NETTI, Francesco
NETTI, Francesco. – Nacque il 24 dicembre 1832 a Santeramo in Colle (Bari), figlio di Nicola, ricco possidente terriero, e di Giuseppa Vitale, originaria di Conversano.
Dal 1843 frequentò a Napoli il collegio degli scolopi a S. Carlo alle Mortelle, dove il rettore gli commissionò per la cappella dell’istituto il primo quadro – lì tutt’oggi conservato – La morte di s. Giuseppe Calasanzio. Dopo la laurea in giurisprudenza, conseguita per volontà della famiglia, nel 1855 si iscrisse al Reale Istituto di belle arti di Napoli dove restò solo un anno, mostrando una certa insofferenza verso l’insegnamento accademico; già da tempo studiava infatti pittura, prima con Giuseppe Bonolis – il cui magistero aveva incontrato il favore di molti giovani pittori tra i quali Filippo Palizzi – poi con Michele De Napoli e Tommaso De Vivo. Tra il 1856 e il 1859 soggiornò a Roma in compagnia dell’amico Pasquale De Crescito. Tornato a Napoli, nel 1860 frequentò l’atelier di Domenico Morelli e dipinse il Ritratto del fratello Antonio (collezione privata; ripr. in Farese Sperken, 1996, cui si fa riferimento per le riproduzioni di tutte le opere citate, ove non diversamente indicato). Nel 1861 presentò il dipinto Follia di Haidée (ubicazione ignota) alla I Esposizione italiana di Firenze, scegliendo, al contempo, di allontanarsi dall’influenza di Morelli per cercare una propria «individualità che è quella che dà carattere alle opere d’arte» (lettera al padre, 8 maggio 1860, in Farese Sperken, 1996, p. 67). Nel 1862 partecipò alla I Esposizione della Società promotrice di belle arti di Napoli con Rimembranze del 15 maggio 1848 (Napoli, Certosa e Museo di S. Martino), tela nella quale, come scrisse, volle esprimere la rivoluzione non nel campo di battaglia ma quella «domestica, fatta da ogni cittadino» (lettera al padre, 10 novembre 1861, in Farese Sperken, 1996, p. 74). Da quell’anno, fino al 1866, prese parte a tutte le Promotrici napoletane e tra il 1862 e il 1864 frequentò la scuola di nudo di Filippo Palizzi; la presenza in città del toscano Adriano Cecioni nonché di Marco De Gregorio e Giuseppe De Nittis, tra i più significativi rappresentanti della cosiddetta scuola di Resina, lo rese sensibile alle ricerche dei macchiaioli toscani, cui guardò per La pioggia oAcquazzone del 1864 (Napoli, collezione Banco di Napoli).
Alla IV Promotrice del 1866 conobbe grande successo con Una processione di penitenza al ponte della Maddalena durante l’eruzione del Vesuvio del 1794 (collezione privata). Trasferitosi in questo stesso anno a Parigi (dove già risiedeva dal 1844 Giuseppe Palizzi), vi rimase fino al 1871, soggiornando dall’agosto del 1869 al gennaio 1870, a Grez-sur-Loing, piccolo borgo al limitare della foresta di Fontainebleau, frequentato, oltre che dai pittori barbizoniers e dai fratelli Palizzi, anche dall’americano John Singer Sargent, dall’irlandese Frank O’Meara e dall’inglese Arthur Heseltine. In quel periodo condusse vita da bohémien e si misurò con la pittura dal vero, en plein air. Dipinse opere quali Festa a Grez (Bari, Pinacoteca provinciale), mostrandosi sensibile anche ai modi di Gustave Courbet, come in L’onomastico (Bari, Pinacoteca provinciale). Nel 1870, allo scoppio della guerra franco-prussiana fece ritorno a Parigi, a differenza di altri artisti italiani, tra i quali De Nittis, che lasciarono la capitale sotto assedio. Prestò il suo aiuto nella Croce rossa italiana e smise quasi completamente di dipingere a parte poche opere quali Barricata in una strada (Bari, collezione privata). Agli anni parigini risalgono Orgia e lavoro (collezione privata) e La sortie du bal, rue de l’Académie de Médecine (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte). In quest’ultimo, concluso nel 1872 dopo il ritorno a Napoli, riprese la tematica del carnevale, già trattata anni prima in Dopo la festa (1864; Santeramo, collezione privata), un’opera per la quale aveva tratto ispirazione, probabilmente, dal quadro di Jean-Léon Gérôme Duellodopo il ballo (1853).
L’accento moraleggiante, presente in tutti questi dipinti, si fa evidente specie in Orgia e lavoro, nel quale gli spazzini intenti a lavorare di prima mattina sono posti in palese e stridente contrasto con una comitiva di personaggi in maschera (Farese Sperken, 1996, p. 10).
Fu a malincuore che, nel febbraio 1871, alla fine della guerra, Netti fece ritorno a Napoli, dove le prospettive in campo artistico erano scarse. Si dedicò con fervore alla preparazione del VII Congresso pedagogico – per il quale scrisse un testo come esponente della Commissione speciale per il disegno – e anche all’attività giornalistica. Nel 1874 intraprese un viaggio di studio a Padova, Ferrara e Venezia del quale narrò in A Venezia. Note e impressioni di viaggio (Scritti vari, pp. 130-196) e che gli ispirò anche le due redazioni di Suicidio nella calle (Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti; collezione privata); nello stesso anno, alla Promotrice napoletana, espose La leggitrice – identificabile forse con La lettrice (1873; Milano, già collezione Gallina); il tema dello studio e della lettura trattò anche in Un angolo del mio studio (colllezione privata) e, in toni più leggeri, in La lettura (Bari, Pinacoteca provinciale).
Ai primi anni del secondo soggiorno napoletano risalgono alcuni paesaggi ispirati a Santeramo; tra questi, Sulla via di Santeramo (Conversano, collezione privata), nel quale riversò gli echi delle esperienze francesi, mentre in Sul sagrato della chiesa (Conversano, collezione famiglia Accolti Gil Vitale), guardò piuttosto ai modi di Marco De Gregorio, lasciando, pur nella resa dello spazio più complessa, la tela in parte incompiuta, cifra stilistica ricorrente in molte sue opere.
Tra il 1875 e il 1876 scrisse l’articolo Il Vesuvio (pubbl. in Scritti vari) e, nel 1876, ottenne la commissione per dipingere una pala d’altare per la cattedrale di Altamura, consegnata l’anno successivo. Desideroso di cimentarsi con generi diversi, tra il 1875 e il 1880, si dedicò soprattutto a quadri di soggetto antico traendo ispirazione, in particolare, dal fregio dipinto raffigurante un insieme di Danzatrici, scoperto nel 1833 in una delle tombe della necropoli di Ruvo di Puglia (Napoli, Museo archeologico); ciò è evidente nella grande tela raffigurante un Coro antico che esce dal tempio (Napoli, Galleria dell’Accademia di belle arti) presentata alla Esposizione nazionale di Napoli del 1877 e della quale esistono più versioni con titoli diversi.
Nello stesso anno pubblicò nell’Illustrazione italiana (IV, 1877, 15) l’articolo Note d’arte in cui recensì l’Esposizione nazionale precisando come nei confronti dei soggetti antichi fosse necessario cercare più che l’esattezza archelogica «l’aspirazione al tempo passato che avvolge di mistero gli avvenimenti più materiali e le persone più storiche» e soprattutto «la rappresentazione di ciò che non muta mai: le passioni umane e l’aspetto della natura» (Scritti critici, p. 148).
Dopo aver presentato nel 1880 all’Esposizione artistica nazionale di Torino la tela intitolata Lotta dei gladiatori durante una cena a Pompei (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte) in cui, oltre al citato fregio di Ruvo, si uniscono suggestioni dal celebre dipinto di Gérôme Pollice verso, mutò indirizzo rivolgendo l’attenzione a soggetti di storia contemporanea nei quali pur rimaneva memoria dell’artista francese; tra questi, In corte d’assise (Bari, Pinacoteca provinciale), ispirato al celebre processo Fadda svoltosi nel 1879 nella capitale, che l’artista presentò alla Esposizione nazionale di belle arti di Roma del 1883.
Netti seguì l’evento attraverso i giornali, specie il Corriere della sera, ma probabilmente, come osserva Farese Sperken (1996), fu influenzato anche dallo scritto di Carducci, pubblicato nel Fanfulla della domenica del 19 ottobre 1879, intitolato A proposito del processo Fadda; da questo scritto l’artista sembra dedurne il parallelo tra spettacolo circense e corte d’assise, come pure l’idea di inserire le signore imbellettate che assistono all’evento intrattenendosi con fare mondano.
Nel 1884 mosse alla volta dell’Oriente, invitato in crociera da Giuseppe Caravita principe di Sirignano, personaggio di spicco dell’ambiente napoletano; con Netti si imbarcarono altri due pittori, Camillo Miola e Edoardo Dalbono.
Dopo esser salpato da Bari ai primi di luglio sullo yacht del principe – di cui Netti lasciò l’immagine in un olio su tavola (collezione privata; ripr. in Scritti critici, p. 114) – i viaggiatori sostarono ad Atene poi a Therapia (Tarabya), sul Bosforo. Da qui Netti si recò «quasi ogni giorno a Costantinopoli» esprimendo nelle lettere al fratello lo stupore per la «grande città originale» (lettera al fratello Luigi, 12 luglio 1884, in Farese Sperken, 1996, p. 143). La Turchia – dove rimase per due mesi – gli ispirò un insieme di disegni e acquerelli (tra questi: Sul Bosforo Therapia; Bari, collezione privata). Fece poi ritorno in Italia via terra, visitando Bucarest, Budapest e Vienna.
Giunto a Napoli arredò e allestì il suo studio, sito in palazzo Capomazza all’Arco Mirelli, all’orientale, con arredi comprati in Turchia; in questo luogo dipinse vari oli (per es. La siesta, Bari, Pinacoteca provinciale) alcuni con soggetti alla moda quali l’Odalisca (Santeramo in Colle, collezione privata).
Nel 1885 iniziò a far uso della fotografia, una pratica che lo portò ad accentuare in pittura la resa di certi particolari, definendo alcuni elementi in primo piano e sfumandone altri sullo sfondo. Dal 1886 al 1889-90 si dedicò al dipinto Le ricamatrici levantine (Conversano, collezione famiglia Accolti Gil Vitale) ma la genesi dell’opera coincise anche con la morte della moglie del fratello Luigi, che ispirò all’artista, nel 1887, un dipinto di analogo schema compostivo, La crisi (collezione privata), presentato nel 1887 all’Esposizione artistica nazionale di Venezia.
Negli anni della maturità condusse vita appartata, partecipando solo alla Promotrice napoletana del 1888. Pur rallentando l’attività di critico, continuò a studiare e scrivere e tra le sue carte furono trovate, dopo la morte, alcune traduzioni di testi di Schiller e di Goethe. Meditò più volte di stabilirsi a Santeramo, che divenne scenario prediletto delle sue scene agresti dipinte, ma anche di molte fotografie: all’uso così intenso del mezzo fotografico non fu estranea l’influenza di Francesco Paolo Michetti, suo grande amico.
Dal 1890 alla morte si dedicò a una serie di quadri che vedono come protagonisti i mietitori.
In queste tele, tra cui Riposo in mietitura (collezione privata) e La messe (Napoli, Galleria dell’Accademia di belle arti), i temi sociali, per i quali certo guardò agli Spaccapietre di Courbet o alle Spigolatrici di Jean-François Millet, appaiono trattati sempre con un tono che «non è certo da interpretare come una denuncia o critica sociale» (Farese Sperken, 1996, p. 30).
Chiamato a Napoli nel 1891 dal principe di Sirignano, che gli aveva commissionato le decorazioni parietali della sala da pranzo del suo nuovo palazzo sulla Riviera di Chiaia (Pirovine, 1978, p. 68), eseguì cinque cartoni per arazzi (manifattura di Aubusson) tratti dai dipinti di Horace Vernet, già a Capodimonte, ora dispersi (Protomastro, 1894, p. 85; Fusco, 1980, p. 155).
Per cercare sollievo da una malattia polmonare, continuò tuttavia a soggiornare perlopiù a Santeramo, dove morì il 28 agosto 1894.
Scritti: Per l’arte italiana, Trani 1895; Scritti vari, ibid. 1895; Scritti critici (sec. XIX), antologia a cura di L. Galante, Roma 1980.
Fonti e Bibl.: G. Protomastro, F. N. Ricordi, Trani 1894; II Mostra d’arte pugliese. Retrospettiva e moderna (catal.), Bari 1922; E. Pirovine, La Riviera di Chiaia e il palazzo della Tirrenia, Napoli 1978, p. 68; F. N. (1832-1894), un intellettuale del Sud (catal., Bari), a cura di C. Farese Sperken, Bari 1980; M.P. Fusco, Note sui pittori e istituzioni artistiche a Napoli nella seconda metà dell’Ottocento, ibid., pp. 147-156; C. Farese Sperken, F. N., Napoli 1996; Ead., Carducci e N. breve storia di un singolare incontro, in 800 Italiano, I (1991), 3, pp. 45-48; L. Galante, Identità nazionale e pittura moderna in F. N. e Pasquale Villari, in L’Identità nazionale, a cura di A. Quondam, Roma 2005, pp. 199-209; Fondazione Vito Tangorra, F. N.: pittore e critico d’arte, Santeramo in Colle 2008.