VOLPE, Francesco Paolo
– Nacque a Matera il 24 novembre 1779 da Eustachio e da Angela Saveria de Suricis.
Di famiglia nobile, studiò presso il seminario vescovile di Matera sotto la direzione dell’arcivescovo Francesco Zunica. Si formò negli anni in cui la politica ecclesiastica del Regno di Napoli si giocava sulle questioni teologiche: dopo la cacciata dei gesuiti nel 1767, secondo quella che era stata l’impostazione tanucciana, si tese a favorire le tendenze anticurialistiche e giurisdizionaliste, sostenendo sul piano dottrinale la diffusione del platonismo cristiano e dell’agostinismo antigesuitico. Anche il Seminario recepì questa tendenza, come emerge dalla scelta, da parte della corte borbonica, di una personalità come quella di Zunica, sostenitore della prospettiva agostiniana. In questa temperie culturale Volpe ebbe l’opportunità di formarsi non solo come chierico, ma anche come studioso e conoscitore di lettere antiche. Compì i suoi studi «con profitto e diligenza» (De Ruggieri, 1979, p. I), al punto da ricevere un’attestazione di merito da Zunica stesso.
In seguito, si spostò a Napoli dove conseguì la laurea in utroque iure e praticò con assiduità l’attività di avvocato, insieme al fratello Giovanni, presso il foro di Napoli (le sue più importanti memorie difensive furono raccolte e pubblicate postume nel 1884 proprio nella città partenopea con il titolo di Allegazioni forensi). Fu, dunque, testimone della rivoluzione napoletana del 1799 non solo nella capitale del Regno, ma anche presso la sua città d’origine, maturando una posizione antirivoluzionaria, quando non filoborbonica, che non mancò di esprimere. Appunti sugli eventi di quel periodo furono raccolti da Volpe nella sua Cronachetta delle cose più notabili avvenute in Matera dal 1799 a tutto il 1821, pubblicata postuma (a cura di Giuseppe De Blasiis, in La nuova galleria universale, III (1879), 5). Tali annotazioni confluirono nel suo Proseguimento della storia di Matera. Storia contemporanea che si estende sino al 17 gennaio 1857 (rimasto inedito fino al 1979), in cui, con disappunto, affermava come a Matera, eretto l’albero della libertà, «uomini e donne, a norma delle dette istruzioni si insignirono del nappo prescritto: si salutavano col nome di cittadini eliminando ogni titolo, e dando fede alle fallaci carte, si promettevano un bell’avvenire» (Memorie storiche [...]. Proseguimento..., a cura di N. De Ruggieri, 1979, p. 8). Volpe si schierava contro quella «fantocciata di Repubblica» (p. 9) che aveva condotto all’‘anarchia’, dal momento che era stata interpretata dal popolo contadino come un’occasione per manifestare rivendicazioni sulle terre in mano al notabilato locale. Appartenendo Volpe a una nobile famiglia di possidenti, si capisce perché egli si fosse schierato dalla parte borbonica contro le usurpazioni demaniali popolari e avesse, in seguito, appoggiato la controrivoluzione di ispirazione sanfedista. Durante il Decennio francese, Volpe fece, quindi, ritorno a Matera dove cominciò a insegnare diritto canonico, civile e naturale presso il seminario arcivescovile – attività che avrebbe svolto per la maggior parte della sua vita – e si impegnò nel ministero sacerdotale. Per la sua dedizione alla cura delle anime e per la conoscenza delle Sacre Scritture, l’arcivescovo Camillo Cattaneo gli conferì l’ufficio di canonico teologo il 29 giugno 1816.
In questi stessi anni si dedicò alla stesura della sua prima opera sistematica, Memorie storiche, profane e religiose su la città di Matera, stampata a Napoli nel 1818.
Qui Volpe trattava la storia della sua città natale dalle origini fino alla metà del XVIII secolo, dividendo tra «materie profane» e «materie religiose». Per quanto si fosse avvalso, per lo più, di studi precedenti, il merito di Volpe è stato quello di portare un approccio storiografico basato sulla consultazione di fonti primarie nel tentativo di fornire una prospettiva quanto più possibile documentata, pur coniugando erudizione e ideologia.
Successivamente non mancarono nella sua produzione opere dal gusto squisitamente antiquario e agiografico. Nel 1825, infatti, scrisse e pubblicò a Napoli una monografia, Dilucidazioni d’una lapide esistente a Matera appresso il Vestibolo esteriore della Porta denominata de’ Leoni, in cui, partendo dall’analisi di un’epigrafe presente nel vestibolo della cattedrale di Matera, tesseva un elogio del principe normanno in essa ricordato; redasse poi la Vita di S. Giovanni da Matera. Storia ed atti della invenzione e traslazione del suo Corpo dalla Chiesa di Pulsano in Matera (Potenza 1831) e una Descrizione illustrativa di un antico sepolcro e degli oggetti nel medesimo interrati, scoverto in Matera nel 1832 (Napoli 1833), in cui ricostruiva il ritrovamento di alcuni sepolcreti all’interno di antichi palazzi materani. In queste opere l’erudizione veniva applicata nel quadro di una sostanziale adesione al regime borbonico: i fermenti di rinnovamento religioso che percorrevano la Chiesa dell’epoca gli furono estranei, mentre non era alieno ai temi del progresso economico che pure rappresentavano un tratto tipico della cultura dell’epoca.
Per i meriti conseguiti per ‘dottrina e pietà’ nel 1830 gli fu, quindi, riconosciuto dall’arcivescovo Cattaneo il titolo di canonico penitenziere. Nello stesso anno entrò a far parte della Società economica della Basilicata: dall’elenco dei soci risulta che fosse stato ammesso il 13 luglio 1830 come corrispondente.
Le società economiche della periferia del Regno delle Due Sicilie raccoglievano il notabilato locale e rispondevano all’esigenza di riformare i metodi agrari utilizzati, apportando delle innovazioni in base alle nuove ricerche scientifiche. I soci corrispondenti avevano il compito di effettuare rilevamenti nelle realtà periferiche e tale raccolta statistica assurgeva «a strumento di analisi per la conservazione e l’accrescimento della felicità dei popoli» (Settembrino - Strazza, 2006, p. 25).
Come per tutti i soci delle società economiche, anche Volpe fu eletto, dapprima, dai membri della Società, successivamente posto al vaglio dell’autorità politica e giudiziaria che ne esaminava le ideologie politiche, e, infine, nominato tramite decreto regio. In quanto ecclesiastico e proprietario terriero, Volpe era, quindi, una personalità di spicco della realtà materana. Ulteriore lustro acquisì quando il vescovo Antonio Di Macco gli conferì nel 1836 la carica di provicario e, in seguito, nello stesso anno, di vicario per la diocesi e, ancora, l’anno successivo quando fu scelto come esaminatore sinodale e, di lì a poco, fu promosso a cantore.
Negli anni a seguire, oltre a occuparsi dei compiti che gli provenivano dalle sue cariche ecclesiastiche, si dedicò alla stesura di opere volte ad approfondire momenti significativi della storia locale di Matera, che era già stata esposta con una visione complessiva nelle Memorie del 1818. Partendo, dunque, da spunti di tipo antiquario, Volpe approfondì questioni di ordine storico, mantenendo la sua estraneità ai fermenti unitari che cominciarono a diffondersi per la penisola. Di particolare valore risultarono i testi apparsi fra gli anni Quaranta e Cinquanta e dedicati alla presenza a Matera di una comunità ebraica (Esposizione di talune iscrizioni esistenti in Matera, e delle vicende degli Ebrei nel nostro Reame, Napoli 1844) e di una comunità di ‘schiavoni’ o arbëreshe (Saggio intorno agli schiavoni stabiliti in Matera nel Secolo XV, ed a taluni monumenti inediti, non che ad un breve cenno su poche monete quivi novellamente rinvenute, Napoli 1852): in entrambi i casi l’autore cercava di ricostruire l’arrivo e la precaria sopravvivenza di queste minoranze nella diocesi materana.
Notevole è il tentativo di comprendere quali fossero state le dinamiche instauratesi tra la popolazione locale e queste comunità, in che modo fossero percepite dal punto di vista religioso e, soprattutto, per il caso degli schiavoni, come fossero percepiti in quanto ‘razza straniera’ con abitudini e modi vivendi differenti. Tale alterità era sottolineata da Volpe in qualità di lontano osservatore: mostrava come fosse stato merito della Chiesa locale l’aver saputo gestire l’indole selvaggia e l’appartenenza al rito greco degli ‘schiavoni’, favorendo una progressiva assimilazione attraverso conversioni e politiche matrimoniali, così «che oggidì in vano si cercherebbe la traccia della loro origine straniera» (p. 13).
Mentre la stesura di queste due opere impegnava Volpe, la rivoluzione del 1848 imperversava. Dei fatti che coinvolsero Matera Volpe narrò nel suo Proseguimento della storia di Matera. Com’era già stato per i fatti del 1799, l’autore manifestava, anche per le agitazioni quarantottine, la sua ideologia filoborbonica: se, infatti, la concessione della costituzione era vista come frutto della liberalità del sovrano, le manifestazioni di quelli che inneggiavano all’Italia unita e indipendente erano guardate con sospetto. Allo stesso modo, Volpe giustificava la creazione del governo provvisorio a Matera, dopo i fatti del 15 maggio, sostenendo che vi si fu costretti con le minacce da Potenza, mentre fu accolta con sollievo la notizia, di poco successiva, delle vittorie delle truppe borboniche. Che Ferdinando II fosse nel giusto, era dimostrato, secondo Volpe, dal fatto che Pio IX, in seguito alla rivoluzione romana, avesse trovato riparo a Gaeta sotto la protezione borbonica. L’adesione all’ideologia dell’intesa tra Chiesa e Stato trovava, dunque, concreta manifestazione sul terreno del riconoscimento del realismo borbonico da parte della nuova politica di Pio IX, non senza una critica a quanti avevano voltato le spalle al papa dopo la fuga a Gaeta del 24 novembre 1848.
Il 29 giugno 1852, all’età di settantatré anni, Volpe fu designato da Di Macco per l’ufficio di decano e alla morte di questi (1854) fu eletto vicario capitolare. Il nuovo arcivescovo Gaetano Rossini lo deputò suo procuratore nominandolo provicario generale dal marzo del 1855 al marzo del 1856. Nonostante fossero stati anni di impegno continuo, Volpe riuscì a dedicarsi alla stesura di due opere rimaste a lungo manoscritte: un catalogo inedito sui pastori che governarono la Chiesa di Matera (Serie di tutti i Pastori esistenti nella Galleria Arcivescovile di Matera) e il citato Proseguimento della storia di Matera.
In quest’ultimo testo Volpe riprese la narrazione da dove l’aveva interrotta nelle Memorie storiche. Ricostruiva gli eventi storici avvenuti dal 1799 fino al principio del 1857, mostrando le ripercussioni che ebbero sulla storia di Matera: dai fatti del 1799, al ruolo di alcuni materani al congresso di Lubiana nel 1821, alla cronistoria prosopografica dell’arcivescovo Di Macco, passando per gli eventi del 1848 e concludendo con l’attentato alla vita dell’arcivescovo Rossini. In quest’ultima opera è percepibile il giudizio di Volpe, quasi ottantenne, sui suoi contemporanei e sulla mancanza di moralità che lui imputava anche alle diffuse posizioni politiche antiborboniche.
A circa un anno dalla stesura di questo testo, si spense a Matera il 30 settembre 1858.
Opere. Oltre ai testi citati, si segnalano: Descrizione ragionata di alcune chiese de’ tempi rimoti esistenti nel suolo campestre di Matera, Napoli 1842; Cenno circa l’origine, festività e coronazione avvenuta ne’ due luglio 1843 della immagine sotto il titolo di S. Maria della Bruna, venerata in Matera, Napoli 1843; Memorie storiche, profane e religiose sulla città di Matera, Proseguimento della storia di Matera. Storia contemporanea, a cura e con nota biografica di N. De Ruggieri, Matera 1979.
Fonti e Bibl.: Matera, Archivio diocesano, Acta ordinationis, b. 93, f. 2761.
G. Gattini, Note storiche sulla città di Matera, Napoli 1882, passim; L. De Fraja, Il Convitto nazionale di Matera, Matera 1923, ad ind.; N. De Ruggieri, Nota biografica, in F.P. Volpe, Memorie storiche, profane e religiose sulla città di Matera. Proseguimento della storia di Matera..., a cura di N. De Ruggieri, Matera 1979; T. Pedio, Storia della storiografia lucana, Venosa 1984, ad ind.; A.R. Bianchi, L’intrico del ’99 nel materano, in Nel secolo dei lumi. Appunti sul Settecento lucano, Rionero in Vulture 1991, pp. 260-309; Id., L’insegnamento teologico a Matera verso la fine del ’700 fra platonismo cristiano e agostinismo antigesuitico, in Bollettino della Biblioteca provinciale e della sezione materana della Deputazione di storia patria per la Lucania, XIV (1993), 22, pp. 23-38; Storia della Basilicata, a cura di G. De Rosa - A. Cestaro, IV, Roma-Bari 2003, ad ind.; G. Settembrino - M. Strazza, Il giornale economico-letterario della Basilicata, Potenza 2006, passim; A. Venezia, Giuseppe De Blasiis (1832-1914), in Reti medievali, XIII (2012), 1, pp. 239-248; W. Palmieri, La Società economica di Basilicata: dinamiche associative e note prosopografiche (1810-1860), in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, LXXXI (2015), pp. 155-206.