MONALDESCHI, Francesco
– Nacque probabilmente intorno alla metà del XIII secolo a Bagnoregio, ove possedeva una residenza e nei cui pressi, a San Michele in Teverina, avrebbe attinto il personale per la sua familia episcopale, come il tesoriere e camerlengo Simone di Castro Perio. La sua appartenenza alla famiglia Monaldeschi non è del tutto sicura, in quanto nella documentazione orvietana più antica non si ha traccia di quella parentela e la presenza della famiglia a Bagnoregio si consolidò solo nel XV secolo. Fonti viterbesi attestano invece la precocità di tali rapporti, rendendo plausibile l’identificazione del luogo d’origine del M. con Bagnoregio.
In qualità di membro del locale capitolo cattedrale, nel 1272 il M. fu inviato insieme con il canonico Ermanno al papa Gregorio X per presentargli l’elezione a vescovo di un altro canonico, Simone, e chiederne la conferma.
Eletto vescovo di Melfi nel 1278 da Niccolò III, il M. fu dallo stesso pontefice nominato l'11 maggio 1280 vescovo di Orvieto, ove succedette a Ildebrandino Cavalcanti, e diede prova di sollecitudine pastorale – come testimonia la visita della diocesi nel 1281 – e oculatezza nell’amministrazione, con la riscossione regolare delle decime, di cui restano attestazioni sicure per il 1281 e il 1286. La lunga trattativa con il capitolo sulla divisione delle rendite della erigenda nuova cattedrale, iniziata con l’accordo del 22 giugno 1284, si protrasse fino al 4 marzo 1285, quando il M. s’impegnò a garantire la ricostruzione delle residenze dei canonici con i proventi della mensa vescovile. Solo l’intervento diretto di un giudice delegato pontificio, il notaio apostolico Nicola da Trevi, piegò definitivamente la resistenza dei canonici il 6 sett. 1290, e Niccolò IV, dietro invito del M., poté porre la prima pietra della nuova cattedrale, fortemente voluta dal vescovo e dalle autorità comunali. A complemento degli accordi intercorsi, il pontefice ordinò al M. di distribuire quotidianamente i proventi della chiesa di S. Ippolito di Vallelaco tra i canonici effettivamente presenti alla liturgia delle ore, a titolo di compensazione del terreno da loro concesso per l’edificazione del duomo.
Nel 1291 Niccolò IV lo inviò ad Alessandria per costringere le autorità cittadine a liberare il marchese Guglielmo VII di Monferrato, tenuto prigioniero. A fronte del rifiuto da loro opposto, il M. scomunicò il podestà, il capitano del Popolo, gli Anziani e i rettori e lanciò l’interdetto sul Comune e sull’intera città.
L'8 nov. 1291, il M. fu inviato, sempre da Niccolò IV, a Venezia, per esortarne le autorità a stipulare una tregua con la Repubblica di Genova, a prendere parte alla crociata contro i Turchi e a rappacificarsi con il patriarcato di Aquileia. Lo stesso pontefice il 28 sett. 1291 gli aveva ingiunto di concedere una speciale dispensa all’accolito Sinibaldo Adorisi, priore secolare della chiesa di S. Nicolò di S. Felice di Trasa, in diocesi di Orvieto, così da consentirgli di ricevere gli ordini sacri prima della Pasqua successiva.
I rapporti privilegiati del M. con la Curia romana indussero il Comune di Orvieto a inviargli a Bagnoregio, il 5 dic. 1295, una delegazione guidata dal capitano del Popolo, Ubaldo Antelminelli, per ottenerne l’intercessione presso il papa e liberare la città dall’interdetto che la gravava da sette mesi. Nel frattempo, il 13 sett. 1295, Bonifacio VIII aveva affidato al M. la guida della diocesi di Firenze, quale successore di Andrea de’ Mozzi, trasferito alla cattedra di Vicenza. La scelta cadde sul M. per la fedeltà da lui dimostrata al papato, per l’esperienza amministrativa maturata a Orvieto e per la condizione di forestiero, tutte qualità che lo rendevano adatto a confrontarsi con la difficile situazione politica in cui versava la città toscana. Non a caso proprio durante l'episcopato del M., il Comune fiorentino promulgò un decreto che vietava l’assunzione della locale carica episcopale da parte di abitanti della città o del contado.
Giunto a Firenze, il 22 dic. 1295 il M. ricevette l’omaggio e il giuramento di fedeltà in un primo tempo dai rappresentanti dei Visdomini e dei Tosinghi, responsabili dell’amministrazione della mensa episcopale nei periodi di vacanza, quindi, il 13 genn. 1296, dai rettori delle chiese della diocesi. Una permuta di beni con i Guglielmiti fu confermata da Bonifacio VIII il 13 apr. 1296.
Sempre nel 1296, essendo stato incaricato, con il vescovo di Pistoia, dell’esazione nella Tuscia, nel Patrimonio, nella Massa Trabaria e in Lunigiana delle decime che il secondo concilio di Lione aveva destinato alla Terra Santa, il M. delegò a sua volta due sacerdoti viterbesi, con l’ordine di depositare presso i Mozzi e gli Spini il denaro raccolto.
Anche a Firenze il M. s’impegnò a promuovere la costruzione della nuova cattedrale di S. Maria del Fiore, la cui prima pietra fu posta in sua presenza dal cardinale Pietro Valeriano, legato pontificio nel 1298. Per reperire le ingenti risorse necessarie a finanziare un cantiere tanto impegnativo, il M. avviò una ricognizione generale di beni, proventi e diritti della mensa episcopale, chiamando i detentori di tali prerogative, affittuari di terre, rettori di chiese e fideles del vescovo a titolo feudale, a stipulare appositi atti notarili di giuramento.
Il M. collaborò anche con le autorità comunali quando, nel 1299, con l’autorizzazione di Bonifacio VIII, vendette alcune terre della mensa episcopale a vantaggio della città e per ampliarne la cerchia muraria, di cui nel novembre dello stesso anno benedisse la prima pietra. Più complicati furono i rapporti con l’arte di Calimala, che negava l’erogazione di un contributo dovuto al vescovo dal battistero di S. Giovanni, del cui mantenimento l’arte stessa era incaricata. L’arbitrato, condotto dal priore di S. Pietro in Scheraggio, si concluse a favore dell'episcopato. Forse per i rapporti intessuti con la congregazione di S. Silvestro Guzzolini, che si era insediata nel territorio di Bagnoregio quando egli era ancora canonico della cattedrale, il M. favorì l’insediamento dei monaci marchigiani a Firenze nel convento di S. Marco, i cui lavori di costruzione furono da lui personalmente inaugurati nel 1299. Un esponente di primo piano dei Silvestrini, Andrea di Giacomo, fu vicario del M. fino al 1298 e nel 1301 suo procuratore nel recupero di un credito dal mercante orvietano Ranuccetto di Guinchetana.
In un momento particolarmente burrascoso della storia di Firenze il M. fu un costante e fedele punto di riferimento di Bonifacio VIII, del quale eseguì con scrupolo le direttive, come accadde nel 1296, quando il papa gli ingiunse di concedere una particolare dispensa posticipata a Corso Donati sposato a Tessa Ubertini, sua parente.
Il 28 apr. 1298 il M. fece parte della commissione di ecclesiastici che designò Ciango da Montesportoli e Davizzo da Gagliano a capo dei fiorentini impegnati nella guerra contro i Colonna. A lui inoltre, nell'aprile del 1300, Bonifacio VIII indirizzò le lettere nelle quali esprimeva il proprio disappunto e minacciava sanzioni per il processo ai danni degli agenti del banco degli Spini attivi in Curia e accusati dai Fiorentini di alto tradimento. Nel mese successivo, il M. fu incaricato di minacciare i principali esponenti del Comune di gravi sanzioni qualora si fossero sottratti al giudizio del papa, e fece parte del seguito del cardinale legato Matteo d’Acquasparta, che fulminò la scomunica e l’interdetto contro i Fiorentini, dopo essere stato vittima di un attentato. Grazie a una temporanea sospensione dell’interdetto, il 29 apr. 1301 il M. poté autorizzare l’arcidiacono di Orvieto Aldibrando ad annunciare l’elezione di Francesco de Montenigro a preposito del capitolo cattedrale di Firenze. Fedele sino alla fine a Bonifacio VIII, il M. presenziò alla cerimonia del 1° nov. 1301 con la quale Carlo di Valois ottenne la Balia della città.
Il M. morì il 10 dic. 1302, come attesta un obituario della canonica fiorentina, e fu sepolto nell’antica cattedrale di S. Reparata.
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