PALMARIO, Francesco
PALMARIO (Palmari, Palamari), Francesco. – Le poche notizie a lui riferibili sono quasi esclusivamente desunte dalle rime, sue e dei suoi corrispondenti, contenute nel ms. della Bodleian Library di Oxford, Canonici Ital. 55, oltreché da alcune rubriche e note a margine dello stesso codice; dalla rubrica («ad Franciscum Palmarum Anconitanum Iuris peritum») che accompagna il primo dei tre sonetti inviatigli da Comedio Venuti si desume che Palmario nacque ad Ancona e fu giurista; cfr. Lanza, 1973-75, II p. 715).
Da Palmario va presumibilmente distinta la figura di Francesco Palmieri di Ussita (o Tussigia), giurista e funzionario presso Sigismondo Malatesta tra il 1439 ed il 1442: l’identificazione tra i due, proposta da Saxby (Nota, 1990, pp. 33 s.), fu in seguito ritrattata dalla stessa studiosa (cfr. Rime, 1997, pp. XIX s.) per la completa assenza di riscontri in documenti o fonti storiche.
Negli anni Quaranta Palmario ricoprì verosimilmente un ruolo eminente nelle vicende politiche, oltreché letterarie, di Ancona: il 15 giugno 1445 pronunciò a Iesi un Coniugalis sermo… ad Barthlomeum a Soiano et Perpetuam de Zenonibus in matrimonio (Hamburg Staats und Universitätbibliothek, Cod. philol. 325a, cc. 109v-110r), alla presenza di Francesco Sforza, che rende possibile ipotizzare per Palmario un ruolo da «oratore o osservatore per Ancona»: la città, insofferente dei soprusi fiscali del legato pontificio, cercava allora contatti proprio con lo Sforza, avversario di papa Eugenio IV in terra marchigiana (Rime, 1997, p. XXI).
Palmario ribadì il proprio ruolo di portavoce degli interessi politici anconetani in occasione del conclave che elesse nel marzo 1447 papa Niccolò V: difatti, con una canzone (XXVI) espresse la preferenza per Prospero Colonna, gradito nell’ambiente marchigiano-romagnolo. A papa Parentucelli Palmario dedicò successivamente la canzone LXIII, nella quale notevole spazio è dato alle rivendicazioni di Ancona, fedele alla pacificazione voluta dal pontefice, di contro alla riottosità delle altre città marchigiane, in particolare Osimo e Recanati, con cui Ancona fu in lite per il possesso dei castelli di Offagna e Castelfidardo e per la torre sul fiume Aspi. La volontà di Palmario di promuovere presso il papa gli interessi politici anconetani emerge inoltre dal riferimento nella canzone a Filippo Calandrini, fratello uterino del papa e legato della S. Sede presso la Marca anconetana nel 1450.
Alla ricerca di un signore presso il quale collocarsi come poeta-funzionario di corte, Palmario si rivolse a Sigismondo Malatesta, cui sono dedicati il sonetto e la canzone introduttivi del suo canzoniere, indice della volontà di farne il «destinatario dell’intera raccolta» (ibid., p. XXV); in particolare, la datazione proposta per la canzone II, «fra il dicembre del 1447 e il settembre del 1448» (ibid., pp. XXVI s.), colloca in questo torno di anni l’inizio del rapporto di Palmario con la corte riminese. Nel rivolgersi a Sigismondo Malatesta, capitano generale della Chiesa, Palmario probabilmente rispondeva anche alla necessità di Ancona di «stabilire buone relazioni con quel vicino militarmente formidabile» (ibid., p. XXVI). Dai pagamenti che risultano versati a Palmario negli anni 1554-56 (Arch. di Stato di Fano, AAC.III.85, Ufficio Depositaria, cc. 11, 106v; AAC.III.14, Ufficio Referendaria, c. 95v), si desume che entrò «a far parte del seguito di Sigismondo al più tardi verso la fine del 1454, senza un incarico preciso» (ibid., p. XVII).
Nel 1460, quando era verosimilmente ancora alla corte di Sigismondo, Palmario svolse, su richiesta dei suoi concittadini, la funzione di intermediario preso Malatesta per la città di Ancona che richiedeva l’aiuto del signore di Rimini nel dissidio sorto contro Iesi. Tuttavia, la citata corrispondenza con Venuti induce a ritenere che Palmario «fosse attivo anche dopo il 1460» (Rime, 1997, p. XX).
Nulla si sa circa la sua morte. Mortara (1864, p. 73) ipotizzò, sulla base del ternario CLVII (v. 29 «e tu mi vesti et armi con la croce»), che Palmario fosse stato “cavaliere di croce”.
Il corpus delle rime di Palmario, tradito dal ms. Canoniciano, consta di complessivi 167 testi: 137 sonetti (tra i quali uno in dialetto napoletano e uno bilingue, italiano e latino; 3 i sonetti caudati), cui si aggiungono i 6 appartenenti a corrispondenti dell’anconetano; 11 canzoni, 2 sestine (che presentano in acrostico il nome della donna amata, Druda), 2 ballate di Palmario e una (XIX) inviatagli da Biagio Guasconi, che si propone a Palmario per l’appunto con una ballata accompagnata da un sonetto (XIX-XX a), «artificio [che] risale alla lirica duecentesca» (Rime, 1997, p. XLIV; la probabile ballata di risposta di Palmario, a differenza del sonetto, non è disposta nel codice di seguito ai testi di Guasconi, ma risulta dislocata al numero XXXII); un madrigale, 3 capitoli (2 ternari e un quaternario) e un polimetro pastorale, largamente ispirato a La notte torna di Giusto de’ Conti. Cabani (1989, pp. 22, 39) ipotizzò che a Palmario debba essere ricondotta anche la paternità della canzone in morte di Costanza Varano Sforza, Morte, altro stile, et più profondo ingegno: determinante per l’ipotesi di attribuzione è l’interpretazione in chiave biografica dei sonetti XXX a-b e XLIII, per i quali Saxby pensò invece a una composizione «per conto di terzi» (Rime, 1997, p. XXXIX). Girolamo Ferretti, nel proporre un sonetto a Palmario (XXIII a-b), allude a un componimento di argomento politico-civile anconitano, di intonazione satirica o denigratoria, da cui si deduce che il poeta di Ancona fosse «noto come poeta amoroso e civile […] in rima e in prosa, in latino e in volgare» (ibid., p. XXXII). Palmario scambiò inoltre sonetti (XLIX a-b) con un Antonio, riconosciuto in Antonio da Montalcino (cfr. Rime, 1997, p. XXXII), con un Silvestro (XXXVIII a-b), con un anonimo (LVIII a-b); inviò sonetti a un Polo (LXIX; una nota nel codice lo data al 1451) e a un Dario (LXXIII).
Il canzoniere, puntellato da un utilizzo sistematico di connessioni intertestuali e chiuso da un’ampia sezione penitenziale, è dedicato alla celebrazione dell’amore del poeta per Druda e di quello di Sigismondo Malatesta e Isotta degli Atti. Il ciclo isotteo, nel quale il signore di Rimini compare quale autore fittizio di diversi testi in lode dell’amata, è suddiviso in «tre sezioni», strutturandosi in un «piccolo canzoniere autonomo» (Saxby, Nota…, 1990, pp. 38 s.).
Largamente presente, nelle opzioni stilistiche e metriche, l’influenza poetica di Giusto de’ Conti, del quale Palmario fu un «fedele discepolo» (Santagata, 1984, p. 64): episodio rilevante in tal senso appare il sonetto funebre LXVI, posteriore alla morte di Giusto de’ Conti, che sembra delineare un gruppo di poeti (oltre al Palmario, un Marino, un Silvestro ed un Girolmo [Ferretti?]) raccolti intorno al culto del poeta di Valmontone.
Opere: F. Palmario di Ancona, Rime, ed. critica a cura di N. Cacace Saxby, Bologna 1997.
Fonti e Bibl.: N. Saxby, Nota biografica su F. P. (Per il Cod. Canoniciano Ital. 55), in Studi e problemi di critica testuale, XLI (1990), pp. 29-50. V. inoltre: A. Mortara, Catal. dei manoscritti italiani che sotto la denominazione di Codici Canoniciani Italiani si conservano nella Biblioteca Bodleiana a Oxford, Oxford 1864, pp. 73 s., 267 s.; M. Santagata, La lirica feltresco-romagnola del Quattrocento, in Riv. di letteratura italiana, II (1984), pp. 62-64; M.C. Cabani, La canzone della battaglia di San Giglio (1416), in Schifanoia, VII (1989), pp. 22, 39; N. Saxby, F. P. e le sue rime, in Studi d'italianistica nell'Africa Australe, 1990, vol. 4-5, pp. 14-21; G. Biancardi, Esperimenti metrici del primo Quattrocento: i polimetri di Giusto de’ Conti e F. P., in Italianistica, XXI (1992), pp. 651-673; N. Saxby, Dante, Petrarca: innovazioni metriche e lessicali nelle “Rime” di F. P., in Italiana V: selected Proceedings of the Eighth Annual Conference of the American Association of teachers of italian, a cura di A.N. Mancini et al., Bordighera 1993, pp. 55-63; Id., Lingua e letteratura in un sonetto napoletano del Quattrocento, in Studi e problemi di critica testuale, LI (1995), pp. 77-90; Id., F. P., rimatore del Quattrocento, e il codice delle sue rime, in Studi d'italianistica nell'Africa Australe, 1997, vol. 10, pp. 73-76; Id., Petrarchismo in atto: un sonetto in lode di Isotta da Rimini, ibid., pp. 73-76; I. Pantani, Il polimetro pastorale di Giusto de’ Conti, in La poesia pastorale nel Rinascimento, a cura di S. Carrai, Padova 1998, pp. 1-55; F. Battera, «Un’ingente serqua di greggi simbolici»: la polemica contro la corruzione della Chiesa nelle prime egloghe volgari, ibid., pp. 73-107; N. Saxby, Political and cultural perspectives of regional identity: Ancona in two “Canzoni” of the second half of the Quattrocento, in Studi d'italianistica nell'Africa Australe, 1999, vol. 12, pp. 9-21; Id., Within and without some Collections of North Italian Court Poetry of the Fifteenth Century, in Italique, IV (2001), pp. 7-17; P. Vecchi Galli, Percorsi dell’elegia volgare nel Quattrocento, in L’elegia nella tradizione poetica italiana, a cura di A. Comboni - A. Di Ricco, prefaz. di S. Carrai, Trento 2003, pp. 39-43; I. Pantani, Da diva a dea: trasfigurazioni poetiche nella corte malatestiana, in Accademia d’Ungheria in Roma. Annuario 2007-2008 2008-2009, a cura di É. Vígh, Roma 2010, pp. 316 s.