PALIZZI, Francesco Paolo
PALIZZI, Francesco Paolo. – Figlio di Antonio e di Doralice del Greco, nonché fratello minore di Giuseppe, Filippo e Nicola, nacque a Vasto, in Abruzzo, il 16 aprile 1825.
Nel 1845 si trasferì dalla città natale a Napoli, per iscriversi al Real Istituto di belle arti. Qui fu allievo di Camillo Guerra e Gennaro Guglielmi, dei quali il primo lo introdusse alla pittura di storia, genere cui all’inizio aveva l’ambizione di accedere; di questa fase resta come testimonianza La guarigione del cieco di Gerico (1853; Vasto, Pinacoteca civica), dipinto per la chiesa di S. Pietro a Vasto. Ben presto però si orientò verso il paesaggio e soprattutto verso la natura morta, seguendo l’esempio di Guglielmi e anche quello dei vari membri della famiglia Giusti e in particolare di Salvatore. Sulla loro scia studiò la natura morta sei-settecentesca di artisti quali Paolo Porpora, Giuseppe Recco e Giovan Battista Ruoppolo, sebbene fosse attratto non tanto dalle loro composizioni barocche quanto piuttosto dal rigore e dalla semplicità dei dipinti di Giacomo Nani o di Luca Forte, aloro volta memori della tradizione caravaggesca più ortodossa. Negli anni di formazione fu influenzato dal fratello Filippo, come si può notare osservando alcune opere conservate in collezioni private (Pennuti nell’aia e All’abbeverata) oppure presso la Galleria dell’Accademia di belle arti di Napoli (Sull’aia e Monaca). Con il passare del tempo risentì anche dell’esempio delle opere dell’altro fratello, Nicola, da cui avrebbe assorbito negli anni una pittura materica, a corpo, caratterizzata da larghe pennellate, riuscendo, proprio su questa base, a rinnovare il genere della natura morta.
Nel 1856 si recò a Lanciano per motivi di lavoro (Vasto, Biblioteca Gabriele Rossetti, Carteggio palizziano, c. 17) e, nell’anno successivo, decise di raggiungere il fratello Giuseppe a Parigi, dopo aver fatto tappa probabilmente a Roma e a Firenze.
A Parigi rimase stabilmente fino al 1870, entrando in contatto con la tradizione della natura morta di Jean-Baptiste-Siméon Chardin, caratterizzata da una pittura tonale, e con le novità introdotte in tale genere da Édouard Manet; quest’ultimo, in particolare, a partire dal 1862, stava a sua volta recuperando l’esempio di Chardin e non è improbabile che Francesco Paolo possa aver visitato l’importante esposizione di nature morte tenuta nel 1865 dal pittore francese nella galleria di Louis Martinet.
Tale circostanza potrebbe spiegare come mai in opere quali Natura morta con ostriche della collezione napoletana del Banco di Napoli o anche nelle nature morte della Galleria dell’Accademia di belle arti di Napoli (Monete, Natura morta con funghi, Cacciagione, Natura morta con crostacei, Natura morta con conchiglie e ostriche) si ritrovino modalità di resa sintetica accostabili a quelle di Manet accanto a citazioni di alcuni topoi del genere, come quello del coltello poggiato sul tavolo in prospettiva.
Partecipò anche ad alcuni Salons: a quello del 1859 con La filatrice (esposta nel 1972 in una Mostra della galleria Narciso di Torino intitolata Omaggio a Spadini. Artisti dell’Ottocento italiano), del 1864, del 1865 (con L’ouverture de la chasse à l’auberge de la Couronne à Souppes, près Château-Landon (Loiret) e La laveuse de vaisselle), del 1866 (Un jour de foire à Château-Landon) e del 1867.
Da Parigi nel 1864 inviò alla Mostra della Società promotrice di belle arti di Napoli, di cui era diventato socio fin dal 1862, l’opera La vielle bonne apprezzata tra l’altro da Francesco Netti che la giudicò «finemente dipinta e molto giusta d’intonazione» ([1865], 1980, p. 27).
Da Parigi scriveva a casa, esprimendo talvolta giudizi piuttosto severi sulla pittura italiana e su quella dei fratelli, come nella lunga lettera del 21 dicembre 1863 a Filippo e Nicola, in cui tra l’altro citava la ricca collezione degli Hardon, proprietari di varie opere dei suoi due fratelli (Ricciardi, 1989, pp. 27-29).
Agli anni francesi appartiene certamente il dipinto La caccia alla volpe (Napoli, Museo di Capodimonte), che nell’impostazione rivela l’influenza del fratello Giuseppe e dei pittori della scuola di Barbizon. Nel 1867 partecipò all’Esposizione universale di Parigi con Un jour de foire à Château-Landon.
Nel 1870, allo scoppio della guerra franco-prussiana, seguì il consiglio del fratello Filippo e in settembre rientrò, superando varie peripezie, in Italia. L’anno successivo si ammalò.
Morì a Napoli il 16 marzo 1871.
Molta della sua produzione è andata dispersa. Dalla Francia era riuscito a portare con sé solo un piccolo nucleo di opere, in gran parte donate dal fratello Filippo alla Galleria dell’Accademia di belle arti di Napoli. Tuttavia, alcune delle sue nature morte, come Pentole di rame (Napoli, collezione Massimo Pisani) o Paiolo con gamberi (già Milano, collezione privata; distrutto, ma documentato in fotografia in Ricciardi, 1989, tav. 1 in b/n) potrebbero essere state viste da Teofilo Patini che ne fu probabilmente influenzato.
La sua morte prematura è all’origine della limitata attenzione che gli è stata riservata dalla critica. Tuttavia gli studiosi più accorti hanno cominciato nel secondo dopoguerra a valutarne la portata di modernità. Fra i primi, senza dubbio, Raffaello Causa, che lo inserì nella mostra intitolata La natura morta italiana, inaugurata nel 1964 nel Palazzo reale di Napoli. Causa riscontrava nella sua pittura la capacità di attingere alla tradizione locale risalendo fino a Baldassarre De Caro e a Giacomo Nani, ma con uno sguardo anche a taluni acquerelli di Giacinto Gigante. Dal punto di vista dello studioso, l’esperienza francese sarebbe stata determinante, al punto da far apparire «rozzi ed anacronistici fatti provinciali» (Causa, 1964, p.132) le provedi altri generisti napoletani come il suo maestro Guglielmi, ma anche come quelle di Giuseppe De Nigris e di Gioacchino Toma.
Fonti e Bibl.: Per la famiglia Palizzi nel suo insieme, v. voce Palizzi, Filippo in questo Dizionario. Per Francesco Paolo: Vasto, Biblioteca Gabriele Rossetti, Carteggio palizziano, 6.4.13, c. 17; F. Netti, Scritti critici (sec. XIX), a cura L. Galante, Roma 1980, pp. 27, 63, 119; E. Somaré, Nature morte perdute di F.P. P., in L’Esame artistico e letterario, VIII (1942), 4-6, pp. 31-34; B. Molajoli, Opere d’arte del Banco di Napoli, Napoli 1953, p. 49; R. Causa, in La natura morta italiana (catal., Napoli-Zurigo-Rotterdam), Milano 1964, p. 132; A. Schettini, La pittura napoletana dell’Ottocento, Napoli 1967, I, pp. 193-201; R. Mormone, I Palizzi e Morelli e Michele Camma-rano e il tramonto dell’Ottocento, in A. Caputi - R. Causa - R. Mormone, La Galleria dell’Accademia di belle arti di Napoli, Napoli 1972, pp. 45, 59-61, 119; L. Luciani - F. Luciani, Dizionario dei pittori italiani dell’Ottocento, Firenze 1974, pp. 316 s.; A. Tecce, in Il patrimonio artistico del Banco di Napoli, a cura di N. Spinosa, Napoli 1984, pp. 176 s.; A. Ricciardi, I fratelli Palizzi (catal., Vasto), Firenze 1989; M. Picone Petrusa, P., F.P., in La pittura in Italia. L’Ottocento, a cura di C. Pirovano, II, Milano 1991,p. 946; Id., P., F.P., in La pittura napoletana dell’Ottocento, a cura di F.C. Greco, Napoli 1993, pp. 149 s.