MOSCA, Francesco (detto il Moschino)
– Figlio dello scultore Simone, nacque intorno al 1523. Il luogo di nascita risulta ignoto, forse Firenze o Settignano, in quanto in quel tempo il padre, dopo una lunga permanenza a Roma, era documentato nel capoluogo toscano.
Traferitosi con la famiglia nel 1538 a Orvieto, il giovane, «essendo prodotto dalla natura quasi con gli scalpelli in mano, e di sì bell’ingegno che qualunque cosa voleva facea con somma grazia» (Vasari, 1568), dette gradualmente inizio alla sua attività di scultore, collaborando sempre con maggiore frequenza con il padre, attivo in quel tempo in varie commissioni nella cittadina. Tra le prime opere ascrivibili a lui, Vasari menziona nel duomo orvietano, con dovizia di dettagli, i brani figurati nell’altare dell’Adorazione dei magi, ovvero «il Dio Padre del frontespizio […] gl’angeli che sono nel mezzo tondo […] et ultimamente le Vittorie». Eseguite sotto l’egida del padre per ornare una pala marmorea di Raffaello da Montelupo, queste opere furono retribuite nel 1546 (Luzi, 1866) all’artista che, forte del successo conseguito con esse, ottenne nel 1550 l’incarico della cappella della Visitazione, progettata tra il 1546 e il 1547 dal padre Simone e da Montelupo, da realizzarsi in pendant con la precedente (Bellesi, 1995).
Condotta a termine nel 1554, la cappella, caratterizzata dagli stessi elementi decorativi e dagli ornati figurati già utilizzati nell’altare precedente, si qualifica essenzialmente per il pannello istoriato collocato nella parte centrale, raffigurante l’episodio evangelico della Visitazione. Definito con uno stile omaggiante le tendenze scultoree italiane più à la page, mostra, soprattutto, analogie stringenti con l’arte fiorentina contemporanea di ambito bandinelliano e originali rivisitazioni classiche, di gusto dichiaratamente anticheggiante.
Nominato nel 1552 capomastro del duomo di Orvieto, dopo l’ultimazione dell’altare della Visitazione, si dedicò alacremente ad altre sculture. Interamente autografo di Mosca risulta il S. Paolo, oggi conservato nella chiesa di S. Agostino, commissionato nel 1554 e ultimato due anni più tardi. Destinata al presbiterio della cattedrale, l’opera, alla quale fu accompagnato dopo il 1557 il S. Pietro scolpito da Montelupo, dette il via a un’importante serie di statue marmoree a figura intera condotte a più riprese e ultimate nel corso del Sei-Settecento. Ancora destinato alla cattedrale orvietana risulta il marmo con S. Sebastiano, anch’esso ospitato attualmente in S. Agostino, iniziato da Mosca intorno al 1554 ma condotto a termine tra il 1556 e il 1557 da Ippolito Scalza (Cannistrà - Ermini, 2007). Tra le opere riferibili all’artista eseguite per Orvieto è da segnalare ancora, in via attributiva, una statua frammentaria con un Nudo femminile oggi conservata nelle raccolte dell’Opera del duomo (Garzelli, 1972).
In seguito alla morte del padre, avvenuta nel 1554, Mosca si trasferì a Roma, dove per «Ruberto Strozzi [fece] due molto graziose figure di marmo, cioè il Marte e la Venere che sono nel cortile della sua Casa in Banchi» (Vasari, 1568): identificabili con un gruppo marmoreo raffigurante in realtà Atalanta e Meleagro, le statue furono rimosse dalla loro collocazione originaria in epoca imprecisata e sono ora conservate nelle collezioni della William Rockhill Nelson Gallery of art a Kansas City. Dopo la commissione da parte della famiglia Strozzi, originaria di Firenze, l’artista decise di trasferirsi nel capoluogo toscano, dove portò, come dono personale al duca Cosimo I de’ Medici, «una [sua] storia di figurine piccole, quasi di tondo rilievo, nella quale Diana che con le sue ninfe si bagna e converte Atteon in cervio, il quale è mangiato da’ suoi proprii cani» (ibid.). L’opera, conservata nel Museo nazionale del Bargello a Firenze (Collareta, 1980), mostra affinità stilistiche con un raffinatissimo altorilievo con la Caduta di Fetonte oggi a Berlino (Staatliche Museen, Skulpturensammlung; Gasparotto, 1997), ascritto nel 1913 a Mosca da Fritz Goldschmidt, dopo essere stato assegnato variamente a Jacopo Sansovino e alla bottega di Andrea Sansovino.
Di provenienza ab antiquo sconosciuta, la Caduta di Fetonte, che costituisce una delle realizzazioni più interessanti dell’artista, evidenzia, come in altre sculture riferibili allo stesso, un linguaggio stilistico eterogeneo di pretta ascendenza fiorentina, improntato, in prevalenza, sul garbato classicismo bandinelliano, evidente soprattutto nell’armoniosa definizione delle figure femminili, deferenti tipologicamente a modelli dell’antichità greco-romana.
Grazie alla protezione del duca di Toscana, che mostrò un particolare interesse nei suoi confronti, Mosca ottenne nel 1558 l’allogazione dell’apparato scultoreo della cappella dell’Annunciazione nella cattedrale di Pisa (Tanfani Centofanti, 1898), per la quale attese, a più riprese, all’esecuzione di varie statue marmoree a tutto tondo e a bassorilievo, ultimate nel 1563, anno della valutazione effettuata da Vasari e Vincenzode’ Rossi. Dalle stime delle singole opere apprendiamo che l’artista aveva eseguito la coppia con la Vergine Annunziatae l’Arcangelo Annunziante, Adamo ed Eva, le Sibille, il Dio Padre, la Fede e la Speranza e, ancora, l’Angelo reggicartella e altri rilievi nel catino (Casini, 1987). Dopo aver lasciato il resto degli apparati scultorei, condotti a termine alcuni anni più tardi, ai membri della famiglia Stagi, Mosca, forte dei buoni consensi critici riscossi con queste opere, ottenne, nel 1563, l’incarico dell’arredo scultoreo, all’interno della medesima cattedrale, della cappella dell’Incoronata, per il quale appare documentato dal mese di settembre dello stesso anno a Carrara per la scelta dei marmi. Come per la cappella precedente anche per questa eseguì un numero rilevante di opere, identificabili, sulla traccia di precise informazioni documentarie, con il grande altorilievo con l’Assunzione della Vergine, il gruppo con l’Incoronazione, la coppia di Profeti e gli Angeli (ibid.). Dopo un primo trasferimento effettuato da Carrara alla primaziale di Pisa nel 1571, per queste opere si avvalse della collaborazione di Stoldo Lorenzi, come risulta dai referti archivistici. Ancora incomplete alla morte di Mosca, le statue furono collocate in loco solo nel 1583, per opera del figlio Simone, nominato dai responsabili al cantiere della cattedrale per il proseguimento dei lavori.
Seppur attivo soprattutto nell’esecuzione delle opere destinate al duomo di Pisa, Francesco negli ultimi anni di vita fu impegnato anche in altre importanti commissioni. Dopo la partecipazione al concorso per la Fontana di Nettuno per piazza della Signoria a Firenze, documentata al 1560 (Cellini, 1559-62), realizzò nel 1565 tre «figure di terra», alcuni termini e due fiumi piccoli per gli apparati effimeri destinati all’arredo del capoluogo toscano per le nozze di Francesco I de’ Medici e Giovanna d’Austria (Vasari, 1568). Al 1569 risale l’esecuzione di «due fonti per il Duca Cosimo» (Gaye, 1840) mentre negli anni Settanta è documentata la sua presenza alla corte dei Farnese a Parma (Ronchini, 1876) e a quella dei Savoia a Torino, località, quest’ultima, dove realizzò, tra le altre statue, una «Venere maggiore del naturale» (Lomazzo, 1585), oggi non identificata.
Morì a Pisa nel 1578.
Fonti e Bibl.: B. Cellini, Vita (Firenze 1559-1562), a cura di O. Bacci, Roma 1901, pp. II, CI; G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori et architettori (1568), a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, pp. 306, 309; G.P. Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura… (1585), in Id., Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, II, Firenze 1974, p. 252; C. Gaye, Carteggio inedito d’artisti, III, Firenze,1840, pp. 277, 394 s.;L. Luzi, Il duomo di Orvieto descritto e illustrato, Firenze 1866, pp. 486-489; A. Ronchini, Francesco e Simone Moschini, in Atti e memorie delle RR. Deputazioni di storia patria per le Provincie modenesi e parmensi, VIII (1876) pp. 97-111; L. Fumi, Il duomo di Orvieto e i suoi restauri, Roma 1891, p. 317; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti tratte dai documenti pisani, Pisa 1897, pp. 201-203; F. Goldschmidt, Kaiser-Friederich Museum. Uber zwei Bildwerke der florentiner Spätrenaissance, in Amtliche Berichte aus den Königlichen Kunstsamm-lungen, 1913, vol. 24, pp. 91-95; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, X, 3, Milano 1937, pp. 969-977; A. Garzelli, Museo di Orvieto. Museo dell’Opera del duomo, Bologna 1972, pp. 9, 64 s., 105; M. Collareta, in Palazzo Vecchio. Committenza e collezionismo medicei1537-1610 (catal.), Firenze 1980, pp. 327 s.; T.R. Verellen, Raffaello da Montelupo 1504-1566, Hamburg 1986, p. 134; C. Casini, in R.P. Ciardi - C. Casini - L. Tongiorgi Tomasi, Scultura a Pisa tra Quattro e Seicento, Firenze 1987, pp. 189-218, 227; A.M. Bava, Antichi e moderni: la collezione di sculture, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino 1995, pp. 149, 161, 169; S. Bellesi, Simone Mosca, scultore, ornatista e architetto, in Antichità viva, XXXIV (1995), 1-2, pp. 26-28; S. Bule, F. M., in The Dictionary of art, XXII, London-New York 1996, p. 166; D. Gasparotto, in Magnificenza alla corte dei Medici (catal., Firenze), Milano 1997, pp. 44 s.; Repertorio della scultura fiorentina del Cinquecento, a cura di G. Pratesi, Torino 2003, I, p. 58; III, figg. 612-614; A. Cannistrà - G. Ermini, in Le Stanze delle meraviglie. Da Simone Martini a Francesco Mochi. Verso il nuovo museo dell’Opera del duomo di Orvieto, a cura di A. Cannistrà (catal., Orvieto), Cinisello Balsamo 2007, pp. 115-119.