MEZZARISA, Francesco
MEZZARISA (Mezzarixa), Francesco (detto Risino). – Figlio di Antonio, nacque a Faenza probabilmente intorno al 1507.
Non sono noti dati biografici di questo ceramista, il quale derivò il cognome dall’appellativo «Mezzarisa», già attribuito ai primi rappresentanti della famiglia, che dovette prendere il sopravvento sul probabile originario cognome Prete (del Prete: Ravanelli Guidotti, 1996).
La figura del M., che risulta attivo già dal 1527, è legata a quello che viene considerato il momento più importante della storia della ceramica faentina, verificatosi a metà del XVI secolo, e segnato dall’affermazione dei cosiddetti «bianchi» di Faenza, ceramiche prevalentemente bianche decorate con uno stile compendiario, che sostituirono la tradizione classica della maiolica istoriata policroma; il M. fu fra i protagonisti dell’affermazione dei bianchi, che iniziò a realizzare precocemente in parallelo alla produzione di ceramiche istoriate.
Il M. viene inoltre ricordato come il più importante imprenditore del XVI secolo: gestì, infatti, una delle maggiori e più accreditate fabbriche faentine, che riceveva ingenti commesse sia cittadine sia per esportazione.
Già nel 1532 risulta tenesse in affitto una bottega (Ballardini, 1933), prima di condurre l’avviata officina in contrada S. Eutropio; nel 1539 era in grado di fornire una «credenza» al faentino Giovanni Francesco de Balneo, mentre nel 1543 si impegnò a realizzare tondi e piatti bianchi da esportare a Genova. La bottega era in grado di produrre abbondantemente non solo per conto proprio, ma anche per conto terzi: nel 1545 il M. stipulò, infatti, un contratto con la manifattura di Domenico Pirotti, per la realizzazione di utensili sia bianchi sia istoriati, e contemporaneamente si impegnò a fornire per un proprio cliente 3500 pezzi di maiolica. L’anno seguente per il mercante genovese Giovanni Brame affrontò un’ordinazione di 7025 boccali, destinati a Sebastiano Campana, agente di Cosimo I de’ Medici in Livorno; in questa occasione Brame realizzò all’interno della bottega del M., fornitore della maiolica, una targa con la Deposizione. Nel 1549 stipulò un contratto per maioliche con Leonello Gagi di Napoli e nel 1550 fornì vasellami maiolicati ai conventi di S. Vitale a Ravenna e di S. Faustino a Brescia. La bottega del M. ebbe inoltre incarichi prestigiosi: nel 1556 lavorò per la corte di Ferrara, nel 1575 partecipò alla realizzazione della credenza per il vescovo di Faenza Annibale Grassi e nel 1578 all’esecuzione della credenza per il cardinale Filippo Guastavillani, commissionata dagli Anziani di Faenza (Ravanelli Guidotti, 1996).
La bottega del M. era caratterizzata al suo interno da un’alta specializzazione della lavorazione ceramica: già nel 1540 il M. aveva stipulato, infatti, un contratto della durata quinquennale con Pietro di Francesco Zambalini, specialista nella preparazione di smalti, che doveva lavorare in esclusiva per la fabbrica Mezzarisa, occupandosi della preparazione del rivestimento di smalto bianco. Mentre nel 1556 in qualità di pittore maiolicaro lavorava nella fabbrica Antonio Romanino Cimatti.
Le opere pervenuteci del M. e della sua manifattura appartengono soprattutto alla fase policroma della produzione istoriata, che risente dell’influenza della contemporanea produzione pittorica, e desume i motivi decorativi dalle incisioni di traduzione, in particolare da quelle, di discendenza raffaellesca, di Marcantonio Raimondi.
A questa fase appartengono una targa con Deposizione dalla croce del 1540 (coll. privata; ibid., p. 66), la targa con medesimo soggetto del 1544 (Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis) e la targa con Crocifissione del 1545-50 circa (Londra, British Museum); queste ultime due, autografate dal M., devono essere considerate con tutta probabilità opera della bottega (ibid.; Wilson).
La targa di Palermo denota influssi dalla pittura manierista, evidenti soprattutto nel tema dei due ladroni. Un riferimento alla cultura manieristica è presente anche nella targa con la Crocifissione del British Museum, che trascrive, infatti, la stampa di un anonimo da disegno del pittore manierista Francesco Salviati (Ravanelli Guidotti, 1984; Wilson). Le opere denotano, inoltre, una maniera già compendiaria nella morbidezza dei contorni e nella policromia tenue, che lascia ampio spazio alla superficie bianca.
Un ductus e una tavolozza prossimi alla maniera compendiaria caratterizzano anche l’albarello (Firenze, Museo del Bargello) realizzato, come documenta l’iscrizione, nella bottega del M. nel 1556 e dipinto da Cimatti. Si tratta di un grande albarello, probabilmente da farmacia, decorato con storie di soggetto sacro e profano (Scena di ratto, un Duello tra due cavalieri e S. Giorgio che uccide il drago), impostate in tre distinte zone istoriate.
Non sono conservate ulteriori opere del M., che risulta ancora attivo nel 1580; le ultime notizie che lo riguardano risalgono al 1581, quando viene documentato come teste in vertenze in materia ceramica.
I figli, Giovanni e Antonio, continuarono l’arte paterna, trasferendosi nel 1568 a Venezia, dove lavorarono fino ai primi anni del XVII secolo.
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E. Capparelli