MICHETTI, Francesco Paolo
Pittore, nato a Tocco Casauria il 4 ottobre 1851, morto a Francavilla al Mare il 5 marzo 1929. A diciassette anni è a Napoli (1867), dove, legatosi d'amicizia con l'allora venticinquenne E. Dalbono, riesce a seguire i corsi di quell'accademia, ricevendovi, l'anno seguente, l'insegnamento di D. Morelli.
Sin dagl'inizî però, nonostante la tradizione seicentesca dominante a Napoli e gl'influssi del Palizzi e del Morelli, l'arte michettiana rivelò la propria autonomia. Nel maggio del 1869 Cesare Dalbono, direttore dell'Istituto napoletano di belle arti autorizza, infatti, l'amministrazione provinciale di Chieti a permettere al Michetti di rimanere gran parte dell'anno in Abruzzo e a pagargli lo stesso la pensione di trenta lire mensili da essa assegnatagli, reputando che lo studio diretto dal vero gli giovasse, sin da allora, assai più dell'insegnamento.
Intorno al 1870 il M. comincia ad acquistare notorietà coi primi quadretti di bimbi e di animali, già appartenenti alla collezione Rotondo e ora in gran parte nel Museo nazionale di S. Martino di Napoli. Nel 1872 espone già due quadri al Salon di Parigi dove è ancora invitato nel '75, avendo avuto, nel frattempo, qualche contatto coi secessionisti della cosiddetta Repubblica di Portici. Sempre autonomi, però, restano i caratteri fondamentali dell'arte sua che nel 1873 si affermano col potente Autoritratto giovanile e si palesano, anche nelle piccole tele pastorali e campestri, con segni di profonda umanità e poesia.
Nel 1877, in occasione della prima "Esposizione nazionale di belle arti" indetta a Napoli, il nome del Michetti diventa improvvisamente popolare col Corpus Domini (Roma, proprietà Grispini) primo, festosissimo canto del poema pittorico da lui dedicato all'Abruzzo sacro e pastorale. Il quadro, esaltato dalla critica e dal pubblico, fu ostilmente giudicato da Adriano Cecioni che definì tutta l'arte michettiana di quel periodo derivata da quella in gran voga di M. Fortuny. Vero è, invece, che l'influenza dello spagnolo sul M., visibile solo in poche opere secondarie dipinte tra il '75 e il '79, era stata minima, tanto che la stupenda Raccolta delle olive esposta a Parigi nel 1875 non ne recava alcuna traccia.
Intorno al 1879 il M., entrato in una fase più pensosa sebbene palesemente meno forte di quella iniziale, dopo aver dipinto la Mattinata, ora a Filadelfia e la Primavera (Chicago), e aver dato prova delle sue singolari virtù plastiche in originali terrecotte (una di esse venne esposta a Parigi nel 1878) prepara le opere che figurarono nella mostra personale di Torino (1880): I Morticelli, ora agli Stati Uniti, l'Ottava, la Domenica delle Palme, la Processione del Venerdì Santo e due fresche marine; prepara, ancora, circa quaranta Teste a tempera e a pastello, dai forti caratteri paesani, che espone l'anno dopo a Milano. In quest'anno Gabriele d'Annunzio, non ancora ventenne, inizia la sua intimità di vita col pittore.
Nel 1880, intanto, era cominciata l'elaborazione del Voto con gli studî che furono esposti insieme col quadro, nel 1883. La grande tela (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) affermò la celebrità del M., su basi solide, contro cui si spezzarono le avventate critiche del Boito e del Costa. L'impeto novatore del M. demoliva gli ultimi baluardi della pittura freddamente storica e accademica dominante in Roma. E anche nei piccoli quadri esposti nel 1887 a Venezia, si poteva vedere il progressivo affermarsi di quella disciplina e di quello stile in cui l'artista costantemente a chiudere l'impetuosità del suo istinto e delle sue doti native. Nel 1893 ancora a Roma, nel 1894 con circa trenta opere ad Anversa, l'arte michettiana (in cui volutamente non si considerano, qui, il gruppo dei ritratti ufficiali ordinati al pittore), negli studî di figure e di paesi, nelle composizioni raffiguranti scene e riti della terra d'Abruzzo, palesava quell'anelito di ricerca e d'indagine per cui d'Annunzio potette osare di richiamarsi a Leonardo e che si espresse in pieno nella Figlia di Iorio. Nonostante qualche debolezza, il quadro giustifica, ancora oggi, la sua fama e attesta come circa quarant'anni or sono il grande pittore si fosse imposto e avesse in gran parte risolto molti dei problemi di sintesi, di semplicità monumentale, di sobrietà coloristica che dopo la decadenza degli ultimi anni dell '800 e dei primi del '900, tormentò la ricerca degli artisti più sinceri.
La Figlia di Iorio segnò il vertice della ricerca stilistica michettiana. Le numerose opere che il M. dipinse dopo il '95 (circa duecento ne apparvero alla 3ª Biennale veneziana nel 1899 e contemporaneamente circa cento a Berlino nella Grande esposizione d'arte) non segnarono balzi in avanti. Un ritorno su posizioni da gran tempo superate furono, invece, le due vastissime tempere Gli Storpi e Le Serpi inviate all'"Esposizione Universale" di Parigi nel 1900. A questo punto, anzi, nel M. s'inizia quella lunga crisi che lo tenne circa trent'anni, nel pieno vigore del corpo e dello spirito, lontano da ogni competizione artistica, tutto volto, come ha detto Gabriele d'Annunzio, "a interrogare il mistero di sé medesimo e dell'universo". Né lo destarono gli onori tributatigli: la visita del re d'ùItaliaal suo "conento" nel 1904; la nomina a senatore nel 1909.
Nella valutazione dell'arte michettiana la critica contemporanea non è, invero, ancora concorde. Ma, prescindendo dalle opinioni meramente critiche, arbitrarie perché spesso ispirate al gusto del tempo, il M. ha statura tale, da poter essere considerato come uno dei maggiori artisti di tutto l'Ottocento italiano. (V. tavv. LIX e LX e tav. a colori).
Bibl.: G. D'Annunzio, Nota su F. P. M., in Convito, IX (1896), pagine 589-592; U. Ojetti, F. P. M., in Ritratti d'artisti italiani, Milano 1911, pp. 3-43; M. Biancale, Le Serpi e gli Storpi di F. P. M., in Boll. d'arte, n. s., VI (1926-27), pp. 481-507; Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXIV, Lipsia 1930 (con bibliografia); T. Sillani, F. P. M., Milano 1932; id., F. P. M. alla XVIII Biennale veneziana, in Rass. italiana, 1932, pp. 499-504.