MOSCHENI, Francesco
– Di origine bergamasca, nacque forse nella val Imagna, in data impossibile da precisare, tra il secondo e il terzo decennio del XVI secolo.
Con il fratello Simone introdusse la stampa ad Alessandria, pubblicando gli Statuti cittadini nel 1547, anno in cui ebbe inizio la sua presenza nel mondo dell’editoria. I tre «fratres Bergomates» (l’altro era Giovanni Battista e tre mosche li rappresentavano nell’insegna di bottega) erano allora «cives Alexandrini» a prova che la loro presenza in città, con commercio di libri e carta, contava già diversi anni.
Essere residente nei luoghi in cui operava e avvalersi dei benefici che le autorità accordavano ai cittadini fu per Moscheni una politica costante: all’inizio dell’attività a Pavia nel 1550 si dichiarava «cittadino» e nel 1557 per aprire una tipografia a Trento chiedeva ai Consoli di quella Comunità di «esser accettato per vostro cittadino».
I fratelli si divisero le competenze: Francesco e Simone si dedicarono alla stampa, Giovanni Battista al commercio dei libri. A metà secolo quest’ultimo aveva bottega di «libraro in Mantua», rifornendosi a Venezia da Gabriele Giolito, che vantava nei suoi confronti crediti maturati nel corso di un decennio e nel 1575 inviò al suo procuratore mantovano «il conto del dare et aver di Giovan Batista Moscheni libraro» (Nuovo - Coppens, 2005, p. 344). Giovanni Battista mantenne la bottega di libri ad Alessandria, se ancora nel 1580 si hanno notizie che lo riguardano, mentre Francesco ritenne che la città non offrisse prospettive interessanti e, dopo aver firmato con Simone nel 1549 le Elegiae de peste di Giovanni Orsini, si portò a Pavia; nel 1550, divenutone cittadino, avviò l’attività in società con il libraio Giovanni Battista Negri, collaborazione cessata l’anno dopo. Nel 1553 Simone (che nel 1550 aveva stampato da solo le Regulae grammaticales di Battista Guarino) raggiunse il fratello e assieme sottoscrissero due volumi giuridici di Camillo Plauzio Pezzone, lettore di diritto civile nello Studio. A Pavia Moscheni pubblicò sia testi universitari, come la Explicatio di Matteo Corti sull’Anathomia di Mondino dei Liuzzi, sia opere per la scuola (De vita iuventutis instituenda di Cristoph Hegendorff, le annotazioni di Costanzo Landi su Catullo, le Eroidi di Ovidio). Nel 1553 morì Andrea Alciato e Moscheni impresse componimenti scritti per l’occasione da Alessandro Grimaldi, Stefano Guazzo, Pierre Varondelle, mettendosi a disposizione di letterati locali secondo una politica editoriale consolidata.
Nel 1553 i Moscheni si trasferirono a Milano, sollecitati da Niccolò Secco, capitano di giustizia, e dal poeta Giuliano Gosellini, aprendo bottega «nel corso di Porta Orientale appresso S. Paolo». Poco dopo ottennero dal Senato privilegio per stampare effemeridi, pronostici, opere in latino e in volgare e altro materiale di largo consumo. Per riconoscenza a Secco pubblicarono un’epistola di Marcantonio Maioragio sulla riconquista di Vercelli conseguita dello stesso Secco e nel 1555 stamparono un suo esile opuscolo di arte militare, De origine pilae maioris et cinguli militaris, quo flumina superantur. Per tutelarsi dai concorrenti ricorsero a Ferdinando Gonzaga, governatore dello Stato di Milano, chiedendo un privilegio per produrre «libri latini, greci, volgari et d’ogni altra sorte, con una stampa nova corretta et molto elegante» (Cavagna, 1996, p. 225). Entrarono così nel competitivo mondo editoriale milanese, cercando un loro spazio.
Subentrato nel 1556 il cardinale Cristoforo Madruzzo come governatore, gli rivolsero una supplica per ottenere protezione e privilegi in quella «merchantesca città» dove «i libri sono visitati da pochi» (ibid.). Per ingraziarselo i Moscheni gli avevano dedicato nel 1556 un’orazione latina di Giovanni Giacomo Gabbiano, riproposta l’anno dopo, «di latina fatta volgare» da Alemanio Fini. Altre erano le preoccupazioni del cardinale, vista la disastrosa situazione della finanza pubblica del Ducato, ma la petizione dei Moscheni gli suggerì una possibile soluzione al problema del suo principato vescovile di Trento, ancora sprovvisto di stampatore quando una nuova sessione del Concilio stava per aprirsi, e chiese loro di trasferire ivi l’esercizio del mestiere. Le promesse di Madruzzo trovarono riscontro nei patti che nell’aprile 1557 Moscheni sottoscrisse con gli amministratori di Trento: cittadinanza, monopolio della stampa, comodato gratuito di casa e bottega, esclusiva di raccolta delle «strazze», condizione, quest’ultima, non accettata, data la rilevanza economica che aveva per la produzione della carta. Nonostante l’appoggio del cardinale non se ne fece nulla. Trento non offriva grandi sbocchi commerciali e Moscheni non intendeva lasciare Milano per trasferirvi l’attività, volendo casomai esercitare in ambedue i luoghi. Ma presumibilmente nel 1557 Simone morì: da quell’anno, infatti, il suo nome scompare dalle stampe e senza di lui l’ipotesi di lavoro in due sedi non era realizzabile.
Altri inconvenienti sopravvennero a mettere in crisi l’attività: ne fa fede l’impegnativa stampa dei trattati di Giulio Claro licenziati definitivamente nel 1562 con sottoscrizioni di Moscheni (1558 e 1562) e di Vincenzo Conti a Cremona (1559 e 1560), nonché il fatto che nel 1559 Moscheni si facesse prestare 345 lire da Giovanni Battista Salvatorino, somma che non risolse la crisi se nel gennaio 1561 doveva cedere bottega, libri e attrezzature a Giovanni Antonio Degli Antoni suo creditore. In quell’anno e nei successivi, tuttavia, numerose stampe uscirono sotto il suo nome. Non sono chiari i rapporti correnti tra lui e Degli Antoni, che era soprattutto libraio: forse Moscheni continuò a lavorare anche per sé nell’officina di cui era divenuto proprietario Degli Antoni.
Poiché l’ultima sottoscrizione risale al 1565, con la Difesa contro la peste di Marcello Squarcialupi, si deve ritenere che la morte sia sopravvenuta, probabilmente a Milano, in quello stesso anno o poco dopo.
Oltre cento sono le stampe uscite dai torchi di Moscheni fra Alessandria, Pavia e Milano tra il 1547 e il 1566, sottoscritte da lui solo o insieme con Simone. Il catalogo contiene testi universitari, opere scolastiche e scritti di autori viventi (Giovanni Alberto Albicante, Giovanni Bertoni, Giuseppe Betussi, Marcello Bisnato, Bartolomeo Botta, Giovan Iacopo Bottazzo, Giovan Agostino Caccia, Giovanni Cerruti, Girolamo Chiaravacci, Ferdinando D’Adda, Livio Datarino, Alemanio Fini, Giovan Giacomo Gabbiano, Costanzo Landi, Marco Litta, Marcatonio Maioragio, Giovanni Francesco Marengo, Giovanni Musonio, Marco Antonio Natta, Aonio Paleario, Girolamo Ruscelli, Niccolò Secco, Bartolomeo Taegio, Venturino Vasoli). Molti di loro provenivano da luoghi allora sprovvisti di tipografie come Asti, Bergamo, Como, Crema, Cremona, Cuneo, Lodi, Novara, Piacenza, Vercelli. Una quindicina le «copie di lettere» o relazioni che narrano avvenimenti contemporanei (le esequie di Carlo V, la presa di Cuneo, il ritorno dell’Inghilterra a Roma, le nozze di Filippo di Spagna). Particolare rilievo rivestono nel catalogo editoriale le stampe musicali: oltre a un’antologia di «canzoni alla napolitana», si trovano i nomi di Jacques Archadelt, Simon Boyleau, Giuseppe Caimo, Francesco Cellavena, Ghinolfo Dattari, Bartolomeo Torresano (l’Hoste da Reggio), Hermann Mathiae, Vincenzo Ruffo, Pietro Taglia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Sforzesco, c. 1607; Studi, c. 97, f. A; Notarile, notaio G.A. Subaglio, 23 settembre 1559; ibid., notaio G.G. Pusterla, 14 gennaio 1561; Milano, Arch. storico civico, Lettere ducali, 1553-62, c. 28v; Trento, Arch. comunale, Atti consolari, a. 1557, n. 3875, cc. 19-20; Arch. di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1509, c. 383; G. Dondi, Alessandria, in M. Bersano Begey - G. Dondi, Le cinquecentine piemontesi, II, Torino 1966, pp. 167 s., 170 s., 217; A.G. Cavagna, Libri e tipografi a Pavia nel Cinquecento, Milano 1981, pp. 189-191, 260-264, nn. 315-339; E. Sandal, L’arte della stampa a Milano nell’età di Carlo V: notizie storiche e annali tipografici (1526-1556), Baden-Baden 1988, pp. 18 s. e n. 18; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze 1989, pp. 159, 190, 227; K.M. Stevens, Printing and patronage in sixteenth-century Milan: the career of F. M. (1547-1566), in Gutenberg Jahrbuch, LXX (1995), pp. 151-158; A.G. Cavagna, La politica del libro nella Lombardia del xvii secolo: prime note, in Il Bibliotecario, n.s., XIII (1996), pp. 223-258; A. Nuovo - C. Coppens, I Giolito e la stampa nell’Italia del XVI secolo, Genève 2005, pp. 336, 341-344; E. Sandal, Il cardinale Cristoforo Madruzzo e la stampa a Trento, in Aevum, LXXXI (2007), 743 s.