MOLIN, Francesco
MOLIN, Francesco. – Nacque a Venezia il 30 ott. 1540, primogenito di Giovanni del ramo alla Maddalena e di Suordamor Giustinian di Antonio di Antonio a S. Stae.
È probabile, data la sua presenza a varie lauree il 3 luglio 1556 e il 5 sett. 1558, che il M. abbia seguito i corsi di filosofia presso l’Università di Padova, pur senza conseguirvi il dottorato; quanto all’apprendistato politico, nel maggio-giugno 1563 il M. fu a Innsbruck al seguito di Michele Antonio Surian, ambasciatore presso Massimiliano d’Asburgo per congratularsi della sua elezione a re dei Romani. Nel viaggio di ritorno, Surian e il M. sostarono a Trento e questo consentì a Paolo Paruta di inserirli tra i protagonisti della sua opera Della perfettione della vita politica, edita a Venezia nel 1579 e ambientata, appunto, a Trento, dove, durante le ultime fasi del concilio, un gruppo di prelati e di gentiluomini veneziani discute i problemi della vita politica e della morale.
Il M. dà voce al coetaneo Paruta, che non figura in prima persona, quale rappresentante delle inquietudini di una nuova generazione di fronte all’opzione tra vita attiva e spirituale; la sua posizione equilibrata si rifà alla lezione di sapienza civile di cui era depositaria la classe politica veneziana.
Raggiunta l’età richiesta, il M. fu eletto savio agli Ordini per il primo semestre del 1566 e poi ancora per lo spezzone 10 febbraio-31 marzo 1567, quindi per tutta la seconda metà dello stesso 1567. Dopo qualche anno di assenza dalla politica attiva, il 27 sett. 1572 fu eletto ambasciatore al duca di Savoia, Emanuele Filiberto, da poco tornato in possesso degli antichi domini. Ricevuta la commissione il 20 giugno 1573, inviò il suo primo dispaccio il 13 luglio e qualche giorno più tardi si presentò a corte, dove rimase quasi due anni.
Nella relazione, letta in Senato nella seconda metà del 1576, il M. esalta nel duca il modello del principe assolutista, secondo una visione politica propria dell’influente consorteria del patriziato filoclericale e fautore della pace, quella dei «vecchi» che facevano capo a Giacomo Foscarini e Marcantonio Barbaro, la cui moglie era sorella della madre del Molin. Pee questo occorre fare un poco di tara alle virtù attribuite a Emanuele Filiberto, «che per pietà e religione, per giustizia e valore, che per isperienza e giudizio nelle cose di guerra, è […] veramente singolare e stimato dai maggiori principi per tale» (Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, XI, Savoia, p. 291). Dopo averne ripercorso le vicissitudini sino al successo di San Quintino, il M. descrive gli Stati sabaudi, che gli appaiono abitati da popolazioni misere e arretrate, spiegando così la presenza della «maledetta setta» dei valdesi (ibid., p. 305). Nella conclusione sottolinea la «reverente ed amorevole disposizione d’animo» di Emanuele Filiberto verso la Repubblica (ibid., p. 318).
Il 2 genn. 1577 il M. sposò la contessa Margherita Porporato di Pinerolo, vedova di Girolamo Tizzoni, che gli diede l’unico figlio, Giovanni. Uscito dalla fraterna, il M. spostò la sua residenza a S. Maurizio e riprese la carriera politica col saviato di Terraferma, ricoperto dall’aprile al settembre 1576 e ancora nel secondo semestre del 1577 e 1578. Il 10 maggio 1579 fu eletto capitano e vicepodestà a Verona, dove fu impegnato in una controversia col duca di Mantova in materia di acque; tornato a Venezia nel novembre 1580, fu savio di Terraferma da aprile a settembre 1581. Negli anni che seguirono non risulta aver ricoperto alcuna carica, forse a motivo della crisi politica che nel 1582 sancì il successo dei «giovani», fautori di una visione politica antitetica a quella in cui il M. si riconosceva.
Soltanto il 22 nov. 1592 fu nominato sopraprovveditore del banco Pisani-Tiepolo, quindi (6 marzo 1593) fu provveditore sopra Feudi, provveditore alle Biave (4 maggio 1594) e dei quarantuno elettori del doge Marino Grimani nell’aprile 1595. Negli anni 1595-96 si impegnò poi ad appianare i contrasti che opponevano il cugino Francesco Barbaro, patriarca di Aquileia, al Senato, per via della sovranità del feudo di Taiedo. Era ormai uno dei più influenti uomini di Stato, come prova il fitto succedersi delle cariche: nel 1596 fu censore, membro del Consiglio dei dieci, provveditore all’Arsenale; dal 1597 al 1599 fece parte dei Savi del consiglio, ma fu anche provveditore all’Adige (con delega, il 2 genn. 1599, alla rotta del Castagnaro), alle Fortezze, savio alle Beccarie, sopraprovveditore alla Sanità.
Il 16 genn. 1599 fu eletto ambasciatore al re cattolico, in occasione dell’ascesa al trono di Filippo III; la missione (il M. ebbe per collega Giovanni Dolfin) si svolse dal 3 luglio al 21 ott. 1599. Nuovamente a Venezia, il M. entrò a far parte del Consiglio dei dieci, quindi fu provveditore alle Biave e l’8 ott. 1600 entrò capitano a Brescia, dove rimase i prescritti sedici mesi, occupato soprattutto a vigilare sulla concentrazione di truppe effettuata dal nuovo governatore di Milano, Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes. Rimpatriato, fu savio del Consiglio da aprile a settembre 1602, riformatore dello Studio di Padova dal 22 aprile dello stesso anno sino al 21 apr. 1604; consigliere ducale per il sestiere di S. Marco dal 1° ott. 1602, membro del Consiglio dei dieci dall’ottobre 1603. Il 19 febbr. 1604 fu eletto procuratore de Citra, quindi (aprile-settembre) fu ancora savio del Consiglio e sopraprovveditore alle Biave (2 ott. 1604); era savio del Consiglio (aprile-settembre 1605), quando spostò la sua residenza a S. Paternian, in casa Contarini «dal Bovolo», essendosi sposato suo figlio con Giustina Ruzzini di Marcantonio.
Il 9 aprile 1605 risultò eletto ambasciatore «d’obbedienza» al nuovo papa Leone XI, ma questi morì prima che la legazione avesse luogo, sicché il M. svolse l’incarico presso il successore Paolo V nell’autunno 1605, mentre andavano addensandosi ombre minacciose che, di lì a poco, sarebbero sfociate nella contesa dell’Interdetto. L’evento fu vissuto dal M. in prima persona, poiché ricoprì la carica di savio del Consiglio nel primo semestre del 1606 e del 1607; inoltre, nella sua qualità di riformatore dello Studio di Padova (23 giugno 1606 - 22 giugno 1608), ebbe anche una notevole responsabilità nella politica culturale dello Stato. Di queste prerogative si valse per stemperare gli aspetti più aspri della controversia, come dimostrò nelle trattative con l’inviato francese, il cardinale François de Joyeuse, nella primavera del 1607.
Anche nei successivi anni 1608-11 fu savio del Consiglio nel primo semestre, mentre per i restanti mesi sostenne varie cariche, peraltro mai portate a termine: fu così sopraprovveditore alle Biave (30 giugno 1607), alle Pompe (6 ag. 1607), savio all’Eresia (7 sett. 1607), provveditore in Zecca (12 luglio 1608), savio alle Acque (28 luglio 1609), aggiunto ai regolatori sopra la Scrittura (15 sett. 1609), savio alle Acque (6 luglio 1610), riformatore dello Studio di Padova (23 nov. 1610).
Il M. morì a Venezia il 2 apr. 1611, mentre ricopriva ancora una volta il saviato del Consiglio.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, St. veneta 21: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, V, pp. 207, 209, 225, 227; Segretario alle voci, Elez. in Maggior Consiglio, regg. 7, c. 17; 8, cc. 7, 159; Elez. in Pregadi, regg. 3, cc. 16-17; 4, cc. 12-13, 16, 87; 5, cc. 9, 11; 6, cc. 7-8, 27, 33, 62, 85, 87, 121, 137, 143, 151, 154-155; 7, cc. 2-5, 55, 60, 67, 80, 84, 86; 8, cc. 1-4, 33, 55, 60, 73, 80, 83-84, 86, 105; Senato dispacci Roma, f. 55, nn. 23-28; Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 843, sub 2 apr. 1611; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 829 (= 8908): Consegi, c. 220; 832 (= 8911): Consegi, c. 138; 833 (= 8912): Consegi, c. 189; Ibid., Bibl. del civ. Museo Correr, Codd. Cicogna 3783: G. Priuli, Li pretiosi frutti del Maggior Consiglio, III, cc. 48-49; Relazione di F. M., Pietro Duodo, Giovanni Mocenigo e Francesco Contarini ambasciatori straordinari alla corte di Roma nel 1605, in Relazioni degli Stati europei …, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, s. 3, I, Venezia 1877, pp. 7, 51-79; Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, VII, Spagna (1497-1598), a cura di L. Firpo, Torino 1981, p. XV; XI, Savoia (1496-1797), a cura di L. Firpo, ibid. 1983, pp. VII s., 225-264; Acta graduum acad. Gymnasii Patavini ab anno 1551 ad annum 1565, a cura di E. Dalla Francesca - E. Veronese, Roma-Padova 2001, pp. 225, 314, 319, 326; E.A. Cicogna, Delle inscr. veneziane, V, Venezia 1842, p. 128; VI, ibid. 1853, pp. 60, 554; G. Trebbi, Francesco Barbaro, patrizio veneto e patriarca di Aquileia, Udine 1984, pp. 35, 192, 209, 369 s., 383, 387-391, 396-399, 401; G. Cozzi, Ambiente veneziano, ambiente veneto …, Venezia 1997, pp. 161, 164 s., 168, 172-174, 284; S. Maggio, Il diarista Francesco da Molino e i patrizi anticuriali, in Lo Stato marciano durante l’interdetto. 1606-1607, a cura di G. Benzoni, Rovigo 2008, p. 117.