MEI, Francesco
– Nacque a Firenze nel 1460 da Andrea di Domenico. Fece la sua professione di fede il 20 nov. 1478 nel convento domenicano di S. Marco, durante il priorato di Battista di Antonio da Firenze.
Descritto nel Chronicon del convento fiorentino come «magnus et ubique gratissimus praedicator» (c. 93v), il M., che era detto Clerichino, conobbe Girolamo Savonarola durante il suo primo soggiorno fiorentino (1482-87). Nel 1490, dopo il ritorno di Savonarola nel convento di S. Marco, iniziò la profonda avversione verso il predicatore, che il M. considerava un avversario e un suo emulo.
Il M. accolse sfavorevolmente le esigenze di riforma di Savonarola, interpretandole non come autentico desiderio di una più rigida osservanza, ma come effetto di orgogliosa presunzione, da cui si sentiva offuscato e costretto. Tale atteggiamento non sfuggì a Savonarola, che ben presto lo chiamò a rendere conto delle sue critiche. Davanti a fra Girolamo il M. negò, piangendo, di aver mai dubitato della bontà delle sue intenzioni o di essergli stato ostile: «Io non sarò mai contrario né a voi né alle opere vostre», ma Savonarola non gli credette: «Tu simuli di credermi e non mi credi; sarai mio avversario, ma finalmente Iddio ti scoprirà. In baculo arundineo, in quo tu confidis, manus tuas perforabis» (Epistola di fra P. Cinozzi, p. 17).
Tale contrastato rapporto, tuttavia, non gli impedì di fare la carriera cui aspirava, anzi forse lo stimolò; stava procedendo nella sua battaglia quando, il 22 maggio 1493, il M. subì uno scacco, perché, secondo le richieste di Savonarola, papa Alessandro VI concesse al convento di S. Marco la piena autonomia dalla Congregazione lombarda. Il M., che si era opposto fortemente a tale separazione, riuscì però a ottenere che il convento di San Gimignano, di cui intanto era divenuto priore – il 16 ott. 1493 è attestata la sua presenza come superiore del convento – vi restasse unito.
Sulla scia di questa sempre più aperta spaccatura con Savonarola il M., recatosi intanto a Roma, aveva saputo guadagnarsi la fiducia del maestro generale dell’Ordine, Gioacchino Torriani, tanto che, morto intorno all’autunno del 1496 il procuratore generale Ludovico da Ferrara, gli succedette nell’incarico, raggiungendo così uno dei più alti e ambiti gradi dell’Ordine, che poteva aprire facilmente la porta al generalato e anche al cardinalato. Fu allora che egli cercò di sfruttare la nuova, prestigiosa carica per opporsi a tutte le iniziative di Savonarola.
Il suo predecessore, per incarico di Torriani, aveva promosso aggregazioni distinte nel territorio della provincia romana, nutrendo stima e amicizia per Savonarola, al quale non voleva nuocere. Il M., forte ora del favore del pontefice e delle figure più influenti che lo circondavano, fingendo di agire per semplificare le cose riuscì a convincere il cardinale protettore, Oliviero Carafa, della bontà del progetto di accorpare, invece, in un’unica congregazione di stretta osservanza la numerosa e fiorente Congregazione marciana, espediente che sarebbe servito a distruggere l’opera più cara a Savonarola. Ovviamente la manovra andò a buon fine perché il M., perseguendo i suoi fini personali, portava avanti anche quelli dei Borgia, della Congregazione lombarda e dei Medici, tutti uniti nel voler sottrarre a Savonarola la posizione dominante a Firenze.
Il 7 nov. 1496 fu così siglato il breve pontificio che ordinava a sedici conventi di riunirsi, per motivi geografici, oltre che per la propagazione della regolare Osservanza, in una nuova Congregazione tosco-romana, pena la scomunica. Il 16 novembre seguì l’ordinanza del Torriani, d’accordo con O. Carafa, che affidò la riforma dei conventi toscani proprio al M., in quanto procuratore, coadiuvato da Jacopo di Sicilia, vicino al Savonarola e interessato alla disciplina dell’Ordine, nominato vicario generale della nuova Congregazione.
Savonarola ignorò la disposizione pontificia. Fu allora che il M. e i suoi amici «compagnacci» suggerirono agli oppositori del priore di S. Marco, anche tra i conventuali, di far giungere al pontefice forti proteste contro la sua predicazione, da ritenersi eretica e pericolosa, e quindi i denigratori di Savonarola iniziarono a cercare consensi tra i cittadini per sostenere tale iniziativa. A raccogliere firme di segno contrario ci pensò invece Silvestro Maruffi, insieme con i capi del partito «fratesco», che fece giungere a Roma un formale ricorso, a cui però nessuno, in Curia, rispose, contro la nuova congregazione ideata dal procuratore.
Il M. comunque ebbe piena soddisfazione e ottenne l’attuazione del suo progetto, ma solo dopo la morte sul rogo di Savonarola, il 23 maggio 1498, quando il maestro generale Torriani unì alla fine tutta la Congregazione di S. Marco a quella romano-toscana, che risultò così costituita da undici conventi, sotto il vicario generale Jacopo di Sicilia.
Dopo l’esecuzione di Savonarola il M. espresse una solidarietà inaspettata, e anche un po’ inquietante, nei confronti del suo convento di origine e della sua città, dinanzi alla pur sconcertante imposizione della Signoria, ingiunta tra il 29 giugno e il 6 luglio 1498: era stata decretata come rea di alto tradimento la cosiddetta «piagnona», la campana grande di S. Marco, che la notte dell’assalto al convento (8 apr. 1498) aveva suonato a martello chiamando tutti a raccolta, e perciò era stata fatta calare dal campanile, portata in processione a frustate, data infine in deposito ai francescani di S. Salvatore al Monte e colpita con il bando dalla città per cinquant’anni.
Fu in tale circostanza che il M., in una lettera dell’8 luglio alla Signoria, mentre con orgoglio afferma: «Siamo stati contenti immo auctori della punitione de fra Hieronjmo: or epso è estincto et quelli frati, che più gli prestavano fede, tanto più lo abboriscono», definendo Savonarola «una pungente spina […] da evellere et eradicare», specifica che tutto è avvenuto però all’interno di un convento che è sempre stato specchio di santità «et maxime essendo cotesta cità stata cagione di nutrire e mantenere questa spina, non solo contra l’auctorità et lo sforzo delli nostri prelati de l’Ordine, ma etiam contra la sententia et censure apostolice […] per devotione ch’io porto alla patria, le prego degnino fare restituire al proprio loco dicta campana.» (Gherardi, p. 315).
Niente però valse a cambiare la decisione della Signoria, né la perorazione del M., volta anche a evitare un troppo profondo divario tra i domenicani e i francescani, ma neppure quella ben più autorevole del papa, che riuscì solo a far togliere la «piagnona» dal campanile di S. Salvatore al Monte per poi farla rimanere, quasi abbandonata, dietro a un muretto in un angolo del piazzale antistante alla chiesa. La campana fu restituita a S. Marco solo dopo undici anni, nel giugno del 1509, per ordine di Piero Soderini.
L’immediato e aperto sostegno al suo convento domenicano di origine non impedì tuttavia al M., qualche mese dopo la morte di Savonarola, di intervenire con estrema determinazione in relazione agli antitetici comportamenti dei frati marciani, alcuni dei quali continuavano ad attenersi imperterriti alle sue riforme, mentre altri vi si opponevano, situazione che il M. aveva verificato di persona durante una sua sosta a Firenze, di passaggio alla volta di Venezia. Seguirono varie e severe proibizioni, tra le quali il parlare delle profezie del Savonarola, o citare i partiti dei «piagnoni» e «compagnacci», mentre veniva dato l’ordine di consegnare nelle sue mani tutti gli scritti a difesa di Savonarola, e in particolare qualunque sua reliquia.
Deluso dalle trasgressioni continue da parte dei seguaci di Savonarola, il M. passò a comminare pene sempre più rigide e, insoddisfatto anche di Jacopo di Sicilia per il suo operato di vicario generale della nuova Congregazione, allo scadere della carica lo sostituì con uno tra i più sicuri nemici di Savonarola, Malatesta Sacramoro.
Intanto, mentre da parte dei seguaci di Savonarola, come Giovanni da Pescia, professo nelle sue mani il 27 giugno 1493, si procedeva ad accusare pubblicamente il M. non solo di aver portato alla rovina Savonarola, ma anche di continuare a perseguitare senza sosta i suoi proseliti, il suo cursus honorum continuava: il 3 ag. 1500 il M. fu nominato vicario generale dal Carafa per i suoi eccezionali meriti verso la S. Sede, avendo contribuito con estrema coerenza e determinazione a eliminare un personaggio tanto scomodo. Stava diventando addirittura il candidato più probabile alla prestigiosa carica di generale dell’Ordine dopo la scomparsa di Gioacchino Torriani (1° ag. 1500), quando la morte lo colse il 28 nov. 1500.
Il Chronicon (c. 25v) riporta la notizia di un ultimo, di nuovo inatteso, segno di legame e devozione – o senso di colpa – per il così controverso convento fiorentino di S. Marco, il dono da parte del M. di una pisside d’oro e cristallo con la reliquia (una costola) di s. Caterina da Siena, dopo aver avuto l’ordine da AlessandroVI di aprirne il sepolcro nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, a Roma, ed estrarne qualche parte di osso.
I frati posero devotamente la reliquia nel loro sacrario: attualmente la comunità non ne ha più memoria, ma certo vi era ancora nel 1758, in un armadio della sagrestia in cui, fra le altre, numerose, reliquie, si trovava proprio anche «una costola di S. Caterina da Siena» (Richa).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, S. Marco, 370: Chronicon conventus S. Marci, cc. 13v, 25v, 93v, 95v, 158v; Roma, Convento di S. Sabina, Archivum generale Ordinis praedicatorum, IV, 12, cc. 40v-41r; IV, 13; A. Gherardi, Nuovi documenti e studi intorno a G. Savonarola, Firenze 1887, pp. 315-317; Epistola di fra P. Cinozzi, in P. Villari - E. Casanova, Scelte di prediche e scritti di G. Savonarola, Firenze 1898, p. 17; R. Creytens, Les actes capitulaires de la Congrégation Toscano-Romaine O. P. (1496-1530), in Archivum fratrum praedicatorum, XL (1970), pp. 131, 149, 202; G. Richa, Notizie istoriche delle chiese di Firenze, Firenze 1758, VII, p. 160; I. Taurisano, Hierarchia Ordinis praedicatorum, Romae 1916, p. 96; P. Villari, La storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi, Firenze 1926, I, p. 96; G. Schnitzer, Savonarola, Milano 1931, ad ind.; R. De Maio, Savonarola e la Curia romana, Roma 1969, ad ind.; D. Di Agresti, Sviluppi della riforma monastica savonaroliana, Firenze 1980, pp. 62, 188; Indices generales, in Archivum fratrum praedicatorum, LI (1981), p. 155; A.F. Verde, La Congregazione di S. Marco dell’Ordine dei frati predicatori. Il «reale» nella predicazione savonaroliana, in Memorie domenicane, n.s., XIV (1983), p. 166; Epistolario di fra Vincenzo Mainardi da San Gimignano domenicano 1481-1527, a cura di A.F. Verde - E. Giaconi, ibid., n.s., XXIII (1992), p. 667; T.S. Centi, Fra Silvestro Maruffi, Siena 1996, pp. 43-46; Apologeticum conventus S. Marci Florentiae, a cura di A.F. Verde - E. Giaconi, in Rinascimento, s. 2, XXXVII (1997), pp. 70, 81 s., 87, 89; R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Firenze 1997, ad ind.; I processi di Girolamo Savonarola (1498), a cura di I.G. Rao - P. Viti - R.M. Zaccaria, Firenze 2001, p. 105.
I.G. Rao