PEZZI, Francesco
PEZZI, Francesco. – Nacque a Ravenna il 30 agosto 1849 da Paolo e da Virginia Bonelli.
Attratto dalle idee di Giuseppe Mazzini fin da quando era giovane studente alle scuole tecniche, svolse l’apprendistato politico nelle file repubblicane e si iscrisse alla mazziniana Società di mutuo soccorso di Ravenna. Divenne poi – insieme a Lodovico Nabruzzi e Claudio Zirardini – artefice della svolta politica del sodalizio che, aderendo nel 1871 all’Internazionale di Londra, fu il primo nucleo della sezione internazionalista della città, in contatto con Michail Aleksandrovič Bakunin, Andrea Costa, Carlo Cafiero ed Errico Malatesta.
Allorché – divenuto palese il dissidio ideologico tra Karl Marx e Bakunin – gli internazionalisti romagnoli si schierarono a fianco dei dissidenti anarchici, Pezzi fu uno dei dirigenti della Federazione romagnola, dando inizio, fin dal 1873, alla sua intensa e duratura attività di pubblicista sulla stampa anarchica italiana.
Diplomatosi ragioniere, si impiegò alla Cassa di Risparmio di Ravenna e sposò Luisa Minguzzi, un legame d’amore vissuto nel segno della comune militanza politica che li avrebbe uniti per tutta la vita.
L’esistenza di Pezzi cambiò nell’estate del 1874, quando si rifugiò a Lugano per sfuggire agli arresti preventivi operati dalla polizia in vista dell’insurrezione progettata dagli anarchici per l’agosto di quell’anno in Romagna, in Toscana e al Sud. Giudicato in contumacia nel 1876, fu amnistiato, ma già prima della sentenza era rientrato clandestinamente in Italia per riunire le file disperse dell’Internazionale sotto la guida di Cafiero, il solo dirigente anarchico rimasto in libertà.
Con il falso nome di Francesco Forni si stabilì a Firenze, in casa di Francesco Natta, nella cui officina apprese il mestiere di meccanico, che gli avrebbe consentito di guadagnarsi da vivere negli anni successivi. Con Gaetano Grassi e Natta divenne responsabile della commissione di corrispondenza e, rivelando notevoli doti organizzative, nel giro di pochi mesi riuscì a promuovere cinque sezioni anarchiche. Si adoperò inoltre per la costituzione della Federazione operaia toscana, per attirare nell’orbita anarchica le società di mutuo soccorso.
Nonostante il dissenso dei compagni europei e quello interno delle correnti legalitarie italiane, Pezzi condivise la decisione (votata nel congresso clandestino di Tosi-Pontassieve) di promuovere un nuovo tentativo insurrezionale al Sud, in previsione del quale si trasferì a Napoli a fine 1876 con Luisa e gli altri membri della commissione. L’evento rivoluzionario avrebbe dovuto prendere il via da San Lupo, un villaggio del Matese vicino a Benevento, ma Pezzi non poté parteciparvi perché fu arrestato nel gennaio 1877 per l’aggressione – attuata insieme a Cafiero e Grassi – di due anarchici napoletani sospettati di tradimento. Uscì dal carcere nei giorni in cui Malatesta e Cafiero davano inizio all’insurrezione, soffocata sul nascere dalla polizia che arrestò tutti i partecipanti. Ignorando l’obbligo di residenza a Firenze, Pezzi proseguì con la moglie verso Lugano, dove trascorse la sua seconda latitanza insieme ai compagni sfuggiti alle retate di anarchici attuate in tutta la penisola dalle forze dell’ordine dopo i fatti beneventani. Fra gli esuli che frequentarono la sua casa in quel periodo vi furono Costa e Anna Kuliscioff, una coppia che per molto tempo sarebbe rimasta amica dei Pezzi.
Nell’estate del 1878 Pezzi fu nuovamente inviato in patria per riorganizzare gli anarchici. Rientrato a Firenze, si adoperò per la nascita di circoli operai istruttivi, i cui intenti educativi mascheravano le sezioni anarchiche vietate dalla legge. In meno di un anno i circoli raccolsero circa un migliaio di iscritti, tanto che il governo inviò a Firenze il questore Luigi Serafini (i cui metodi di repressione dell’opposizione erano noti a Pezzi fin dalla sua giovinezza ravennate), che subito lo propose per il domicilio coatto, iniziativa alla quale i giudici non dettero seguito. Pezzi continuò anzi il proprio lavoro cospirativo, convocando riunioni e convegni clandestini, consolidando i rapporti degli anarchici toscani con quelli romagnoli e ipotizzando anche un nuovo progetto insurrezionale. La sua attività subì una brusca interruzione il 3 ottobre 1878, quando il questore lo fece arrestare insieme alla moglie, alla Kuliscioff e ad altri compagni con il pretesto dell’ospitalità – giudicata pericolosa – offerta dai Pezzi all’amica russa. Dopo più di un anno di detenzione preventiva, al processo vennero tutti assolti. Il tempo trascorso in carcere li esentò da una sorte peggiore: durante la loro reclusione gli anarchici toscani avevano infatti dato il via ad azioni terroristiche culminate nella bomba di via Nazionale del 18 novembre 1878, cui seguirono arresti massicci e condanne pesantissime. Sull’attentato Pezzi avrebbe in seguito scritto un libro – Un errore giudiziario, ovvero un po’ di luce sul processo della bomba di via Nazionale (Firenze 1882) – volto ad accreditare la tesi di una provocazione della polizia con il fine di reprimere gli anarchici.
Amareggiato dalla svolta politica di Costa, che nel 1879 aveva abbandonato l’anarchismo per avvicinarsi al marxismo, Pezzi si sforzò di rimanere neutrale nell’accesa polemica che Malatesta aveva ingaggiato con il vecchio compagno, additandolo come traditore. Quando tuttavia Costa fu eletto in Parlamento nel 1882, si schierò definitivamente con Malatesta (ormai solo alla guida degli anarchici italiani dopo l’infermità mentale che aveva colpito Cafiero), e al suo fianco riprese l’attività cospirativa.
Denunciato nel 1884 per reato di stampa (insieme alla moglie, a Malatesta, Natta e molti altri), attese il processo a Napoli prestando soccorso alle vittime del colera. Con i compagni si trasferì poi a Marsiglia, per attendere il verdetto all’estero. La notizia della condanna (Pezzi e la moglie a trenta mesi di carcere e a una pesante multa) li indusse a imbarcarsi per Buenos Aires, dove avrebbero trascorso una latitanza di più di quattro anni.
In Argentina si manifestò una crisi nel rapporto fra Pezzi e la moglie, causata dalla relazione sentimentale da lei intrecciata con Malatesta. Pezzi si isolò, avviando un lavoro in proprio nel campo del commercio e prendendo le distanze dall’impegno politico. Non condivideva neppure il crescente estremismo di Malatesta, divenuto più marcato dopo che nel 1889 il gruppo di latitanti tornò in Europa. Stabilitosi a Londra, Pezzi collaborò ancora per qualche mese alle iniziative di Malatesta, ma nel 1890, sempre più ostile alla linea anarchica ‘illegalista’ che presto avrebbe insanguinato l’Europa con attentati e manifestazioni di violenza comune, abbandonò l’Inghilterra e – usufruendo dell’amnistia del 1887 – rientrò a Firenze, solo. Pochi mesi dopo lo raggiunse la moglie: i due ricostruirono il legame affettivo, tornando a vivere insieme.
Deluso per il declino anarchico e perplesso di fronte all’affermazione dei partiti socialisti europei, cresciuti all’insegna del riformismo e del ripudio della strategia insurrezionale, Pezzi si allontanò dalla militanza politica attiva.
Ciononostante, solo per avere ricevuto la visita privata di uno dei probabili complici di Paolo Lega nell’attentato a Francesco Crispi, nel 1894 fu incarcerato insieme alla moglie per complicità nell’episodio terroristico (da cui Pezzi aveva invece preso le distanze, suscitando in alcuni compagni sospetti di tradimento che lo ferirono profondamente). Processati e assolti nel 1895, i due vennero inviati al domicilio coatto, Luisa a Orbetello e Francesco a Favignana, da dove – dopo un fallito tentativo di evasione – fu trasferito a Ustica. Liberati nel 1896, tornarono a Firenze.
Qui Pezzi visse in disparte, vittima tuttavia nel 1900 di un’aggressione armata da parte di un vecchio anarchico squilibrato, che egli uccise per autodifesa.
Rimasto vedovo nel 1911, tentò di impegnarsi nell’associazionismo popolare socialista, ma non riuscì a reprimere la stanchezza interiore e il crescente «disgusto del mondo» (Bassi Angelini, 2004, p. 145), come scrisse ad Annunziata Trambi, compagna degli ultimi anni.
Morì sparandosi un colpo di rivoltella alla tempia nel Parco delle Cascine, a Firenze, il 22 luglio 1917.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Tribunale di Firenze, Atti penali, cartt. 537, 692; Questura, Carte di polizia, cart. 8; Archivio di Stato di Bologna, Procedimento contro Andrea Costa e compagni, bb. V, 7; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, bb. 3302, 3920; Archivio Crispi, b. 94; Archivio storico diplomatico del ministero degli Affari esteri, Polizia internazionale, bb. 8, 39; Imola, Biblioteca comunale, Carte Costa, 1878, 1879, 1882; Forlì, Biblioteca comunale, Collezione Piancastelli, cart. 624.
E. Conti, Le origini del socialismo a Firenze, Roma 1950, ad ind.; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano 1969, ad ind.; C. Bassi Angelini, Amore e anarchia. F. P. e Luisa Minguzzi, due ravennati nella seconda metà dell’Ottocento, Ravenna 2004; L. Di Lembo, P. F., in Dizionario biografico degli anarchici italiani, II, Pisa 2004, pp. 339-342; F. Conti, Amicizia, amore e politica: relazioni affettive e battaglie ideali nel secondo Ottocento, in Politica e amicizia. Relazioni, conflitti e differenze di genere (1860-1915), a cura di E. Scaramuzza, Milano 2010, pp. 180-185.