NAVA, Francesco
NAVA, Francesco. – Nacque a Barzanò (Lecco), pieve di Missaglia, il 27 gennaio 1755, figlio primogenito di dodici, tra fratelli e sorelle, di don Nicolò, capitano di cavalleria dell’armata imperiale asburgica per più di quarant’anni, e della nobile Antonia Gemelli.
Si laureò il 9 giugno 1777 a Pavia, dove aveva frequentato il collegio Borromeo. Nel 1778 entrò a far parte del collegio dei dottori di Milano, a cui erano riservati, per consuetudine, gli uffici pubblici della Lombardia austriaca, chiese di far parte del collegio dei nobili giureconsulti e fece una lunga pratica legale presso lo studio dell’avvocato Michele de Villata, conosciuto probabilmente al collegio Borromeo. Dal 1780 esercitò per due anni la carica di protettore dei carcerati, ruolo che consentiva ai giovani usciti dal collegio dei dottori di familiarizzare con la pratica forense nello svolgimento dei processi, e ottenne l’incarico di ‘sindacare’ le Curie di Porlezza e di Menaggio, cui seguì nel 1783 quella di Pizzighettone. Nel 1783 fu nominato avvocato dei poveri per il triennio successivo, mentre nel 1784 diventò assessore del tribunale di Provvisione con Ottavio Pozzo di Perego. Nel marzo 1791 fu eletto di vicario di Provvisione della ripristinata congregazione dello Stato, prestigiosa carica che gli fu prorogata per un biennio nel luglio 1795.
Il vicario rappresentava la più importante autorità locale dei corpi pubblici milanesi, codificata per la prima volta nel 1396 all’interno degli Statuti di Milano. L’elezione di Nava rappresentò una sorta di ritorno al passato per la politica locale, dopo il lungo travaglio cominciato con le riforme dell’imperatore Giuseppe II, il quale, all’interno di un progetto che tentava di ribadire la dipendenza dal governo centrale di Vienna di tutte le congregazioni municipali della Lombardia austriaca, nel 1786 aveva abolito anche quella di Stato. Questa fu ripristinata con il regio dispaccio del 30 gennaio 1791 (Arch. di Stato di Milano, Dispacci reali, cart. 267), che non solo sembrava restituirle gli antichi compiti amministrativi, ma anche accrescerle i poteri politici attraverso la concessione di un rappresentante con residenza fissa a Vienna, che avrebbe dovuto consentire un rapporto diretto e di primo piano con la corte. Tale concessione fece pensare ai patrizi lombardi di poter rinnovare il loro potere contrattuale nei confronti del sovrano, anche se l’effetto apparve subito più formale che sostanziale. Infatti la situazione nel Milanese rivelava contorni piuttosto complessi: da un lato vi era un patriziato scarsamente compatto al proprio interno, una parte del quale era convinto di aver recuperato il terreno perduto con Giuseppe II in termini di autonomia; dall’altro un sovrano, Leopoldo II, che cercava di accontentare tutti quelli che si erano fortemente opposti alla politica del fratello, senza però sacrificare la sostanza delle sue riforme, vale a dire l’accentramento e la separazione dei poteri, principi che anch’egli condivideva. La corrispondenza segreta che Nava e l’inviato della congregazione a Vienna conte Alfonso Castiglioni, eletto ufficialmente il 4 maggio 1791 e giunto nella capitale in luglio, si scambiarono nei mesi successivi, ben testimonia il clima che si respirava a Vienna nei confronti delle riforme di Leopoldo II e la diffidenza con cui l’inviato milanese era stato accolto all’interno del Dipartimento d’Italia. Castiglioni confessava a Nava la meraviglia di notare come delle persone che avrebbero dovuto avere «relazioni con gli affari della Lombardia» parlassero mal volentieri dei nuovi cambiamenti in atto, troncassero immediatamente ogni discorso in proposito e mostrassero di «ignorare le particolarità del Nuovo Sistema» (Milano, Arch. storico civico, Dicasteri, cart. 181).
La morte improvvisa di Leopoldo II il 1° marzo 1792 e la successione del figlio Francesco II complicarono ulteriormente i rapporti tra il centro e le periferie della Monarchia. Il travaglio di quel frangente storico fu ben descritto dallo stesso Nava quando rifletteva sui «grandi travagli […] e grandi operazioni laboriosissime» (L’invasione francese in Milano, 1902A, p. 96) che gli stavano costando l’avvicendamento di ben tre imperatori nel giro di due anni, le relative riforme messe in atto al cambio di ogni amministrazione e il conseguente ricambio dei vertici dei ministeri e, non ultimo, la guerra contro la Francia. Questa occupò quasi interamente l’attività di Nava a partire dal 1792: dalle disposizioni per gli alloggi delle truppe, al loro approvvigionamento e soprattutto alla gestione delle imposte e dei prestiti, aumentati vertiginosamente a causa del conflitto, a cui si aggiunsero le epizoozie che tra il 1795 e il 1796 decimarono il bestiame lombardo e un’epidemia di tifo.
All’inizio del 1796, quando fu evidente agli occhi di tutti che il governo asburgico di Milano avrebbe presto abbandonato la città, il lavoro di Nava divenne ancora più importante. Il carteggio con Felice Astori, inviato sui campi di battaglia nel Pavese come osservatore, non solo descrive la precaria situazione del quartier generale comandato dal generale Jean-Pierre de Beaulieu e la totale desolazione in cui versavano le truppe, ma anche il clima di imminente disfatta che si respirava ovunque per la mancanza di denaro e l’ambiguità con cui Vienna affrontava la difesa della Lombardia.
Alla notizia che i francesi erano entrati in Lombardia e che l’arciduca Ferdinando aveva lasciato Milano, la mattina del 9 maggio 1796, Nava ordinò la convocazione di tutti i corpi civici della città al fine di organizzare un piano d’emergenza, in realtà già preparato da tempo.
Nava era stato sollecito anche nell’approntare una milizia urbana che difendesse la città nel momento in cui le truppe asburgiche avrebbero dovuto abbandonarla, suggerendo però di non armare gli strati sociali più bassi della popolazione per non creare turbative maggiori. Nel contempo furono nominate anche alcune delegazioni che avrebbero dovuto occuparsi degli alloggi e degli approvvigionamenti di viveri sotto il suo coordinamento. Convocò inoltre il Consiglio generale per scegliere i delegati che avrebbero dovuto accompagnarlo a ‘complimentarsi’ con Bonaparte. In realtà questa delegazione non andò mai oltre porta Romana, perché i collegamenti tra Milano e Lodi, dove stava il generale, non erano sicuri. Solo qualche giorno più tardi la congregazione riuscì a inviare due delegati, il conte Francesco Melzi e il conte Giuseppe Resta che incontrarono il generale a Lodi.
Nei giorni che precedettero l’effettivo ingresso in Milano delle armate francesi, l’attività di Nava divenne febbrile. Il generale André Masséna giunse fuori città la mattina del 14 maggio e tutte le rappresentanze dei corpi civici si recarono a omaggiarlo.
Nava ebbe allora la consapevolezza di congedarsi da un mondo appartenente ormai al passato: «Un nuovo ordine di cose mi s’affacciò tosto alla mente, ed occupommi talmente lo spirito che dovetti far violenza a me stesso per trattenermi dal farne con qualche atto di debolezza pubblica mostra. Vedeva io bene il vasto mar burrascoso che mi conveniva solcare, e mi pareva già di travedere nell’avvenire l’ammasso delle vicende, che mi dovean tormentare» (L’invasione francese in Milano, 1902A, p.133).
Formalmente Nava manteneva ancora la carica di vicario di Provvisione e tra le incombenze delle prime ore successive alla consegna della città ai francesi vi fu il problema delle requisizioni, sia di bestiame sia di alloggi e vitto per le truppe conquistatrici, composte da non meno di 10.000 uomini.
A metà maggio andò a omaggiare Napoleone e non poté fare a meno di stupirsi di come fosse stato possibile che l’armata francese che egli incontrava sul percorso «sprovvista di tutto» avesse potuto misurarsi e battere «e rovesciare l’altra armata, che di nulla mancava» (1902B, p. 322). Sua fu anche l’idea di inviare una rappresentanza del Consiglio generale e della congregazione presso Napoleone «per trattare degli affari presenti» e in quella occasione ebbe un lungo colloquio con Bonaparte. Fu convocato anche dal commissario del Direttorio in Italia Antoine-Christophe Salicetti affinché lo informasse delle modalità di funzionamento dell’amministrazione civica e in particolare dello stato della Cassa pubblica. I verbali del Consiglio generale testimoniano che sia quest’ultimo sia la congregazione dello Stato, con il vicario in testa, rimasero per una settimana in seduta permanente per implementare tutto il sistema degli approvvigionamenti, soprattutto quelli necessari all’esercito, tanto che tutte le casse civiche furono completamente svuotate.
Nel frattempo i rappresentanti delle antiche magistrature cittadine cominciarono a subire anche la provocazione della neonata Società popolare. Nava fu personalmente coinvolto in alcuni fatti, tanto da fargli compilare una sorta di supplica nella quale si evidenziavano i danni che i proclami e le azioni di tale società avrebbero potuto provocare al buon ordine cittadino, e alla quale venne allegata una richiesta di dimissioni di tutti i corpi civici. Bonaparte rifiutò e addirittura il 20 maggio omaggiò Nava di una visita nella sua casa. La sera del 20 maggio, però, i francesi, accettarono le dimissioni dei rappresentanti pubblici milanesi che precedentemente avevano rifiutato e li sostituirono con cittadini in gran parte iscritti alla Società patriottica. Il generale Hyacinthe-François-Joseph Despinoy, incaricato di dare esecuzione alla sentenza che scioglieva il Consiglio generale, dimissionò anche Nava, che fu esiliato a Nizza, dove rimase fino al 14 ottobre 1796.
Dopo le vittorie austro-russe e il ritorno del governo asburgico dall’aprile 1799 al maggio 1800, ebbe ancora un ruolo pubblico in qualità di prefetto e regio delegato nella congregazione delegata che, divisa in cinque dipartimenti, esercitava il governo municipale.
Nava ne era il diretto responsabile, scelto proprio per il ruolo svolto come vicario di Provvisione. I compiti della delegazione erano circoscritti alle problematiche derivate dalla guerra contro i francesi e, sostanzialmente, riguardavano le requisizioni e gli approvvigionamenti. Fu Nava a impostare la struttura interna degli uffici che, in gran parte, ricalcavano quelli della congregazione di Stato. Una delle mansioni più delicate che si trovò ad affrontare riguardò l’epurazione di quanti avevano prestato il giuramento o chiesto il certificato di civismo nella Cisalpina. Dal canto suo, cercò di far presente alle autorità di governo, al commissario Luigi Cocastelli soprattutto, che un’epurazione generale avrebbe paralizzato l’amministrazione; si augurava, quindi, un «qualche raddolcimento» da parte austriaca (Arch. di Stato di Milano, Uffici e tribunali regi, p. a., cart. 480).
Al ritorno dei francesi, emigrò prima a Udine e poi a Venezia. Tornò in patria, con ogni probabilità dopo la costituzione della Repubblica italiana guidata da Francesco Melzi d’Eril in qualità di vicepresidente per dedicarsi alla tutela dei nipoti, figli della sorella Maria, sposata al conte Lurani. Non ricoprì più alcun ruolo pubblico.
Morì a Milano il 25 dicembre 1807.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Feudi camerali, Barzanò; Censo, p. a., cart. 279; Uffici e tribunali regi, p. a., cart. 480; Dispacci reali, cartt. 267; 477-478 (verbali della delegazione generale delle province lombarde); Milano, Archivio storico civico, Dicasteri, cartt. 181-189; 312-316 (sulla nuova congregazione di Stato); 191, 291, 292; 284-287, in particolare 285 (sul ruolo di prefetto della congregazione delegata); Ibid., Arch. della Curia, Pieve di Missaglia, Visite pastorali, vol.17; Wien, Haus-Hof- und Staats Archiv, Diplomatische Korrespondenz, Modena, K.1, fsz. 2; Raccolta degli ordini ed avvisi stati pubblicati dopo il cessato governo austriaco (comunemente detta Raccolta Veladini) 1796, I; F. Bombognini, Antiquario della diocesi di Milano, Milano 1828, pp. 216-221; I. Cantù, Le vicende della Brianza e dei paesi circonvicini, II, Milano 1855, pp. 285 ss.; G. Scandella, Vita di Gabrio Maria Nava, vescovo di Brescia, Brescia 1857, ad ind.; F. Calvi, Il patriziato milanese, Milano 1875, pp. 228 s., 355-360; L’invasione francese in Milano (1796), Da memorie inedite di don F. N., a cura di G. Gallavresi-F. Lurani, 1a p.te, in Archivio storico lombardo, XXIX (1902A), 35, pp. 88-140; 2a p.te, ibid., 1902B, 36 , pp. 318-360; C. Santoro, I vicari di Provvisione a Milano dal 1385 al 1786, inCittà di Milano, 1926, n. 12, pp. 402 s.; A. Cappellini, Barzanò. Notizie storiche, Barzanò 1959, pp. 86-88; C. Capra, La Lombardia austriaca nell’età delle riforme (1706-1796), Torino 1987, ad ind.; E. Pagano, Alle origini della Lombardia contemporanea: il governo delle province lombarde durante l’occupazione austro-russo, 1799-1800, Milano 1998, ad ind.; E. Riva, La riforma imperfetta. Milano e Vienna tra ‘istanze nazionali’ e universalismo monarchico (1789-1796), Mantova 2003, pp. 60-68, 83-100; Carriere, magistrature e Stato. Le ricerche di Franco Arese Lucini per l’«Archivio storico lombardo» (1950-1981), a cura di C. Cremonini, Milano 2008, pp. 110, 124, 127.