MELEGARI, Francesco
– Nacque a Parma il 18 ott. 1761 da Andrea ed Enrichetta Chioffi. La famiglia non doveva essere molto agiata se, pochi giorni prima di laurearsi in giurisprudenza il 21 luglio 1783, il M. aveva ottenuto, a seguito di una supplica, il privilegio della laurea gratuita e la rendita mensile di uno zecchino. Iniziata la professione legale facendo pratica presso Antonio Bartioli, nel 1791 il M. venne nominato ripetitore di legge al Collegio dei nobili, incarico che gli permise di ottenere il titolo di professore onorario di leggi presso l’Università di Parma. Dovette invece rinunciare nel 1794 a tenere la prolusione dell’anno accademico a causa di una non meglio precisata malattia.
Durante l’amministrazione francese dei Ducati, prima annessi alla Francia (1802) e poi nell’Impero francese eretti in Dipartimento del Taro (1808), il M. frequentò il colto M. Moreau de Saint-Méry, amministratore generale dal 1802 al 1806, che aiutò nelle sue ricerche sulla storia del Ducato. Nel 1804 iniziò la carriera in magistratura con la nomina a consigliere capo del tribunale di prima istanza e di appello di Parma; ricopriva questa carica quando, il 1° luglio 1805, il codice napoleonico venne esteso a tutto l’Impero.
Presidente nel 1809 del tribunale di Borgo San Donnino (odierna Fidenza), nel 1811 il M. fu nominato consigliere nella corte d’appello di Genova, che aveva giurisdizione di secondo grado rispetto ai tribunali del Dipartimento del Taro, e nel 1814 presidente della corte criminale straordinaria di Casale Monferrato. La restaurazione del Ducato lo vide già il 15 giugno 1814 presidente del tribunale di prima istanza di Borgo San Donnino e, dal 27 luglio dello stesso anno, presidente del tribunale civile e criminale di Parma, incaricato, dal 23 febbr. 1817, di far parte della Commissione di revisione del progetto di codice civile.
Fondamentale risultò il lavoro del M. nella redazione del nuovo codice, anche se non sempre le sue posizioni erano all’avanguardia, come si verificò quando, sul tema dell’ammissibilità delle donne alla successione intestata, il M., con la maggioranza dei commissari, sostenne la tesi dell’esclusione. Non essendosi raggiunto il numero di voti sufficienti per la decisione, la Commissione investì del problema il presidente degli Interni, F. Cornacchia. Sia la relazione di maggioranza, stilata dal M., sia quella di minoranza furono date alle stampe; ma per la decisione finale la sovrana volle che si procedesse a una sorta di referendum tra i corpi giuridici, amministrativi e ausiliari dello Stato che si pronunciarono a favore della successione femminile.
Il 17 nov. 1817 il M. fu incaricato di presiedere la commissione speciale delle «cause Serventi», trovandosi così a gestire la liquidazione di uno dei banchi storici, appunto Serventi, della finanza parmense e poi (18 ag. 1818) a far parte della commissione per proporre modifiche al codice penale.
Il 12 giugno 1820 divenne consigliere del Supremo Tribunale di revisione, e in tale veste avviò a fini di pubblicazione un lavoro di raccolta delle sentenze.
Quest’opera (Decisioni del Supremo Tribunale di revisione di Parma con note ed opuscoli relativi), una delle prime di questo genere in Italia, è il capolavoro del M.: tra il 1825 e il 1830 ne uscirono, per i tipi dello stampatore parmense Carmignani, sette volumi comprendenti una parte delle sentenze civili e penali pronunciate dalla Revisione tra il 1823 e il 1828.
Vi era inoltre allegata una serie di opuscoli che costituiscono la fonte principale di studio della dottrina legale parmense del periodo. Una delle note a una sentenza del 17 ag. 1826, nella causa Taffirelli - Olmi, causò una puntigliosa disputa giuridica con G.D. Romagnosi, alle cui osservazioni il M. rispose a stampa il 28 dic. 1828. L’importanza della raccolta è rimarcata dal fatto che in occasione della codificazione delle leggi del Ducato estense, ne apparvero a Modena, tra il 1853 e il 1856, due edizioni, concepite per dotare le corti di una giurisprudenza di riferimento.
Il 9 dic. 1829 il M. ottenne la presidenza del tribunale d’appello del Ducato; un anno dopo, in seguito alla nomina a presidente della corte d’appello, toccò il vertice della sua carriera in magistratura.
Il 13 febbr. 1831, con lo scoppio dei moti liberali, la burocrazia statale si sfaldò. Due giorni dopo una riunione del Consiglio comunitativo, constatata la partenza della duchessa di Parma Maria Luigia, approvò all’unanimità la formazione di un governo provvisorio nella cui composizione entrò, dopo alcuni ballottaggi, anche il Melegari. La duchessa non fu dichiarata formalmente decaduta, mentre una notificazione del 16 febbraio provvide a mantenere in vigore la legislazione ducale. Ma già il 20 febbraio il M., che con E. Ortalli aveva ricevuto la delega per l’amministrazione pubblica, la contabilità amministrativa, la giustizia e polizia, rassegnò nelle mani del podestà le dimissioni che motivò sostenendo come la propria elezione a una funzione amministrativa nel governo provvisorio fosse in contrasto con la disposizione dell’articolo 121 della risoluzione sovrana n. 21 del 13 febbr. 1821 che dichiarava le funzioni giudiziarie incompatibili (il M. era ancora presidente del tribunale d’appello) con quelle amministrative.
All’arrivo degli Austriaci, il 13 marzo, il M. fu arrestato: fu sottoposto a processo il 26 aprile con l’imputazione di essere stato uno degli agenti principali della rivolta che aveva avuto per scopo quello di distruggere le forme legittime dello Stato; la base fondamentale e più insidiosa dell’accusa era rappresentata dal proclama dell’8 marzo 1831 – che aveva però visto contrario il M. – in cui non solo si inneggiava alla patria e alla libertà, ma si ordinava altresì di sostituire le uniformi del reggimento «Maria Luigia» con quelle delle truppe di linea del cessato Regno d’Italia. Alla fine, il 7 luglio 1831, il M. fu assolto perché si riconobbe lo stato di necessità che aveva portato alla costituzione del governo provvisorio onde evitare i mali dell’anarchia e si apprezzò l’atteggiamento moderato da lui tenuto nelle cariche che aveva ricoperto.
Dopo il processo, probabilmente sia per motivi d’età, sia, forse, per non fugati sospetti sulla sua attività, il M. non venne reintegrato nella magistratura e tornò a svolgere la sua primitiva professione d’avvocato. Nel 1834 diede alle stampe l’ottavo e ultimo volume della sua raccolta di Decisioni, che enumera le settanta prese dal 18 genn. 1830 al 20 dicembre dello stesso anno.
Il M. morì a Parma il 1° ott. 1837.
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E. Fregoso