MESSINA, Francesco.
– Nacque a Linguaglossa (Catania) il 15 dic. 1900 dal muratore Angelo e da Ignazia Cristaldi.
Nell’intento di emigrare in America, agli inizi dell’anno seguente i genitori si imbarcarono alla volta di Genova, ma furono costretti a stabilirsi nella città ligure, dove, dal 1907 al 1909, il M. frequentò le scuole elementari e cominciò a lavorare come garzone marmista nel laboratorio Rigacci e Callegari.
Talento precoce, egli trascorse un’adolescenza segnata dalla povertà, dividendosi tra il lavoro e la frequentazione di una scuola serale di disegno tenuta dallo scultore dilettante B. Tassara. Nel 1913 si iscrisse all’Accademia ligustica di belle arti dove seguì il corso libero di nudo. L’anno seguente entrò nella bottega dello scultore cimiteriale G. Scanzi, dal quale apprese la tecnica del modellato.
Dall’autobiografia (Poveri giorni: frammenti autobiografici, Milano 1974, pp. 52, 54 s., alla quale ci si riferisce ove non diversamente indicato) si evince che dal 1915 il M. iniziò a realizzare in modo autonomo e a esporre le prime sculture in gesso e in marmo (Cavallo, p. 52). Seguì un periodo molto difficile: nel febbraio 1918 fu chiamato alle armi e in seguito perse il fratello minore Armando, colpito da febbre spagnola.
Tornato a Genova, dovette affrontare nuovamente le gravi difficoltà economiche e le tribolazioni della famiglia, che lo costrinsero ad allontanare il padre violento e a divenire di fatto il capofamiglia. Riprese, quindi, la sua attività principale realizzando sculture di piccolo formato, che trovavano acquirenti con maggiore facilità.
Molto importante per la formazione del M. fu l’incontro con A. Traverso, F. De Pisis (Tibertelli), C. Sbarbaro ed E. Montale, alla galleria Mazzini di Genova, in seguito al quale scoprì il lirismo estetico e l’importanza della poesia.
Gli anni Venti furono decisivi per l’arte del M. che maturò una maggiore consapevolezza delle proprie capacità tecniche ed espressive, rivelandosi alla critica come artista promettente e dotato: fu invitato alla Biennale di Napoli (1921), alla Biennale di Venezia (1922) e alla II Biennale romana (1925). Vinse il concorso per il monumento ai caduti del quartiere di S. Vincenzo Alto a Genova (1922-25; piazza Goffredo Villa) e ottenne l’incarico di realizzare la statua in marmo del Cristo risorto per la cappella dei Suffragi nel cimitero di Staglieno (1923). Risale a questo periodo (1922) l’incontro con Bianca Fochessati Clerici che diventerà compagna di tutta la sua vita.
Due bronzi, Cristo morto e Vergine (realizzati nel 1922 e presentati rispettivamente alla Biennale di Venezia dello stesso anno e a quella del 1924), indicano il M. sperimentatore di stili e linguaggi tra il gusto verista e secessionista. Rappresentativa è la prima serie di medaglie dedicate ai personaggi illustri (Medaglia di Esterina Rossi, 1924: Firenze, Museo nazionale del Bargello), dove il M. affronta il tema del rilievo, attraverso un disegno sinuoso e levigato di tradizione simbolista.
La sua opera subì un significativo cambiamento dopo l’incontro con Arturo Martini, alla I Mostra del Novecento italiano (1926).
Il rapporto tra i due scultori fu di stima e amicizia e contribuì a rafforzare nel M. il mito della statuaria primitivista e classicista. Contestualmente, i ripetuti soggiorni a Parigi (1925, 1927, 1935), dove espose all’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes (1925) e frequentò A. Magnelli, M. Tozzi, M. Campigli, A. Savinio, G. De Chirico e O. Zadkine, lo spinsero a misurarsi con la statuaria europea moderna.
Importanti furono anche il viaggio a Berlino, nel 1929, e le suggestioni che il M. trasse dall’arte dello scultore E. De Fiori. Nello stesso anno partecipò alla II Mostra del Novecento italiano (Milano) e tenne la prima personale alla galleria di Milano, presentato in catalogo da C. Carrà.
Rappresentativi del cambiamento maturato dal M. in quegli anni sono: la prima versione degli Amanti (bronzo, 1927: XVI Biennale di Venezia 1928, catal., p. 60), dove il modello arcaico ed etrusco d’impronta martiniana appare sostanziato da un impeto formale di ascendenza picassiana, e il ritratto di Piero Marussig (bronzo, 1929: Torino, Museo civico), che nell’espressività del volto segna la matura svolta antiaccademica.
Nel 1931 ebbe modo di conoscere S. Quasimodo. Nel 1932, dopo una profonda crisi esistenziale che lo portò a distruggere molte sue opere, si trasferì a Milano dove, nel 1934, vinse la cattedra di scultura all’Accademia di Brera della quale, due anni dopo, divenne direttore.
Lo studio, mai interrotto, dell’arte antica e del Quattrocento, fece declinare la sua scultura verso un riesame storicista di tipo realista, secondo cadenze intime e personali, attenendosi a pochi temi che caratterizzeranno tutta la produzione successiva: il ritratto, gli atleti e le giovani figure femminili.
Tra le opere di quegli anni si ricordano: Il pugile (1931: Milano, Galleria d’arte moderna) e Il pugile caduto (1931: Venezia, collezione conte Giuseppe Volpi di Misurata) che impressionarono i contemporanei per l’eloquente ricercatezza dei corpi e la capacità di esprimere il senso della forza attraverso il modellato morbido e la tenerezza della carne.
Una menzione particolare meritano i numerosi ritratti, nei quali il M. dimostrò estrema sicurezza nel definire realistici tratti somatici utilizzando piani e volumi sintetici (Ritratto di Riccardo Bacchelli, 1933: Loi, tav. XXVII; Salvatore Quasimodo, 1938: Milano, Galleria d’arte moderna) e che decretarono la vera consacrazione da parte della critica. Dello stesso periodo sono i primi studi sui cavalli (Monumento a Cristoforo Colombo, 1935: Chiavari; Monumento equestre detto Regisole o Raggiasole, 1937: Pavia), soggetti su cui il M. ritornerà negli anni successivi.
Il M. fu presente nelle maggiori manifestazioni italiane e internazionali: alla III Mostra del Novecento italiano a Stoccolma (1931), alla Biennale di Venezia (1932, 1934, 1936) e alla Mostra d’arte italiana tenuta al Jeu de Paume (Parigi, 1935). Alla II Quadriennale di Roma, nel 1935, il M. ebbe una sala e firmò il testo in catalogo, nel quale ribadì il suo impegno di fedeltà alla tradizione classica, contro ogni compiacimento formale e intellettualistico. Esemplari in tal senso sono Il galletto (bronzo, 1934: Budapest, Museo di belle arti) e Il nuotatore (1935: Milano, Camera di commercio), la cui analisi realistica e vitalità espressiva del modellato evocarono le statue di Donatello (Donato Bardi) e del Verrocchio (Andrea di Michele; Schaub-Koch, 1940, p. 233).
Tra il 1932 e il 1938 il M. realizzò le prime sculture policrome con le quali, superando l’asciuttezza dei ritratti virili, sviluppò il tema della grazia e dell’eleganza femminile, coniugando la verità della forma con l’invenzione irreale del colore (Bianca, marmo policromo, 1937: Milano, Civico Museo-studio Francesco Messina).
L’attività del M. non fu interrotta durante la guerra: continuò a esporre (III Quadriennale, 1939; XXII Biennale di Venezia, 1940) ed ebbe l’incarico di realizzare una quadriga in bronzo per il prospetto del palazzo delle Esposizioni E42; realizzò inoltre una serie di disegni sul tema dei giustiziati e degli impiccati, evidenziando nelle figure l’espressività dei volti e la deformità dei corpi (1945-48: Cavallo, pp. 126 s.).
A causa del conflitto il M. non terminò la quadriga, ma i modelli in gesso dei cavalli furono fusi in bronzo e acquistati da G. Leone, nella cui villa di Formello (Roma) si trovano dal 1970.
Il M. si aggiudicò, inoltre, il premio della scultura alla Biennale di Venezia (1942) e pubblicò presso Scheiwiller la prima raccolta di poesie (Il garofalo, Milano 1942).
Fu nominato accademico d’Italia nel 1943; nel 1947 il M. partecipò all’Esposizione di scultura e grafica di Buenos Aires (galleria Müller) ed ebbe rinnovato l’affidamento della cattedra di scultura all’Accademia di Brera, da cui era stato allontanato con l’accusa di connivenza con il regime fascista.
Le opere del M. realizzate tra il 1938 e il 1945 riflettono un nuovo processo di assimilazione e rielaborazione delle istanze artistiche del passato con un superamento delle forme severe e controllate. Nel ritratto del Cardinale Alfredo Ildelfonso Schuster (bronzo dorato, 1941: Milano, Galleria d’arte moderna), destinato al convento della basilica di S. Paolo fuori le Mura di Roma (dove è conservato un esemplare in bronzo), il M. concilia problematiche dell’antico e del moderno, soppesando la forza espressiva del volto negli occhi chiusi e bilanciando le ampie superfici plastiche con i particolari minuziosi della veste.
Lo studio meditato e aggiornato della scultura di A. Maillol spiega l’intensità che il M. raggiunse dalla metà degli anni Quaranta sul tema dei nudi femminili, di cui esaltò l’opulenza fisica nelle forme chiuse e massicce (Danzatrice, 1945: Piacenza, Galleria d’arte moderna Oddi Ricci; Eva, 1948: Cocteau, 1959, tav. XXVIII). Intanto la sua notorietà cresceva in Italia e all’estero: nel 1949 espose accanto a H. Arp, C. Brancusi, J. Epstein, A. Giacometti, M. Marini e P. Picasso, alla mostra «Third Sculpture International» che si tenne a Filadelfia, e l’anno seguente ottenne la nomina di accademico di S. Luca.
Seppure non sempre compreso dalla critica italiana più modernista, il M. condusse con intima sicurezza un percorso estetico autonomo e coerente. Cocteau, in un saggio esemplare (1959), rintracciò persino nelle opere più abbozzate la sostanza mediterranea della sua scultura, caratterizzata non tanto dalla somiglianza figurativa, quanto da quella particolare vibrazione con cui risolveva il modellato, senza sfiorare mai il deforme e cedere al rischio della caricatura.
Nel corso degli anni Cinquanta il M. rinunciò al concetto formale classico adottando un tipo femminile più nervoso e scattante, spesso vestito con abiti moderni (Sandra, 1958: Cocteau, 1959, tav. L). Questa ricerca del dinamismo gli ispirò, alla pari della danzatrice e degli atleti in azione, il tema dei cavalli in movimento (1958: F. M., 1991, tavv. CXII-CXVIII), nel quale la critica rilevò il passaggio da una plastica intesa come armonia, «sotto il segno di Apollo», a una dinamica e «dionisiaca» in cui colpiscono il ritmo ininterrotto dei dati scultorei e la potenza fremente che rispecchia «la terribile vitalità della natura» (Bazin, 1966, pp. 8 s.).
La totale padronanza di materiali diversi permise al M. di esprimersi in ogni dimensione, da quelle minime dei bronzetti a quelle monumentali in marmo (S. Filippo Neri, 1951: Roma, chiesa di S. Eugenio). Seguì un periodo contrassegnato dalla partecipazione a numerose esposizioni (1956: Biennale di Venezia, dove presentò in una sala personale 42 sculture e 9 disegni) e conferenze (La mia prospettiva estetica, Padova, Università degli studi, 1953).
Gli anni Sessanta furono ricchi di sperimentazioni sul piano stilistico: proseguendo la sua ricerca di forme naturali dal modellato solido e vibrante, realizzò la monumentale statua in marmo di S. Caterina da Siena (1961-62: Roma, giardini di lungotevere Castello). Per la basilica di S. Pietro concepì il Monumento a Pio XII (bronzo dorato, 1961-64): una grande scultura pensata per rendere appieno, nella verticalità dei volumi e nella vitalità cromatica della superficie, la statura ecclesiastica del pontefice benedicente.
Notevole in quegli anni fu l’attività grafica che sperimentò come pratica progettuale e parallela alla statuaria e di cui scrisse una dichiarazione poetica, testimoniando la sua volontà di essere scultore anche nei disegni e nei pastelli (Elogio al disegno, Milano 1968).
Negli anni seguenti si fece sempre più importante l’impegno in opere a carattere monumentale: nel 1966 realizzò il Cavallo morente per il palazzo della RAI a viale Mazzini a Roma; tra il 1968 e il 1971 si dedicò alla fusione in bronzo di 14 stazioni della Via Crucis, detta di Padre Pio, per S. Giovanni Rotondo, a conclusione delle quali modellò un grande Cristo risorto (1980). Nel 1969, in concomitanza con il suo pensionamento dall’insegnamento, ottenne il permesso di trasformare l’ex chiesa sconsacrata di S. Sisto al Carrobbio a Milano in quello che sarà fino alla morte il suo studio ufficiale (destinato a diventare nel 1974 il Civico Museo-studio Francesco Messina).
Dopo questa data il M. si concentrò soprattutto nello sviluppo analitico dei temi affrontati, dove il naturalismo della prima maniera sembra cedere il passo a un accentuato espressionismo cromatico. Le danzatrici dalle pose sempre più acrobatiche si allungano e il modellato appare sfaccettato e morbido (Danzatrice caduta, 1970: Mahtar M’Bow, tav. 35); contestualmente si acuisce la pratica di colorare le sculture, in specie i ritratti, che diventano a mezzo busto e si tingono di cromie dai forti contrasti (Nancy, terracotta policroma, 1969: Milano, Civico Museo-studio Francesco Messina).
Nonostante il riesame attento di nuovi motivi estetici, per tutta la sua attività il M. procedette restando fedele alla originaria idea di scultore-modellatore. I soggetti delle sue sculture, i cavalli, ma anche i nudi femminili, sono creature caratterizzate, pur nella sinuosità quasi impressionista del modellato e nella suggestiva tecnica delle striature (Grande torso femminile, 1970, Ibid.), come immagini plastiche forti e vitali.
Sempre attivo sul piano espositivo, partecipò alla mostra «Italienische Bildhauer» organizzata da F. Bellonzi in diciotto paesi (1965-75), nel 1978 espose al Museo Puškin di Mosca e all’Ermitage di Leningrado e nel 1979 tenne una personale a Monaco di Baviera (Staatsgalerie moderner Kunst). Per gli anni Ottanta e Novanta continuò a scolpire e a produrre lavori di grafica che espose alla mostra «Francesco Messina, disegni e pastelli inediti 1940-1980», presso il Museo civico di Pordenone (1981). Data al giugno 1983 la mostra «Francesco Messina Sculptures: 1929-1982», alla Maison de l’Unesco a Parigi. Nell’agosto seguente morì la moglie Bianca.
Nel suo ultimo periodo il M., assistito dalla figlia Paola, fu impegnato a completare la sua biografia e a partecipare a collettive e personali, tra cui l’importante antologica di Torino organizzata per celebrare i suoi novant’anni (1991).
Il M. morì a Milano il 13 sett. 1995.
Del M. si ricordano anche le seguenti opere: Poesie (1942-1972), Milano 1973 (Mondadori); Cinquanta poesie, ibid. 1974 (Stamperia di Alberto Tallone); Lettere di Bianca e altre poesie, ibid. 1993; lo scritto in prosa, Care, grandi ombre. Ritratti di artisti e scrittori del ’900, ibid. 1985 (Scheiwiller). Numerosi furono i riconoscimen;ti sia in Italia sia all’estero: nel 1975 ebbe la cittadinanza onoraria della città di Milano; nel 1989 gli fu conferito il diploma di accademico dell’Accademia di belle arti dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche. Nel 1989 il M. donò un gruppo cospicuo di sculture al Museo del Bargello, e di disegni al Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi.
Fonti e Bibl.: Un ampio corredo di materiale a stampa è reperibile presso l’Archivio bio-iconografico della Galleria nazionale d’arte moderna a Roma. Si veda inoltre: C. Carrà, F. M. scultore (catal.), Milano 1929; U. Bernasconi, F. M., Milano 1937; G. De Chirico, F. M. (catal.), Roma 1938; S. Quasimodo, F. M., Milano 1938; E. Schaub-Koch, Artisti contemporanei: F. M., in Emporium, XCII (1940), 551, pp. 227-236; A. Riccoboni, Roma nell’arte, Roma 1942, pp. 563-565; P. Bargellini, F. M., in Scultura italiana contemporanea, Milano 1945, pp. 73-80; E. D’Ors, F. M., Milano 1949; G. Papini, F. M., in Il Ragguaglio librario, Milano 1953, pp. 16 s.; J. Cocteau, F. M., Milano 1959; P. Buscaroli, Fede nell’arte e nell’Italia in un grande monumento del M., in Roma, 22 marzo 1962; A. Martini, Lettere a F. M., 1926-1927, Milano 1965; G. Bazin, F. M., Milano 1966; Arte moderna in Italia. 1915-1935 (catal.), a cura di C.L. Ragghianti, Firenze 1967, p. 400 figg. 2018 s., 2021; D. Buzzati, M. anticonformista?, in Giornale d’Italia (Buenos Aires), 6 giugno 1968; F. M. sculture, disegni (catal.), a cura di F. Russoli, Lugano 1971; F. M. Opera grafica. Disegni, pastelli, litografie dal 1930 al 1973 (catal.), a cura di P. Chiara, Livorno 1973; V. Scheiwiller, S. Sisto a Milano. Lo studio di F. M., Milano 1973; F. M. Disegni e pastelli inediti 1940-1980 (catal.), a cura di G. Pauletto, Pordenone 1981; F. M. Sculptures 1929-1982 (catal.), a cura di A. Mahtar M’Bow, Paris 1983; E. Steingraber, F. M. Terrecotte e gessi policromi, Torino 1983; Le medaglie di F. M. (catal.), a cura di V. Scheiwiller, Milano 1986; F. M. (catal.), a cura di L. Cavallo, Macerata 1987; M. Tazartes, Nessun sa più fare scultura. Intervista a F. M., in La Stampa, 12 dic. 1989; G. Bazin - M. Fagiolo dell’Arco, F. M., Milano 1989; F. M. (catal.), a cura di P. Messina - V. Scheiwiller, Firenze 1989; F. Messina. Mostra celebrativa per i 90 anni (catal.), a cura di N. Loi, Torino 1991; F. Messina. Una visione folgorante (catal.), a cura di F. Zeri, Aosta 1993; Civico Museo-studio Francesco Messina, a cura di E. Brivio - P.B. Conti, Milano 1993; F. M. Nudi femminili (catal.), a cura di A. Fiz, San Marino 1994; F. M. medaglie (catal.), a cura di V. Scheiwiller - P.B. Conti, Milano 1996; A. Paolucci, I ritratti di F. M., Milano 1997; L. Ughetto, F. M. gli anni liguri 1900-1932, Genova 2002; F. M. Sculture, disegni e poesia 1916-1993 (catal.), a cura di M.T. Orengo - F. Ragazzi, Milano 2003 (con amplia bibl.); M. Pancera, F. M. e la femminilità, in Vite scolpite, Milano 2004, pp. 27-37.
R. Ruscio