MORLACCHI, Francesco
Compositore, nato a Perugia il 14 giugno 1784, morto a Innsbruck il 28 ottobre 1841. Allievo di suo padre per il violino, di L. Caruso e L. Mazzetti per l'organo, si recò per breve tempo a Loreto a studiare composizione con A. Zingarelli. A Bologna (1805) riprese lo studio del contrappunto con S. Mattei. Là compose una cantata per l'incoronazione di Napoleone a re d'Italia, un Te Deum, un Pater Noster, tre inni, un miserere a 16 voci, e musicò il canto XXXIII dell'Inferno dantesco. Nel 1807 esordì alla Pergola di Firenze con la farsa Il poeta di campagna, cui seguì l'opera comica Il ritratto, o La forza dell'astrazione (Verona 1807).
La facile rapidità con cui componeva, e il successo più che lusinghiero con il quale erano accolte le sue opere (sette altre ne rappresentò fino al 1810, di cui La Principessa per ripiego e Le Danaidi a Roma), gli procurarono larghissima fama; in quello stesso anno venne chiamato da Federico Augusto di Sassonia a dirigere l'opera italiana a Dresda, carica ch'egli tenne finché non venne a morte. A Dresda occupò anche la carica di primo maestro della cappella reale, dove dal 1816 al '26 fu compagno di C. M. von Weber. Compose e lasciò negli archivî di Dresda più di dieci opere, tra cui Corradino (1810), Raoul de Créqui (1811), che fu giudicato il suo capolavoro, Gianni di Parigi (1818), il Barbiere di Siviglia (1816), Ilda d'Avenel (1824), Laodicea (1825), I Saraceni (1828), dieci messe, un Requiem per il re di Sassonia (che fu eseguito anche in onore del musicista, nel 1842, alla basilica laurenziana di Perugia), un oratorio per la Passione (1812), gli oratorî Isacco (1817) e La morte d'Abele (1821), cantate, inni, sonate per organo, un Magnificat, i vespri della Vergine, il Carmen saeculare (1818). Nelle opere scritte in suolo germanico il Morlacchi rivela uno studio più approfondito e una più seria disciplina delle proprie risorse musicali.
Egli lasciò anche un'opera incompiuta, Francesca da Rimini, e l'introduzione a un'altra opera, Laurina alla Corte.
Di vena ricca e di felice ispirazione, soprattutto nel comico, il M. corrispose alle esigenze effimere d'un Settecento attardato a esaurire il suo manierismo ormai vacuo, ma non oltrepassò con la sua commedia musicale quella fase di transizione che il genio rossiniano fece impallidire e tacere.
Bibl.: G. B. Rossi-Scotti, Della vita e delle opere del cavalier F. M. di Perugia, Perugia 1861.