MONTEMARTE, Francesco
MONTEMARTE, Francesco. – Nacque intorno al 1345 da Petruccio di Pietro, capo del ramo del lignaggio comitale di Montemarte che prendeva il suo nome dal castello di Corbara, dove forse anche Francesco venne alla luce, e da Odolina, figlia di Bernardo Monaldeschi della Cervara sposata in secondo matrimonio.
Petruccio di Montemarte, menzionato per la prima volta nel testamento del padre Andrea redatto nel 1321, assunse una posizione di primissimo piano nella vita politica di Orvieto a partire dal 1337, anno della morte di Ermanno, o Manno, Monaldeschi già signore della città. Fu in questo frangente che i quattro rami in cui il suo lignaggio si era suddiviso (della Cervara, del Cane, della Vipera e dell’Aquila) entrarono in conflitto tra loro per la conquista della supremazia. In tale conflitto si inserì il conte di Montemarte, alleandosi con i rami del Cane e della Vipera contro i Monaldeschi della Cervara, che furono espulsi dalla città nel 1338. Da questa disgregazione del clan orvietano ebbero così origine due fazioni nobiliari contrapposte che per più di un secolo condizionarono profondamente la scena politica della città: quella facente capo ai Monaldeschi della Cervara, detta dei Beffati, e quella che raggruppava i rami del Cane e della Vipera, denominata dei Malcorini. Il conte Petruccio e Ugolino di Bonconte della Vipera furono riconosciuti come capi della fazione dei Malcorini, assumendo di fatto la supremazia in città. Tale supremazia ricevette una sanzione ufficiale il 5 giugno 1338 dal Consiglio dei quaranta e dei capitani di Parte guelfa, che li investì della dignità di milites populi. La situazione tuttavia cambiò nel 1341 quando i due consignori cedettero il potere a Matteo Orsini, imparentato con i Monaldeschi della Vipera, il quale impose il suo dominio su Orvieto sino al 1345. Un ulteriore mutamento si verificò nel 1342 poiché Ugolino di Bonconte venne a morte, forse fatto avvelenare da Matteo, per cui Petruccio rimase isolato, mentre Orsini si alleò con il fratello di Ugolino, Benedetto. Petruccio Montemarte allora, per rompere l’accerchiamento cui sembrava destinato, approfittò di una sia pur provvisoria tregua tra Malcorini e Beffati nel 1342 (comportante tra l’altro una serie di matrimoni di riconciliazione tra membri delle due fazioni) e acconsentì nel 1343 a prendere come seconda consorte Odolina, figlia di Bernardo dei Cervareschi. In questo modo, accostandosi al partito dei Beffati avverso a quello al potere, ne divenne uno dei capi. Questo voltafaccia non ebbe però ripercussioni durature sull’orientamento politico della famiglia: infatti i due figli di Petruccio, Ugolino e Francesco, si mantennero costantemente fedeli alla parte malcorina, arrivando anche ad assumerne la guida.
Petruccio morì nel 1349, per cui Francesco venne preso sotto tutela dal fratellastro Ugolino, nato dalle precedenti nozze del padre con Giovanna dei conti di Alviano. Stando a quanto da lui stesso affermato nella sua Cronaca, iniziò i primi studi nel 1356 a Gubbio, chiamatovi dal fratellastro, allora vicario del cardinale Albornoz ad Ancona. Nel 1364, pare su disposizione dello stesso Albornoz, venne concordato il matrimonio del giovane con Imperia (da lui affettuosamente chiamata Imperiuccia), sorella di messer Francesco degli Oddoni da Matelica. Il matrimonio, che appare già celebrato nel 1366 quando la novella sposa venne condotta a Corbara dal marito, ebbe tuttavia breve durata in quanto nel 1369 Imperia morì dando alla luce il primogenito Ranuccio.
Nello stesso 1366 Francesco partecipò al suo primo scontro, prendendo parte, insieme a Ugolino e al consanguineo Guido di Ugolino di Farolfo del ramo dei Montemarte di Titignano, a un fatto d’arme nei pressi di Orvieto, dove vennero sbaragliati reparti della compagnia di Giovanni Acuto, allora alleato di Bernabò Visconti, grande nemico dell’Albornoz, capitanati da Ughino Ethon, nonché altre truppe del figlio naturale di Visconti, Ambrogio. L’anno successivo, nell’ambito dell’azione del cardinale Albornoz tesa a ricondurre alla giurisdizione pontificia la città di Todi, Francesco fu presente alla distruzione della fortezza avita di Montemarte, fatta ricostruire dai cittadini di Todi dopo averla sottratta vari decenni prima alla famiglia che ancora ne portava il nome. La maturità di Francesco iniziò, dunque, nel segno della dedizione al mestiere delle armi, in linea del resto con la tradizione eminentemente militare del suo lignaggio. La sua carriera peraltro fu in stretta simbiosi con quella di Ugolino la cui forte personalità e il cui prestigio, guadagnato al servizio del papato in posizioni di primissimo piano, contribuirono sicuramente a spianare sin dall’inizio la strada al futuro cronista. Francesco, infatti, appena ventenne si trovava tra i sei cives nobiles et iurisperiti componenti l’ambasceria di altissimo livello inviata dal comune di Orvieto ad accogliere papa Urbano V che il 4 giugno 1367 sbarcava nel porto di Corneto, ponendo così fine alla quasi sessantennale assenza dall’Italia del pontefice romano. L’anno dopo Francesco fu uno dei quattro podestà, due nobili e due popolari, nominati per il governo di Bolsena.
Nel successivo ventennio l’azione politica e militare dei due conti si esplicò in un contesto assai critico per il papato, a causa dei conflitti innescati in modo particolare dalla cosiddetta guerra degli Otto santi. Tali conflitti tra l’altro ebbero come conseguenza il riaccendersi delle mai sopite rivalità tra le due consorterie orvietane che vennero chiamate, probabilmente a partire dal 1351, l’una mercorina e l’altra muffata. La contesa per la supremazia portò nel gennaio del 1376 a un violento scontro mediante il quale i Monaldeschi della Cervara, alla testa dei Muffati, tentarono di prendere il potere in città confidando nell’appoggio di Firenze in guerra contro Gregorio XI. In questa occasione Francesco, in assenza del fratello Ugolino, assunse la guida della fazione mercorina, alla quale la sua famiglia come si è detto apparteneva sin dall’origine. Insieme agli alleati e ai propri vassalli armati Francesco diede battaglia per le strade di Orvieto, riuscendo a rintuzzare l’iniziativa dei nemici e impedendo che le proposte fiorentine di unirsi agli avversari del papato facessero breccia all’interno del suo stesso partito. Nel febbraio sopraggiunse Ugolino in persona a mettere sul piatto della bilancia tutto il peso del suo prestigio per impedire definitivamente questo tradimento della causa pontificia e anche per condurre nella sua casa una nuova sposa per Francesco, ormai vedovo da sette anni. Dalla nuova moglie Francesca, figlia di messer Venanzio da Camerino, Francesco ebbe almeno altri tre figli maschi: Rodolfo, Ugolino e Carlo.
La lotta tra le fazioni orvietane fu nuovamente accesa dall’inizio del grande scisma d’Occidente nel 1378. In questa occasione ebbero la peggio i Mercorini fedeli a Urbano VI. Gli appartenenti alla fazione furono infatti cacciati dalla città nel 1380 dai loro antagonisti, schierati con il papa di Avignone e sostenuti da truppe mercenarie bretoni che sottoposero la città a un orrendo e indiscriminato saccheggio. Francesco seguì le sorti della sua parte, costretta a un esilio che dovette durare sino al 1390 e che lo vide impegnato in continue azioni belliche, ma anche diplomatiche, per contrastare l’iniziativa avversaria. Le sue responsabilità e il suo peso politico aumentarono nel febbraio del 1388, quando il fratello Ugolino venne a mancare ed egli si ritrovò a essere contemporaneamente unico capo della famiglia – non avendo il defunto lasciato eredi maschi legittimi – e guida riconosciuta della propria fazione. Fu quindi Francesco stesso a prendere l’iniziativa nel 1390 di venire a un accordo con i Muffati, passato alla storia come la pace di Orvieto. Tale pace ebbe tuttavia breve durata in quanto le ostilità ripresero poco dopo. Solamente nel 1395 la città riuscì a trovare un equilibrio meno precario affidandosi alla signoria di Biordo Michelotti durata sino al 1398, anno del suo assassinio. Francesco Montemarte ancora una volta rappresentò la propria parte nelle trattative con il condottiero perugino, cercando anche in tale occasione di difendere gli interessi del pontefice romano il cui potere era insidiato da Michelotti.
In questo periodo (novembre 1397) Francesco riuscì anche a ottenere in feudo nobile da Bonifacio IX i castelli di Monteleone e Camporsendoli, in diocesi chiusina, come ricompensa dei servigi prestati da lui e dalla sua famiglia al papato. L’ottenimento di tale concessione, senza dubbio sollecitata, si può inquadrare agevolmente nella strategia di espansione economica e signorile attuata dal lignaggio orvietano nella seconda metà del secolo XIV, soprattutto a opera del conte Ugolino, in direzione delle valli del Chiani e del Paglia, ove erano riusciti ad acquisire Montegabbione, Cetona e altri centri minori, oltre a un notevole patrimonio fondiario.
A questi anni risale anche la redazione della Cronaca, che si concentra in modo particolare sugli eventi della storia familiare e cittadina del secolo XIV; i rari riferimenti all’attualità contenuti in essa rimandano agli anni tra il 1397 e il 1399, mentre il resoconto dei fatti si ferma al 1400. Deve essere dunque questo l’ambito temporale in cui si può collocare la composizione dell’opera, anche se è possibile che già in precedenza il cronista abbia posto mano alla sua narrazione.
Le motivazioni, sia pure non dichiarate, che dovettero spingere un uomo di spada come Francesco Montemarte a prendere in mano la penna per redigere un testo in cui si mescolano eventi di storia familiare, importanti momenti delle vicende locali e di più ampio contesto unitamente a ricordanze domestiche e private, vanno ricondotte certamente al bisogno interiore di riflettere sul significato di una esistenza tutta proiettata nell’azione politica e militare. Tale azione era sicuramente conforme ai costumi di un’epoca in cui la violenza permeava tutti gli aspetti della vita e quindi era necessario giustificarla, o meglio purificarla, inquadrandola in un superiore ordine etico. Con ogni probabilità da questa esigenza dovette nascere la Cronaca, che non voleva essere dunque solo la narrazione retrospettiva e neutra degli eventi di un’esistenza e di un territorio da affidare ai posteri, ma anche una specie di apologia postuma in cui ci si preoccupava costantemente di inserire ciascun fatto nel contesto ideologico, o meglio morale, che lo spiegava e lo giustificava. Il sistema di valori che emerge come riferimento stabile alle scelte del nobile orvietano appare identificarsi in primo luogo nella costante fedeltà agli interessi temporali della Chiesa romana, che sin dai tempi del fratello Ugolino ormai coincidevano totalmente con quelli della famiglia. Traspare anche tuttavia a più riprese la fede profonda nel costante intervento della Giustizia divina nelle cose umane al fine di porre ordine in esse, almeno sino a un certo punto; ovviamente l’agire del narratore e dei suoi familiari viene sempre presentato in sintonia con i dettami di tale Giustizia. A prescindere comunque da ciò la cronaca di Francesco Montemarte, per lo stile sorvegliato e in genere sicuro e per l’attendibilità complessiva con cui riferisce i fatti narrati, rimane una fonte di prim’ordine per la ricostruzione della storia di Orvieto e più in generale dell’Italia centrale nel secolo XIII-XIV, nonostante l’ottica sicuramente di parte nella quale l’autore dichiaratamente si pone e che tuttavia non ne inficia la sostanziale credibilità.
Francesco morì quasi certamente a Corbara; la data esatta della morte è sconosciuta tuttavia si può collocare sicuramente tra la fine del 1400, anno in cui si arresta la redazione della cronaca, e i primi mesi dell’anno successivo. Infatti in un elenco di contribuenti del comitato contenuto nelle Riformagioni del comune di Orvieto e datato 21 giugno 1401 (n. 185, c. 43v), in luogo di Francesco vengono tassati per la prima volta i suoi eredi che risultano essere i quattro figli sopra menzionati, come emerge anche da una concessione pontificia del 1405 (Fumi, 1884, pp. 610 s.).
Fonti e Bibl.: su Petruccio Montemarte: Sezione di Arch. di Stato di Orvieto, Arch. storico comunale di Orvieto, Riformagioni, 113, cc. 28, 75, 109, 128, 144r-147r, 181r-182r; 114, cc. 18v, 21r-22r, 26r; 115, cc. 25r, 69, 111v-119v, 176r- 177r, 191r-199v, 200v-201r, 207v-210v, 213r- 214v, 236r-237r, 246r-253v; 117, cc. 5, 12r, 30r; 118, cc. 115r-121r, 124r- 125v; 119, cc. 57v-59v, 61v-69r, 91r-94r [segue diversa cartulazione] 3r, 9v-10r, 32r [segue diversa cartulazione] 2, 16v- 19r, 24v, 27r, 29r, 40v-41r, 46; 120, cc. 39rv [segue diversa cartulazione] 3r-4r, 5, 37r; 121, cc. 1, 13r, 14v; 122, cc. 9v, 54r, 62r, 85r, 96v, 145v, 186v [segue diversa cartulazione] 18; 123, cc. 61 [segue diversa cartulazione] 7v, 14v, 41r; 124, cc. 24r, 38v; 125, cc. 6v, 44r; 126, cc. 9r, 10r; 127, cc. 1v, 20v-21r, 34r-35r, 52v; 128, cc. 2v, 10r, 16v; 129, c. 21v; 132, cc. 108r, 110v [segue diversa cartulazione] 1r, 29r, 33r, 39v, 46v, 48v, 50v, 51r, 52r, 56r, 56v, 58v, 59v, 61v, 63v, 68r, 70r, 81r; 134, cc. 93r, 94v-97r; 135, cc.11r-13r, 44v; Arch. di Stato di Perugia, Arch. Montemarte, Miscellanea, b. 5, m. A nn. 1 e 2; b. 6 [Notizie che concernono alla Casa di Montemarte], pp. 28 s., 153 s.. Ephemerides urbevetanae, a cura di L. Fumi, in Rerum Italicarum Scriptores, XV, pt. 5a, f. 1, pp. 1, 7-10, 12-15, 20, 22, 24; f. 2, pp.195 s.; f. 3 [Cronaca del conte Francesco di Montemarte e Corbara], pp. 217-224; f. 5, pp. 439-447; M. Monaldeschi della Cervara, Commentari historici, Venezia 1584, pp. 92, 98-102; P. Pellini, Dell’Historia di Perugia, Venezia 1664 (rist. fotomeccanica Sala Bolognese (BO) 1988), parte I, pp. 543, 567 s.; Cronaca inedita degli avvenimenti d’Orvieto e delle altre parti d’Italia dall’anno 1333 all’anno 1400 di F. M. conte di Corbara, a cura d F. Gualterio, II, Torino 1846, pp. 20-22, 24-43, 45-47, 55-61, 64 s., 68-72, 78, 81 s., 85- 87, 91, 94 s., 98 s., 119, 122, 126-128, 135 s., 139, 156 s., 160 s., 166-169, 281-283; Cronaca della città di Perugia dal 1309 al 1491 nota col nome di diario del Graziani, a cura di A. Fabretti, in Archivio storico italiano, XVI (1850), pt. Ia, p. 139; L. Fumi, Codice diplomatico della città di Orvieto, Firenze 1884, pp. 496-499, 521-524; R. Cessi, Una relazione di Guigone da San Germano rettore della Tuscia nel 1340, in Archivio della Regia Società romana di storia patria, XXXVI (1913), pp. 152-161, 166-168, 178 s., 188 s. Su Francesco Montemarte: Sezione di Arch. di Stato di Orvieto, Arch. storico comunale di Orvieto, Riformagioni, 153, c. 332v; 154, cc. 5r, 67v, 69v; 155, c. 68v; 156, c. 56v; 163, cc. 84r- 85r; 164, cc. 12, 34r, 43v- 44rv, 45v, 50r, 124r, 128v, 128rv, 130v-132v; 165, cc. 23v, 64v; 172, cc. 4r-5v, 72r-73r; 175, cc. 105v, 106v-107r; 176, cc. 14r, 17v, 21, 37v-38r; 177, cc. 7v, 13v-15v, 16v, 43, 44r-45r [segue diversa cartulazione] 18r, 19r, 33v, 62r-67r; 178, cc. 6r, c. non segnata [1391, 6/5]; 179, cc. 3v, 19r [segue diversa cartulazione] 9v, 10v, 21v, 22r, 22v, 23v, 49r, 49v; 180, cc. 18r, 21r, 21v; 181, cc. 39v, 40r, 57v, 58r, 73v; 182, cc. 19r, 27r-28r, 100r, 102r, 103r, 103v, 107v, 110v, 111r [segue diversa cartulazione] 26r, 61v [segue diversa cartulazione] 12r; 184, cc. 98v-99v, 174, 214; 185, c. 43v; ibid., Lettere originali, b. 666, f. 7 nn. 3, 13, 18; b. 667, f. 2 n. 2/2; b. 668, f. 1 nn. 11/2, 11/8, 15/4, f. 3 nn. 12/2, 12/3; b. 670, f. 1 n. 8/1, f. 2 nn. 4, 11/1, 13/1, 19/1, 21/1, 25, 39/1, 39/2, 39/3, 39/4, 39/5, 39/6, 39/7, 39/8, 39/9, 39/10, 39/11, 39/12, 39/13, 39/14, 39/15, 39/16, 55, 56, f. 3 nn. 4/1, 4/2, 6/3, 6/4, 20, 30/1, 30/2, 30/3, 32/1, 32/2, 32/3, 32/4, 32/5, 32/6, 32/7, 32/8, 32/9, 32/10, 32/11, 32/12, 32/13, 32/14, 32/15; b. 670 ter, f. 3, n. 7/16, f. 5, nn. 4/1, 4/2, 8, f. 6, nn. 2, 10, 11, 12 e 13 [così] /1, /2, /3/, /4, /5, /6, /7, /8, /9, /10, 14/1, 14/2, 14/3, 15/1, 15/2, 15/3, 15/4, 15/5, 15/6, 15/7; Archivio di Stato di Perugia, Archivio Montemarte, Misc., b. 2, nn. 2, 6, 8, 10, 12; b. 5 m. A n. 1; b. 6 [Notizie che concernono alla Casa di Montemarte], pp. 28 s., 39 s., 57 s., 316, 322 s., 332-334; b.11, n. 2 [cc. non segnate]; Ephemerides urbevetanae, op. cit., f. 2, p. 206; f. 3 [Cronaca del conte F. di M. e Corbara], pp. 215, 230, 232 s., 236-238, 240-268; f. 4, pp. 396, 399-405, 407; M. Monaldeschi della Cervara, Commentari historici, cit., pp. 117, 119, 121-123; P. Pellini, Dell’Historia di Perugia, cit., pt. 2a, p. 25; Cronaca inedita degli avvenimenti d’Orvieto, cit., II, pp. 179-182, 201, 341; L. Fumi, Codice diplomatico, cit., pp. 583-588, 593, 610.