, non si riconosceva nel Regno d’Italia: cattolico liberale vicino a Vincenzo Gioberti, con il quale fu in corrispondenza, avrebbe preferito per l’Italia una confederazione di Stati, rispettosa delle diversità, piuttosto che un’unità forzata. Nel 1867 fu nominato cavaliere al merito civile dei Savoia e gli fu accordata una pensione.
Morì l’8 ottobre 1872 a Firenze, ebbe funerali solenni a spese della città e fu sepolto nella basilica di S. Croce.
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