NEGRI, Francesco
NEGRI (Negro), Francesco. – Nacque a Venezia il 17 aprile 1452 dal croato Giorgio Cernöevich e dalla trevigiana Elena, della quale è ignoto il nome di famiglia.
Dopo la sconfitta inflitta da Mattia Corvino alla famiglia Cernöevich, che cercava di estendere i propri domini in Illiria, Giorgio fuggì da Segna a Venezia, dove nel 1450 italianizzò il proprio cognome.
Negri faceva risalire le origini familiari al generale romano Pescennio Nigro, da cui l’abitudine di firmarsi anche con lo pseudonimo «Pescennius Niger». Attraverso il nonno Paolo, che aveva sposato la contessa Agnese Frangipane, era inoltre imparentato con i signori di Veglia.
Compì i primi studi a Venezia, prima sotto la guida di Pietro Bruto, vescovo di Cattaro, e di Domizio Calderini, poi con Domenico Bragadin, insegnante di logica, filosofia e teologia alla Scuola di Rialto. Nel ginnasio di Padova seguì poi i corsi di Cristoforo Recanati e Matteo de Catonibus professori di arti liberali. Nel 1468, a soli 16 anni, fu insignito dell’alloro oratorio (sorta di laurea ad honorem in poesia) dall’imperatore Federico III, di passaggio per la città diretto a Roma. L’anno seguente si addottorò in arti. Affascinato dal sapere enciclopedico, si dedicò quindi intensamente allo studio, coltivando retorica, filosofia, diritto, teologia, musica, scienze naturali e occulte, lingue (in particolare quelle della sua terra d’origine, con approfondimenti sull’alfabeto cirillico e glagolitico), arti meccaniche. Nel 1476 si laureò in utroque iure a Padova. Rientrato per un breve periodo a Venezia, dove i genitori intendevano procurargli un matrimonio vantaggioso, ripartì probabilmente nel 1478, in seguito alla peste che si abbatté sulla città. Nello stesso anno comparvero alcuni suoi distici nella Sphaera mundi di Ioannes de Sacrobosco (Venezia, F. Renner de Heilbronn).
Di nuovo a Padova, si mantenne con lezioni pubbliche e private e proseguì gli studi, finché, come dichiara egli stesso con certa enfasi, smise quasi all’improvviso di studiare e imparare: «Et tricesimo aetatis anno [nel 1482] ea sciebam quae nunc scio» (Mercati, 1939, p. 42). Contrariamente alle aspirazioni paterne, scelse la vita religiosa e intorno al 1479 fu ordinato sacerdote.
Nel 1480 fu pubblicata per la prima volta, a Venezia da Theodorus Herbipolensis, la Aruntina gramatica di Negri.
Pur nella sua struttura elementare, è una delle prime grammatiche a porre in rilievo l’importanza della metrica, fatto sottolineato nella stampa dalla presenza di un rigo musicale in notazione quadrata posto sopra gli esempi tratti dagli autori latini classici. Gli interessi grammaticali di Negri sfociarono anche in altre pubblicazioni. All’incirca nel 1495 pubblicò a Venezia per Pietro Quarenghi la Methodica sintax, syllabimetria (ristampata tre anni dopo a Parigi da Georg Wolff e Thielmann Kerver per Jean Petit, con l’aggiunta della Invectiva de verbo impersonali). Al medesimo ambito vanno ascritte le Regulae elegantiarum, all’interno delle Elegantiolae di Agostino Dati (Parigi, G. Marchant per J. Petit, 1498).
Su richiesta del Senato veneto datata 5 ottobre 1481, ottenne da Roma il governo della collegiata di S. Giovanni decollato a Venezia. Divenuta vacante la sede del vescovato di Veglia nel 1483, avanzò la propria candidatura, nella speranza di riavvicinarsi alle terre di origine. Inizialmente appoggiato dai Veneziani, in maggio fu incarcerato con il sospetto di voler favorire il ritorno dello spodestato tiranno dell’isola, Giovanni Frangipane.
In favore di Frangipane si era pronunciato il vescovo di Forlì Alessandro Numai, nunzio pontificio presso l’imperatore, al quale al principio del 1483 Negri aveva inviato un’elegia nella speranza di ottenere appoggio. L’operetta è perduta e ne abbiamo notizia attraverso Giuseppe Degli Agostini (1754, p. 486), che ricorda un codice cartaceo posseduto all’epoca da Pietro Gradenigo e proveniente da Francesco Amadi. Nel periodo della reclusione, indirizzò il Peri archon al futuro doge Agostino Barbarigo nella speranza di riottenere la libertà, essendo Barbarigo in quel momento membro del Consiglio dei dieci.
Fu prosciolto con l’intervento del patriarca Maffeo Gherardi, al quale aveva indirizzato il ponderoso De humanae conditionis miseria, composto in carcere; l’opera non è giunta ed è probabile che abbia costituito il nucleo principale della futura Cosmodystychia. In seguito alla condanna – che, giunta nel maggio 1483, fu forse in qualche misura una forma di ritorsione contro Girardi, reo di aver respinto l’interdetto di papa Sisto IV contro Venezia – non solo non ottenne il vescovado di Veglia, ma fu deposto dalla pievania di S. Giovanni Decollato. Per questi motivi, probabilmente, lasciò definitivamente Venezia in cerca di fortuna.
Tornò inizialmente a Padova, dove riprese a dare lezioni e a scrivere, ma già sul finire del 1483, o al principio del 1484, fu incaricato da Lorenzo Zane, vescovo di Antiochia, dell’istruzione dei suoi due nipoti Paolo e Francesco, e si trasferì per questo a Roma. Qui rimase per circa due anni, anche dopo la morte di Zane (2 ottobre 1484), intessendo relazioni con varie personalità, tra le quali Falcone Sinibaldi e Pomponio Leto. Tra il 1484 e il 1485 cercò contatti presso la nobiltà austriaca, dove aveva trovato rifugio il cugino Giovanni, che probabilmente disegnava di raggiungere.
Per il matrimonio di Sigismondo d’Asburgo con Caterina di Sassonia (concordato nel giugno 1483 ma celebrato solo nel giugno 1484) compose versi riuniti nel In Sigismundum archiducem pro epithalamio carminum libellus (Padova, M. Cerdonis, 1484). La raccolta si conclude con un Buccolicum drama in cui Negri accenna al suo tentativo di acquisire il vescovato di Veglia e alla disgrazia in cui era incorso. Vanno ricordati inoltre altri tre componimenti (editi in Zingerle, 1880, pp. 89-96): il Dodecastichon epigramma, composto intorno al 1484-85 per una statua di Sigismondo, e due odi, Ad divum Io. Fuxmagium [Johannes Fuchsmagen] Aulae Regiae Sapientiss. regentem e In Sanctum Viennensem Senatum.
Rientrato a Padova nel 1486, vi rimase per alcuni anni, mantenendosi al solito con lezioni private, ma insegnò anche nello Studio: le cinque orazioni composte e recitate tra il 1485 e il 1490 in diverse circostanze (ms. 776 della Biblioteca universitaria di Padova) dimostrano che era bene inserito nell’ambiente accademico.
La prima è per la morte di Agnese Bondina, madre del professore di medicina Pietro Roccabonella; la seconda fu scritta per la laurea del toscano Girolamo Reguardati; la terza abbozza la figura di Gianiacopo Dal Pozzo (1459-89 circa); la quarta è per il dottorato di Andrea Planckener di Kunsperck (1485); la quinta è dedicata al nobile vicentino Francesco Maltraversi, rettore dei giuristi. Oltre a fornire importanti notizie sulla società veneta dell’epoca, si presentano come un saggio di stile: classicismo ciceroniano, linguaggio scelto, richiami alla mitologia e al mondo biblico, citazioni da autori greci e latini rendono questi testi significativi.
Un breve componimento poetico in lode di Cassandra Fedele, In Cassandram Pistaeam poeonicum sapphicon, fu incluso nella stampa dell’orazione recitata dalla stessa Cassandra in occasione della sua laurea, a Padova nel 1487 (Oratio..., Venezia, J.L. Santritter e G. De Sanctis, 1489, cc. 4v-5v). I rapporti di amicizia, o almeno di conoscenza, con Leonardo Grassi – curatore del Polifilo di Francesco Colonna (1499) e forse non estraneo alla pubblicazione del testo di Firmico Materno presso Manuzio nello stesso anno con la curatela di Negri – sono segnalati da due poesie che Negri gli indirizzò nel 1489, in occasione della nomina di Grassi a rettore del Collegio dei giuristi (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., C.12 sup., c. 129v; Ginevra, Bibliothèque publique et universitaire, Mss. lat., 86, cc. 181v-183r). Al medesimo periodo appartiene anche l’opera più importante di Negri, l’Opusculum scribendi epistolas.
Commissionato da Iacopo Geroldo di Knittelfeld, rettore dei giuristi, allo scopo di istruire gli aspiranti segretari o protocollisti, l’Opusculum fu stampato per la prima volta a Venezia da Hermannus Liechtenstein agli inizi del 1488. Si tratta di un manuale, estremamente ricco di esempi e modelli, contenente i precetti per l’arte dello scrivere lettere, ripresi e riadattati dalle teorie dei dictatores medievali. Negri stabilisce una gerarchia di 18 livelli epistolari in funzione della posizione sociale dei destinatari o del ruolo che ricoprono: al più alto si trova il papa, all’ultimo le donne. Come esercizio vengono presentate lettere fittizie indirizzate a personaggi conosciuti personalmente da Negri, una sorta di affresco con figure di spicco dell’umanesimo della seconda metà del Quattrocento, quali Iacopo Contarini, Geroldo di Knittelfeld, Giasone del Maino, Agostino Barbarigo, Pomponio Leto e molti altri. L’opera ebbe grande fortuna e conobbe ben 25 edizioni fino al 1500.
In questa fase di intensa attività, Negri firmò anche l’epistola al lettore che precede le Decretali di papa Gregorio VIII stampate a Venezia da Paganino Paganini (con le glosse di Bernardo Parmense). Seguirono incarichi di docenza all’estero. Tra il 1489 e il 1491 fu chiamato presso il Collegio di Arad (oggi in Romania) grazie alla intercessione di Galeotto Marzio, conosciuto da Negri a Padova, umanista bene inserito nel contesto culturale ungherese, amico di Giano Pannonio e in contatto personale con Mattia Corvino.
Durante il soggiorno ad Arad compose un dramma per i festeggiamenti di s. Nicola, dal titolo Scholasticum Orosianae iuventutis dramma... in divi Nicole sacris, anniversario et panegyrico et donariis publice celebratum (Vat. lat. 4033, cc. 127r-132v). La festa in onore del santo protettore è descritta nelle sue scansioni principali, che costituiscono i cinque atti della rappresentazione: la dedica, tre orazioni per la messa del santo, un panegirico, un carme di 20 distici per la cavalcata, l’esortazione finale agli studenti.
Il rientro in Italia nel 1491 è testimoniato da un lungo panegirico, conservato autografo a Strängnäs (Svezia), Biblioteca capitolare, Mss., Q.19, cc. 3r-13r, in onore di Alberto IV duca di Baviera, che all’epoca della composizione occupava il posto di moderatore presso l’Università di Padova e al quale Negri si rivolse nella speranza di ottenere una collocazione. Sfumato, a dire dello stesso Negri (ma mancano conferme documentali), l’ingresso nella cerchia di Lorenzo il Magnifico, tentò di ottenere la cattedra pubblica a Udine, vacante per la partenza di Giovan Francesco Superchi (Filomuso), ma gli fu preferito Giambattista Uranio.
Galeotto Marzio fu decisivo anche per la seconda chiamata di Negri in Ungheria, tra la fine del 1494 e gli inizi del 1495. Anello di congiunzione tra l’ambiente ferrarese e quello ungherese, in quanto allievo di Guarino Guarini e vicino alla regina Beatrice d’Aragona, zia di Ippolito I d’Este, Marzio favorì l’ingresso di Negri nella corte estense e il suo arrivo a Stregonio (Esztergom), in Ungheria, come precettore del futuro cardinale Ippolito, il quale aveva ottenuto il vescovato della città, nel 1487, a soli otto anni. Mentre Ippolito rientrò in Italia già nel 1496, Negri rimase più a lungo, e in questo periodo tenne lezioni per Beatrice d’Aragona e per il conte di Santa Severina Andrea Carafa, ambasciatore del re di Napoli Ferdinando I, padre di Beatrice.
A questo periodo risale la scoperta di un codice contenente tutti gli otto libri della Mathesis di Firmico Materno, che fu alla base dell’edizione aldina degli Scriptores astronomici veteres del 1499. Negri, che nella dedica al cardinale Ippolito d’Este esalta la scoperta da lui fatta, riteneva erroneamente di aver rinvenuto per primo il testo firmiciano integrale, noto nel Medioevo solo fino al libro IV: in realtà, già Vittorino da Feltre nel 1433 e il Regiomontano nel 1468 avevano posseduto una copia completa dell’opera, che però iniziò a diffondersi veramente solo verso la fine del Quattrocento. Inoltre, la vera princeps della Mathesis è l’edizione veneziana di Simone Bevilacqua del 1497, di cui però si ignorano sia i curatori sia i codici su cui si basa.
Tornato nuovamente in Italia, nell’estate 1497 era a Ferrara, pronto a seguire Ippolito a Milano e poi a Roma tra il novembre e il dicembre dello stesso anno. Nel 1498 cercò ancora una volta di ottenere l’insegnamento a Udine, ma la supplica cadde ancora nel vuoto. Nel frattempo, a Roma il cardinale Ippolito indusse papa Alessandro VI a concedere a Negri il titolo di protonotaro apostolico. Nei primissimi anni del Cinquecento, si mosse con una certa frequenza tra Roma e Ferrara, insoddisfatto delle garanzie offertegli da Ippolito, ma incapace di trovare una alternativa.
Nel febbraio 1501 a Ferrara collaborò all’edizione della Epithome delle vite di Plutarco di Dario Tiberti (Epithome Plutarchi, Ferrara, L. Rossi, 1501). Alla fine del volume si dichiara «unico censore», ossia correttore del testo, anche se è probabile che non sia andato oltre una accurata correzione delle bozze.
Tra il 1503 e il 1504, lasciata Ferrara , si recò nuovamente in Ungheria, a Vàcz, dove, grazie all’appoggio del vescovo Nicola Báthory, contribuì a fondare lo Studio pubblico della città insieme con Bernardino da Udine e ottenne l’incarico di proseguire la storia di Ungheria di Antonio Bonfini. Il soggiorno ungherese non durò a lungo e – dopo essersi fermato sulla via del ritorno a Vienna, dove tenne lezioni su Virgilio e Platone – verso la fine del 1505 decise di lasciare definitivamente Ippolito, non senza avere pubblicato un’orazione funebre per la morte dello zio, Ercole I, con il titolo di Pullata Nigri contio in d. Herculis inferias (Ferrara, L. Rossi, 1505 ca.).
Intorno al 1506 si diresse a Roma, alla ricerca di un privilegio che gli consentisse di vivere in serenità gli ultimi anni. Si rivolse al cardinale Domenico Grimani, poi divenne precettore della figlia di Isabella d’Aragona, duchessa di Bari; in questa città trascorse un anno ed ebbe l’occasione di conoscere personaggi importanti come Antonio de Ferrariis (Galateo) e Davide Ebreo. Alla fine del 1506 o agli inizi del 1507 era a a Roma presso il cardinale Adriano Castellesi, per intercessione del quale ottenne di essere iscritto nel registro degli stipendiati dal papa. Fino alla fuga del cardinale da Roma, nel 1507, fu suo maestro di cassa, dopodiché, pur restando nell’Urbe, fu ripreso brevemente a servizio da Domenico Grimani. Nel febbrario 1508 scrisse una supplica a Ippolito d’Este di riprenderlo a servizio, ma tra la fine del 1508 e gli inizi del 1509, grazie all’intervento di Grimani da un lato e di Andrea Carafa dall’altro, conseguì la carica di uditore presso l’anziano vescovo di Santa Severina, Alessandro Della Marra. In Calabria si trattenne all’incirca un anno e mezzo, fino alla morte di Marra; durante questo periodo diede lezioni e predicò nella cattedrale arcivescovile.
Dal 1510 circa frequentò l’Accademia Cosentina e in particolare il suo fondatore Aulo Giano Parrasio. Nei primi mesi del 1512 era a Napoli, dove divenne precettore dei figli di Inigo d’Avalos e Laura Sanseverino.
Durante il soggiorno napoletano, tra il 1512 e il 1513, dedicò la Historia Theodosiae martyris a Vittoria Colonna. La narrazione dei miracoli della santa fu inclusa negli Acta sanctorum di Godefroy Henschen e Daniel Papebroch (Anversa 1675). In realtà, l’opera con ogni probabilità era stata composta prima del 1494, o addirittura quando Negri si trovava a Padova prima di divenire sacerdote. È anche da attribuirsi a Negri un Officium in onore della santa, di 16 distici, pubblicato nel Martyrium S. Theodosiae Virginis (Venezia, A. Zanchi, 1498).
A Napoli terminò il Perì archon, inviato intorno al 1511 al nuovo doge Leonardo Loredan, e la Cosmodystichia, di cui una buona parte risaliva al 1503.
Il De moderanda Venetorum aristocratia o Perì archon è un trattato sul buon governo e sul prestigio della Repubblica veneziana, esempio di perfetta democrazia. Diviso in due libri e in numerosi capitoli, l’opera intendeva offrire ai principi veneziani le indicazioni di buon governo in pace e in guerra. Il testo si conserva manoscritto in due codici, il Vat. lat. 4033 (autografo, scritto tra il 1493 e il 1494, è dedicato al doge Agostino Barbarigo) e il Marciano lat. VI 6 (= 2753), esemplare di dedica, su pergamena, destinato al doge Leonardo Loredan, databile al 1510-12.
La Cosmodystichia fu composta tra il 1503 e il 1513 e si conserva nel codice Vat. lat. 3971, autografo, con dedica a Leone X, il quale fece entrare il manoscritto in Vaticana tra il 1514 e il 1518. Divisa in 12 libri, è un’opera enciclopedica: i primi due libri trattano di virtù e vizi delle varie età dell’uomo; il terzo è dedicato alle arti liberali; il quarto alla felicità corporale; il quinto al sommo bene; il sesto alla vita religiosa; il settimo a Cristo; l’ottavo alla Vergine; il nono nuovamente alle arti; il decimo alla meccanica; l’undicesimo ad astronomia e astrologia; il dodicesimo alla beatitudine, alla contemplazione e alla miseria della condizione umana. L’opera si chiude, dopo il Nigri genetliacon, con un elenco delle opere dell’autore e con un autoritratto fisico e morale in cui l’autore dipinge la propria sfortunata condizione, senza nascondere difetti e vizi ma pur sempre con un alto sentimento di sé.
Nel 1513 si trovava a Roma, sulla via di Ischia, dove continuò a svolgere l’ufficio di educatore dei rampolli degli Avalos. Da Ischia spedì la Cosmodystichia a Leone X. Il 16 agosto 1515 era però di nuovo a Roma, da dove pregava il cardinale Ippolito che intervenisse affinché gli fosse affidata l’abbazia di S. Maria di Altilia in Calabria.
L’ultima traccia di Negri in vita è datata 19 novembre 1523, data della dedica definitiva scritta nella prima pagina dell’autografo del Perì archon.
L’elenco delle opere al termine della Cosmodystichia (cc. 693-695) contiene 38 titoli, tra cui epigrammi, traduzioni, dityrambi (da identificarsi in quelli, quasi certamente autografi, conservati nel ms. C.12 sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, cc. 65r-68v, 89v, 124v-130v, parzialmente trascritti in Menegazzo, 1966, pp. 450 s.), una Chymica praxis e una Magica praxis, satire, una Sischaria comedia, una Aretha tragedia e un commento a Persio. A stampa anche un Lunarium ab anno 1481 ad 1500, Venezia, E. Ratdolt, 1481. Tre lettere (due a Tibaldo Tibaldi, una a Ercole I d’Este) si trovano a Modena, Bibl. Estense, alpha O.1.17, e altre due (a Ippolito I d’Este) presso l’Archivio di Stato di Modena, Particolari, Negri (in Mercati, 1939, pp. 59*-65*).
Fonti e Bibl.: G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, II, Venezia 1754, pp. 473-487; H. Aminson, Bibliotheca Templi Cathedralis Strengnensis Supplementum, continens Codices Manu Scriptos..., Stockholm 1863, p. XLI; A. Zingerle, De carminibus Latinis saeculi 15. et 16. ineditis..., Innsbruck 1880, pp. 89-96; P. Verrua, L’Università di Padova circa il 1488 nell’«Opusculum scribendi epistolas» di F. N., in Atti e memorie della R. Accademia di Padova, n.s., XXXVI (1920), 183-214; Id., Cinque orazioni dette dall’umanista F. N. nello studio di Padova, in Archivio veneto-tridentino, I (1922), pp. 194-236; G. Mercati, F. Pescennio Negro veneto protonotario apostolico, in Id., Ultimi contributi alla storia degli umanisti, II, Città del Vaticano 1939, pp. 24-109 e Appendice; E. Menegazzo, Francesco Colonna tra Padova e Venezia. I. Francesco Colonna baccelliere nello Studio teologico padovano di S. Agostino (1473-74), in Italia medioevale e umanistica, IX (1966), pp. 441-452; J. Öberg, Notice et extraits du manuscrit Q19 (XVIe s.) de Strängnäs, Stockholm 1968; J. Pendergrass, Lettres, poèmes et débat scolaire de Germain Maciot, étudiant parisien du XVe siècle: Ms. Latin 8659 de la Bibliothèque Nationale de France, in Archivum Latinitatis Medii Aevi, n. 55 (1977), pp. 200-210 e passim; F.A. Gallo, La trattatistica musicale, in Storia della cultura veneta, III, 3, Vicenza 1981, pp. 297-314; J.R. Henderson, Negro, F., in Contemporaries of Erasmus, a cura di P.G. Bietenholz - T.B. Deutscher, III, Toronto 1985, pp. 10 s.; C. Lozano Guillén, Franciscus Niger y la gramática exegética, in Humanistica Lovaniensia, XLVI (1997), pp. 1-12.