PUCCI, Francesco
PUCCI, Francesco. – Nacque a Firenze l’11 febbraio 1543 da Elisabetta (o Lisa) Giambonelli e da Antonio di Jacopo dei Pucci di Dino.
Ricevette un’educazione di tipo umanistico. Gli scritti di Girolamo Savonarola, di Giovanni Pico della Mirandola, insieme con le opere spirituali di Francesco Petrarca e di Dante nutrirono la sua «inclinatione per le cose divine». All’età di diciott’anni entrò nell’Accademia dei Lucidi, fondata nel 1560 dal grammatico Eufrosino Lapini, e nell’aprile del 1561 fu incaricato di tenere l’orazione per salutare l’elezione di Filippo Nerli al consolato dell’Accademia fiorentina. Fu in quegli anni che probabilmente prese la tonsura, forse con lo scopo di godere in futuro del beneficio di una cappellania nella chiesa di S. Stefano in Ponte della quale la sua famiglia possedeva il patronato. Il 13 ottobre 1563, emancipato dal padre Antonio e divenuto capace di agire legalmente, fu nominato procuratore del ricco zio materno Mariotto Giambonelli. Dopo aver trascorso un lungo periodo a Lione facendo pratica di affari presso il banco di Pierfrancesco Rinuccini, il 14 aprile 1569 fu nominato da Giambonelli suo erede universale. La morte di questi, occorsa il 23 marzo 1570, garantì a Pucci una considerevole eredità, determinando la sua scelta di lasciare gli affari per dedicarsi alla ricerca della verità divina. Fu questo l’inizio di una lunga peregrinazione attraverso le principali capitali europee.
La prima tappa fu Parigi, dove Pucci restò fino all’agosto del 1572. Nella capitale francese la sua fedeltà a Roma cominciò a vacillare: gli orrori della notte di s. Bartolomeo gli apparvero come una conferma delle accuse che in quei mesi aveva sentito rivolgere dalle «oltramontane sette» contro la Chiesa di Roma. La solidarietà con le vittime di quel massacro fu decisiva nell’avvicinare Pucci alla fede calvinista. La conversione al protestantesimo, però, fu molto breve. L’adesione al fronte calvinista durò il tempo necessario per superare il trauma di quell’orribile eccidio. Pucci si sarebbe distinto da quel momento come uno dei più agguerriti avversari delle Chiese riformate.
Nell’autunno del 1572 lasciò la Francia per raggiungere l’Inghilterra. Divenne membro della Chiesa italiana di Londra e il 18 maggio 1574 si addottorò come magister artium a Oxford. Qui conobbe l’ex geronimiano Antonio del Corro che John Reynolds, lettore di greco presso il Corpus Christi College, avrebbe poco tempo dopo indicato come uno dei maestri di Pucci. Dopo essere stato allontanato dall’Università oxoniense con l’accusa di professare dottrine pelagiane, Pucci tornò a Londra dove, tra il gennaio e il maggio del 1575, sostenne una violenta controversia con il concistoro della Chiesa francese al termine della quale decise di lasciare la capitale inglese. Da Oxford, dove soggiornò nuovamente per qualche tempo, scrisse una lettera datata novembre 1575 al teologo Johann Jakob Grynaeus in cui lamentava i maltrattamenti subiti difendendo la correttezza delle sue posizioni dottrinali.
Nell’ottobre del 1576 tornò a Parigi stringendo rapporti con la comunità di esuli fiorentini, in particolare con Iacopo Corbinelli. Una volta giunto a Basilea, all’inizio di maggio del 1577, Pucci fu messo a parte di un progetto di pubblicazione di testi antimedicei e si offrì di contribuire alla stampa dell’Apologia del tirannicidio di Lorenzino de’ Medici presso una delle numerose stamperie cittadine. Il progetto non andò a buon fine. A Basilea, dopo essersi iscritto all’Università per godere dei privilegi che la qualifica di studente conferiva, incontrò Fausto Sozzini. Il dialogo tra i due si trasformò presto in una dura e lunga controversia teologica privata sul tema dell’immortalità naturale del primo uomo. Pucci sosteneva che il primo uomo creato da Dio era di natura immortale, Sozzini difendeva invece l’idea che l’assenza della morte fosse una condizione transitoria concessagli da Dio nel paradiso terrestre. I pucciani Argumenta decem pro immortalitate rerum, praesertim vero hominis, in prima creatione portano la data del 4 giugno 1577; sette giorni dopo Sozzini terminò la propria Responsio e il 1° luglio il fiorentino compose una Confutatio. A questa Sozzini rispose qualche mese dopo con una Copiosa refutatio, completata a Zurigo il 27 gennaio 1578.
Verso la fine del 1577 Pucci si era intanto spostato a Francoforte. Di lì, il 1° gennaio 1578, diffuse una tesi sulla salvezza universale dei credenti. Il decano della facoltà teologica di Basilea, Ulderich Koch, professore di scrittura e parroco di St. Peter, gli intimò, anche a nome dei colleghi Simon Sulzer e Grynaeus, di astenersi da qualsiasi disputa pubblica e di consegnare tutti gli esemplari impressi della thesis affinché venissero distrutti. Da Basilea Pucci scrisse una lunga lettera a Niccolò Balbani in cui espose le sue tesi sull’universale e immediata efficacia redentrice del sacrificio di Cristo, lamentando la freddezza e l’ostilità con cui erano state accolte nella città svizzera. Nonostante la solidarietà manifestatagli dal rettore dell’Università, Pucci decise di lasciare la città. Attraversando la Germania e le Fiandre, all’inizio di febbraio del 1579 giunse a Londra. Qui diede alle stampe la sua prima opera, l’Informatione della religione christiana, pubblicata con tutta probabilità dall’editore inglese John Wolf.
L’operetta recava il falso luogo di stampa di Firenze e il frontespizio risultava anonimo, ma un avvertimento al lettore in calce al volume recava la firma «Francesco Pucci Fiorentino». Un breve preambolo e 48 capitoli esponevano in forma piana l’intera teologia pucciana, facendo di queste pagine una vera e propria institutio del suo cristianesimo razionalizzante e ottimista.
Pucci si diede da fare per diffondere il suo libretto, ma gran parte delle copie fu intercettata dalle autorità cattoliche. All’ultimo periodo del suo secondo soggiorno inglese è da riferire anche uno scritto anonimo cui egli diede un importante contributo, la Forma d’una republica catolica, completata il 9 giugno 1581, ma destinata a rimanere manoscritta.
L’opera inneggiava a un «corpo di republica sano» in cui avrebbero trovato accordo tutti gli «huomini da bene […] senza muoversi de paesi dove e’ vivono». Nella mente dell’autore si trattava di un’ideale società segreta, minuziosamente organizzata con tanto di collegi, statuti, consoli e ufficiali, un corpo di cittadini con le «membra sparse in diverse contrade», comunicanti tra loro per «mezzo delle lettere», e una dieta generale riunita periodicamente tra i deputati dei singoli collegi nella «terra di qualche gentilhuomo o signore nostro cittadino o amico, overo [in] qualcuna di quelle città d’Europa dove si fa qualche segnalata fiera, come Francoforte, Lione, Parigi et simili» (Per la storia..., 1937, pp. 188, 198).
La profonda delusione e il senso di isolamento che caratterizzarono gli ultimi mesi di quel suo secondo soggiorno inglese furono suggellati da un evento del quale Pucci fu con tutta probabilità spettatore. Il 14 novembre 1581 il gesuita inglese Edmund Campion, protagonista con Robert Parsons della prima missione cattolica in terra inglese dai tempi di Maria Tudor e Reginald Pole, fu arrestato e pochi giorni dopo processato a Westminister Hall con altri sette ecclesiastici accusati di alto tradimento. La decisione di lasciare l’Inghilterra, comunicata alla madre appena poche settimane dopo la morte del gesuita, fu presa con tutta probabilità sull’onda emotiva di quella tragedia. Il 10 marzo 1582 Pucci era ad Anversa. Nel maggio del 1583 si spostò in Frisia, fermandosi qualche mese presso l’Università di Helmstedt. L’esperienza del contatto diretto e quotidiano con luterani e calvinisti confermò e rafforzò il giudizio negativo sulla dottrina protestante maturato negli anni precedenti. A Cracovia, ospite di amici, trovò un clima segnato dall’incessante opera di proselitismo e conversione portata avanti dai gesuiti e dal nunzio apostolico Alberto Bolognetti. Pucci fece la conoscenza dello scienziato inglese John Dee e dell’avventuriero Edward Kelley che si spacciava per intermediario e interprete di colloqui con esseri soprannaturali, angelici messaggeri di rivelazioni arcane. Pucci li seguì da Cracovia a Praga.
Nella capitale boema, il 6 agosto 1585 ebbe luogo l’actio pucciana, una lunga seduta spiritica a lui dedicata, durante la quale voci angeliche simulate da Kelley gli ingiunsero di tornare al cattolicesimo. Il 9 dicembre 1586 il nunzio a Praga Filippo Sega chiese a Roma l’autorizzazione a riaccoglierlo formalmente nel grembo della Chiesa cattolica e dopo averla ottenuta, il 6 marzo 1587, gli fece pronunciare una solenne abiura dei suoi errori. Ben presto però i sospetti delle autorità romane tornarono ad addensarsi sul suo conto. Pucci aveva continuato a professare le stesse dottrine che anni prima lo avevano segnalato all’attenzione delle autorità romane come «uomo di malo spirito». Nel giro di pochi mesi la crescente diffidenza del nuovo nunzio e l’ostilità dei gesuiti praghesi lo costrinsero a prendere ancora una volta la via della fuga. Da Francoforte, in una sosta del viaggio che lo avrebbe infine condotto a Parigi, indirizzò a Roma due lunghe accorate lettere: destinatario il nuovo pontefice Gregorio XIV e il neoporporato cardinal nipote Paolo Camillo Sfondrati.
A Gregorio XIV e a suo nipote l’esule fiorentino voleva manifestare il proprio risentimento per i maltrattamenti subiti a Praga, ma anche illustrare la sua proposta dottrinale e politica e il desiderio di incontrare Enrico IV. Il re di Navarra, da molte parti indicato come la personalità più adatta a porre termine al lungo periodo di guerre civili che affliggeva la nazione, era invocato da Pucci come la sola autorità in grado di realizzare quell’utopia che coltivava ormai da molti anni, ovvero il sogno della convocazione di un Concilio universale che realizzasse finalmente una pacificazione dell’intera cristianità. Nonostante la ferma intenzione di conquistare la benevolenza del pontefice, le sue lettere assunsero presto il tono di una dura reprimenda nei confronti della politica papale.
Una volta giunto a Parigi, il 1° novembre 1591, Pucci diffuse negli ambienti universitari due Theses tratte dai suoi scritti più importanti, ancora inediti, il De praedestinatione e il De regno Christi, sull’efficacia universale e immediata della redenzione e sul prossimo avvento di Cristo. La sfida fu raccolta da entrambi i fronti, quello cattolico e quello protestante, ma in tutti e due i casi l’esito fu per lui deludente. Dopo aver constatato l’inconciliabilità delle proprie posizioni con quelle dello pseudocalvinista Honoré de Paris, alla fine di febbraio del 1592 Pucci fu ricevuto alla presenza del cardinale di Bourbon, chiamato a sostenere una disputa teologica sul tema della redenzione universale con il giovane medico Jean Duret e con il cardinale Jacques Davy Du Perron. Il volume che pubblicò a ridosso delle dispute per spiegare a un pubblico più ampio le sue ragioni (il De Christi servatoris efficacitate, 1592) venne duramente attaccato nel giro di un anno sia dal gesuita Nicolò Serario sia dal calvinista François Du Jon e dal luterano Lukas Osiander. Nel frattempo le due lunghe lettere inviate a Roma da Francoforte avevano riacceso i sospetti inquisitoriali sul suo conto.
Consegnate ai membri della congregazione dell’Indice prima, e del S. Uffizio poi, dallo stesso cardinal nipote Sfondrati, esse contribuirono alla decisione di inserire il nome di Pucci all’Indice tra gli autori di prima classe (12 dicembre 1592) e di avviare un procedimento inquisitoriale nei suoi confronti. Del resto, solo pochi mesi prima, il 3 ottobre 1592, era stata presentata una denuncia formale nei suoi confronti da parte dell’inquisitore fiorentino. La rete informativa orchestrata da Roma si era intanto messa in moto per individuare il luogo in cui risiedeva. Pucci aveva lasciato Norimberga e, giunto nei pressi di Salisburgo, l’ultima settimana di novembre, era incorso in un incidente: il cocchio sul quale viaggiava si era ribaltato. Il 30 gennaio 1593 Aldobrandini scriveva a Cesare Speciano dell’incidente occorso, aggiungendo di avere dato precise disposizioni all’arciduca Ferdinando d’Austria a Innsbruck, tramite il nunzio a Graz, Girolamo Porcia, di arrestare il fiorentino. Pur consapevole della sua condizione di prigionia, Pucci non aveva rinunciato alle sue speranze. In quelle stesse settimane aveva affidato al giovane con il quale viaggiava, Cornelio di Renoi, l’incarico di recarsi a Roma con una sua lettera e una copia dei suoi scritti per preparare il terreno al suo arrivo. Mentre il giovane si incamminava verso Roma, le trattative per la consegna del prigioniero proseguivano ferventi. Il 2 febbraio 1594 Pucci soggiornava «prigione» a Trento, nel castello del Buonconsiglio, presso il principe vescovo Ludovico Madruzzo, cui era stato consegnato dall’arciduca Ferdinando. Di qui venne inviato a Verona e in seguito trasferito a Roma.
Il 27 maggio 1594, poco dopo il suo trasferimento nelle carceri romane, ebbe inizio il processo ai suoi danni. La causa si arenò quasi subito e Pucci fu trattenuto in carcere per due anni. La principale questione che occupò in quel periodo il S. Uffizio fu quella dei beni del detenuto. Il processo riprese nella primavera del 1596. Essendo già stato dichiarato eretico formale in passato prima della sua abiura, Pucci fu accusato di essere un eretico relapso e impenitente. Nel dicembre del 1596 fu invitato a una nuova abiura per salvare l’anima e sfuggire alla pena del fuoco. Rifiutata l’abiura, fu affidato al braccio secolare. Solo di fronte alle fiamme Pucci si piegò, avendo così «la testa mozza nelle carceri di Tor di Nona» (Carta, 1999, pp. 98, 217). Era il 5 luglio 1597.
Opere. Edizioni moderne di scritti e lettere di Pucci: Per la storia degli eretici italiani del secolo XVI in Europa, a cura di D. Cantimori - E. Feist, Roma 1937, pp. 111-209; F. Pucci, Lettere, documenti e testimonianze, a cura di L. Firpo - R. Piattoli, I-II, Firenze 1955-1957; A.E. Baldini, Tre inediti di F. P. al cardinal nepote e a Gregorio XIV alla vigilia del suo ‘rientro’ a Roma, in Rinascimento, XXXIX (1999), pp. 157-223; F. Pucci, De praedestinatione Dei, a cura di M. Biagioni, Firenze 2000; Id. - F. Sozzini, De statu primi hominis ante lapsum disputatio, a cura di M. Biagioni, Roma 2010; M. Biagioni, F. P. e l’Informatione della religione christiana, Torino 2011.
Fonti e Bibl.: L. Firpo, Gli scritti di F. P., in Memorie dell’Accademia delle scienze di Torino, s. 3, 1957, t. 4, parte II, pp. 195-368; E. Barnavi - M. Eliav Feldon, Le périple de F. P. Utopie, hérésie et vérité religieuse dans la Renaissance tardive, Paris 1988; D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento (1939), Torino 1992, ad ind.; L. Firpo, Scritti sulla Riforma in Italia, Napoli 1996; M. Biagioni, Incontri italo-svizzeri nell’Europa del tardo Cinquecento. F. P. e Samuel Huber, in Rivista storica italiana, CXI (1999), pp. 363-422; P. Carta, Nunziature ed eresia nel Cinquecento. Nuovi documenti sul processo e la condanna di F. P. 1592-1597, Padova 1999; A. Prosperi, L’eresia del Libro grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000, pp. 365-374; M. Biagioni, Universalismo e tolleranza nel pensiero di F. P., in La formazione storica dell’alterità. Studi di storia della tolleranza nell’età moderna offerti a Antonio Rotondò, a cura di H. Méchoulan et al., I-III, Firenze 2001, I, pp. 331-360; G. Ernst, “Sicut amator insaniens”. Su Pucci e Campanella, in Faustus Socinus and his heritage, a cura di L. Szczucki, Kraków 2005, pp. 91-112; A. Rotondò, Studi di storia ereticale del Cinquecento, II, Firenze 2008, pp. 577-634; G. Caravale, Il profeta disarmato. L’eresia di F. P. nell’Europa del Cinquecento, Bologna 2011; Id., The Italian reformation outside Italy. F. P.’s heresy in sixteenth-century Europe, Leiden-Boston 2015 (in partic. pp. 239-264 per una bibliografia completa e aggiornata su fonti primarie e secondarie).