MAUROLICO, Francesco
– Nacque a Messina da Antonio Mauroli e da Penuccia il 16 sett. 1494, quintogenito di sette fratelli e una sorella.
La famiglia era di origine greca; le fonti riportano il nome del nonno, Salvo Mauroli, sposato con una Spatafora del ramo dei baroni di Venetico. Per la madre del M. è tramandata una parentela con il ramo messinese degli Spatafora, famiglia che agli inizi del XV secolo ottenne l’iscrizione nei ruoli della nobiltà veneziana e detenne per lungo tempo a Messina l’ufficio di console della Repubblica. In questa carica va annoverato un probabile zio del M., Pietro Maruli (o Mauroli), citato nei Diarii di M. Sanuto all’anno 1496. Variamente trascritto come Maurolycius, Maurolycus, Maurolyco, il cognome Maurolico rimase in uso da parte di alcuni discendenti più immediati del Maurolico. Esso costituisce una chiara inventio di foggia umanistica dovuta allo stesso M., che la adottò dai primi anni Venti del Cinquecento con probabile riferimento al nome di un Lycos, storico e poeta siciliano del III secolo a.C., registrato nelle Vitae illustrium philosophorum Siculorum et Calabrorum di C. Lascaris (Messina, W. Schömberger, 1499), opera riedita dal M. nel Sicanicarum rerum compendium (Messina, P. Spira, 1562).
Non è credibile quanto asserito nella più antica biografia del M. composta dal nipote omonimo (Maurolico jr, p. 1): che la famiglia sia giunta in Sicilia dalla Grecia, o più propriamente da Costantinopoli, dopo l’invasione turca del 1453. In realtà, è possibile retrodatare la presenza dei Maurolico in Sicilia, e segnatamente a Messina, fin dai tempi del Vespro; e un documento superstite di famiglia datato 1606 (in Ansalone) attesta il diritto della stessa a una cappella gentilizia nella chiesa di S. Giovanni Battista fin dagli anni Cinquanta del XV secolo, cosa possibile solo per casati di prestigio residenti da antica data. I Maurolico esercitarono tradizionalmente la mercatura e ricoprirono numerosi incarichi pubblici (catapani, notai o giudici, ma anche regi falconieri), collocandosi a livello medio-alto nella gerarchia sociale dei ceti dirigenti locali. Il padre del M., Antonio, fu maestro della Zecca.
Il M. ebbe nel padre e in discepoli della scuola di C. Lascaris i suoi maestri: il padre, anch’egli allievo di Lascaris, lo iniziò al greco e all’astronomia; nel latino ebbe come guida il sacerdote F. Faraone, autore di Institutiones grammatices (Napoli, S. Mayr, 1515) ed editore delle Historiae Troyanae di Ditti Cretese e Darete Frigio (Messina, B. Rizzo, 1498). Per la filosofia e la retorica gli fu maestro un altro sacerdote, Giacomo Genovese, originario di Nola (allievo, oltre che di Lascaris, di Agostino Nifo), da cui mutuò lo schema di classificazione della filosofia (Prologus de divisione artium, in F. Maurolico, Prologi sive sermones quidam de divisione artium, de quantitate, de proportione, a cura di G. Bellifemine, Molfetta 1968, pp. 9-26).
Con tali ammaestramenti e una profonda attitudine alla pietas, accentuata da pesanti falcidie familiari durante la peste del 1500-01, a causa della quale morì anche Lascaris, il M. maturò presto una forte vocazione religiosa, giungendo nel 1521 all’ordinazione sacerdotale da parte dell’arcivescovo Antonio De Lignamine, figlio del più noto umanista Giovanni Filippo. L’arrivo nel porto di Messina, il 30 apr. 1523, delle galee dei cavalieri gerosolimitani a seguito della perdita dell’isola di Rodi, caduta in mano turca, provocò un’epidemia se possibile più disastrosa della precedente, che causò ulteriori lutti tra i congiunti del M.: sopravvissero solo il padre Antonio, due fratelli, Girolamo e Giacomo, e la sorella, Laura.
La vita del M. in questa fase non è ben nota. Nella ricerca di autonomia economica egli si diede all’insegnamento privato di grammatica e di retorica, integrandolo con i proventi di qualche beneficio ecclesiastico (fu suo appannaggio per molti anni, insieme con la carica di abate, una piccola rendita sul monastero basiliano di S. Nicandro, a nord di Messina, confinante con la villa di famiglia nella contrada Sant’ Alessio). Si dedicò al contempo a studi di ottica e alla composizione di testi devozionali. Entrò nella cerchia del viceré E. Pignatelli, duca di Monteleone, che nutriva simpatie per i movimenti di riforma religiosa e annoverava tra i propri familiari figure di spicco del mondo letterario (per esempio A. Sebastiani, detto il Minturno). Il M. lasciò ampie notizie su personalità di questo ambiente in due libri di aggiunte (datati 1555) al proprio compendio del De poetis Latinis di P. Del Riccio Baldi (Pietro Crinito; cfr. Macrì, app. VII, pp. XXXV-XLVIII). Gli studi subirono un momentaneo arresto a causa della morte del padre, nel 1526, dopo un viaggio del M. a Roma in occasione del giubileo. Il M. divenne responsabile degli affari della famiglia, finché non riuscì ad affidare tale incombenza al fratello minore Giacomo, succeduto al padre nell’ufficio di maestro della Zecca.
Tra i lavori compiuti in questo periodo vanno ricordati quelli di ottica, nel cui ambito, con i Photismi de lumine et umbra (1521), rivisitò le teorie di propagazione e riflessione della luce, mentre nella prima redazione in due parti dei Diaphana (1523) studiò il fenomeno della rifrazione. Entrambi gli scritti rimasero inediti e, completati nel 1554, furono pubblicati postumi (Napoli 1611). Nonostante la chiara opzione per le discipline scientifiche, il primo lavoro a stampa del M. è costituito dai Grammaticorum rudimentorum libelli sex (Messina, P. Spira, 1528, con dedica al viceré Pignatelli).
Nella prefazione al primo libro il M. esprime le proprie idee pedagogiche, che privilegiano in maniera originale le matematiche. Vi tratteggia altresì un bilancio degli studi già compiuti e dichiara la sua fiducia nel proprio metodo di studio, che lo metteva in condizione di «divinare» i contenuti dei testi o il loro significato profondo senza avere avuto accesso all’intera tradizione. Tolta questa parte preliminare, la grammatica del M. non si discosta molto dai manuali consimili, sebbene contenga consistenti additamenta di carattere scientifico, come i principia geographiae accompagnati da un’incisione a piena pagina raffigurante il mappamondo in proiezione cilindrica, con disegnati i tratti delle coste americane (indizio sicuro, per quell’epoca, di modernità).
Nel 1528 lo straticoziato di G. Marullo, verosimilmente suo allievo, e mecenate di letterati e artisti (tra i quali F. Jannelli e Polidoro Caldara detto Polidoro da Caravaggio), fruttò al M., su delibera della Giurazia locale, una condotta pubblica per l’insegnamento delle matematiche a Messina. Svolse l’insegnamento, che prevedeva l’esposizione della Sfera di Giovanni di Sacrobosco e degli Elementi di Euclide, nel convento dei carmelitani, prospiciente l’abitazione cittadina della famiglia. Il M. procedette a una revisione critica della Sfera, il manuale più diffuso per una presentazione sommaria dell’astronomia tolemaica. Evidenziò gli errori e fornì, secondo uno stile che rimarrà in lui caratteristico, un’edizione rinnovata, con l’obiettivo di risalire all’opera che ne costituiva la fonte, la Sintassi matematica di Tolomeo. Riguardo a Euclide, l’insegnamento del M., a fronte di una consuetudine inveterata che ne limitava la lettura e il commento ai primi sei libri, si estese agli interi Elementa, come dimostra l’esistenza di un suo studio, datato 1532, dei libri XIII-XV, gli ultimi dell’opera, concernenti la geometria solida. Esso fu dedicato all’allievo don G. Barresi e fu pubblicato quasi cinquant’anni più tardi negli Opuscula mathematica (Venezia, F. de Franceschi, 1575). È probabile che questo primo insegnamento della geometria non si sia spinto oltre il 1532. Accanto alle matematiche pure, si affacciarono nel M. in questo periodo anche interessi per le matematiche applicate, che lo portarono ad applicarsi agli studi di idraulica: non solo diede una «lettura» degli Pneumatica di Erone Alessandrino, ma si diede alla costruzione di macchine idrauliche e in particolare di una fontana in grado di produrre un getto continuo di acqua della durata di mezz’ora senza aiuto esterno.
Grande rilievo in questa fase dell’attività del M. ebbero le ricerche di astronomia. In parallelo allo studio capillare degli autori «de Sphaera» sia per quel che riguarda la trigonometria (ovvero i fondamenti matematici della disciplina: Teodosio di Bitinia e Menelao di Alessandria), sia per la traditio dei Phaenomena (Euclide, Autolico ecc.), il M. si occupò degli aspetti didattici. Con la Cosmographia, pubblicata a Venezia per L. Giunti nel 1543 (altra redazione, in volgare, Catania, Biblioteca universitaria, Mss., U.52), realizzò un buon manuale, con una presentazione completa, rigorosa e a un tempo divulgativa della materia.
La forma dialogica consente di sciogliere le asperità tecniche in un’esposizione che concilia con le specifiche competenze disciplinari la vasta erudizione letteraria e filosofica dell’autore. Due soli sono gli interlocutori dei tre dialoghi in cui si articola l’opera, Nicomede e Antimaco (maestro e discepolo, il primo alter ego del M., il secondo, forse, l’allievo G.P. Villadicani, al quale il M. fu più durevolmente legato), i quali discutono della forma del mondo, del numero dei cieli, dei loro moti e di tutto ciò che riguarda i rudimenti dell’astronomia.
A suggello di questa concezione letteraria e insieme scientifica, il M. ricercò un dedicatario illustre nella persona di P. Bembo, esponente dell’antico sodalizio lascariano. Mediatore nella circostanza fu l’amico P. Faraone, discendente di una famiglia di banchieri messinesi legatissimi a suo tempo a Lascaris e a Bembo. Faraone scrisse a Bembo lettere commendatizie e, stabilito il contatto (verso la metà degli anni Trenta), seguì l’evolversi della vicenda editoriale filtrando alcuni giudizi che Bembo per ragioni di opportunità e sensibilità non esprimeva nelle lettere al M.: l’umanista aveva espresso infatti qualche critica sullo stile del M., da lui giudicato non proprio terso e ciceroniano. La pubblicazione veneziana della Cosmographia tuttavia coinvolse Bembo, che si adoperò non solo per procurare un tipografo esperto in questo genere di testi, ma anche nel seguire le fasi della composizione e della correzione delle bozze, che si protrassero per parecchi anni.
Tra i riferimenti storici che si leggono nella Cosmographia sono l’impresa di Carlo V a Tunisi del 1535 e l’accoglienza riservata al sovrano vittorioso dalla città di Messina con l’ingresso trionfale, il 21 ottobre, dell’imperatore, che si trattenne per 13 giorni. Protagonisti delle manifestazioni in suo onore furono, fra gli altri, il M. e il suo amico Polidoro da Caravaggio, con una divisione di compiti che vide in Polidoro l’ideatore degli archi di trionfo e delle macchine festive e nel M. l’autore di gran parte dei versi celebrativi che adornavano le strutture. Il M. fu presentato all’imperatore e ricevette l’incarico di collaborare alle operazioni di fortificazione della città. Tolti alcuni interventi successivi su progetti di arredo urbanistico (la collaborazione con G.A. Montorsoli nel programma delle fontane monumentali e altri manufatti costruiti in città), i suoi contributi si riassumono nel rilievo in pianta e in fondazione del forte Gonzaga (dal nome di Ferrante Gonzaga, viceré dal 1535, dopo Pignatelli), nella costruzione del baluardo di Boccadoro (dal vicino monastero intitolato a S. Giovanni Crisostomo), nella parte meridionale del circuito murario e, al tempo del viceré Juan de Vega (1547-57), nella progettazione di un baluardo del circuito murario di Catania.
La dedica a Bembo della Cosmographia ci consegna un altro scorcio della biografia del Maurolico. Nel 1539, quando un ammutinamento di truppe spagnole prive di stipendio da mesi mise in serio pericolo di saccheggi diverse città della Sicilia orientale, egli si sarebbe adoperato nella difesa di Messina, salendo, armato, sulle mura. Il ricordo di questa esperienza rivive nel parallelo istituito tra la Messina del proprio tempo con se stesso in armi, e Archimede impegnato con le sue macchine in difesa dell’antica Siracusa contro le truppe romane di Claudio Marcello.
Le fortune del M. ebbero ulteriore impulso con l’arrivo a Messina, nel 1540, come stratigò di Giovanni Ventimiglia, marchese di Geraci, esponente della più antica nobiltà isolana. L’incarico di precettore del marchese e di lì a poco del figlio Simone contribuì a una maggiore integrazione del M. negli ambienti della corte vicereale. Ventimiglia si valse delle competenze del M., allora impegnato nel completamento della Cosmographia, e studiò sotto la sua guida Euclide e altri autori di matematica. Privilegiati, in questo discepolato, furono gli aspetti applicativi delle matematiche, come quelli concernenti la costruzione e l’uso di strumenti; il M. compose per Ventimiglia il Quadrati fabrica et eius usus (Venezia, N. Bascarino, 1546, ma con dedica in data 2 febbr. 1540). Insieme i due animarono pure un cenacolo di interesse più schiettamente letterario, in cui figurava tra gli altri il siracusano C.M. Arezzo, autore di versi in volgare siciliano.
Il M. curò testi devozionali: pubblicò un’edizione emendata del De vita Christi eiusque Matris sanctissimae del sacerdote messinese M. Caldo (anche lui allievo di Lascaris) con dedica a Ventimiglia (in data 30 marzo 1540) e il De gestis apostolorum et discipulorum Domini (i due scritti furono editi insieme a Venezia, A. Bindoni, 1556).
Il sodalizio con i Ventimiglia durò quanto la vita del marchese Giovanni e del figlio Simone (ovvero fino al settembre 1560), un ventennio in cui l’attività intellettuale del M. conobbe il punto più alto. Poco dopo lo scadere del suo incarico messinese, Ventimiglia, rimasto vedovo e maturata, su persuasione del M., una vocazione religiosa, partì per un viaggio in Terrasanta (1543-44). In tale circostanza il M., memore dell’Itinerarium ad Sanctum Sepulchrum di F. Petrarca, per compiacere l’amico che lo aveva invitato ad accompagnarlo, compose un Itinerarium Syriacum, cum historiis ad Loca sacra pertinentibus, perduto.
Pochissimo è noto di tale viaggio e dell’eventuale corrispondenza scambiata nell’occasione, eccetto alcune informazioni frammentarie registrate dal M. o da altri amici comuni, utili per comprendere il sentimento religioso che accomunava i due uomini. Giovan Filippo Ingrassia, nella dedicatoria a Ventimiglia di un libro della sua Iatrapologia… adversus barbaros medicos (Venezia, G. Griffio, 1547), menziona il viaggio e ne sottolinea le finalità spirituali e culturali. Qualche dettaglio è riportato in carte dei Ventimiglia (Roma, Biblioteca naz., Gesuitico, 932, c. 175r). Un aneddoto è narrato dal M. nel libro VII aggiunto al proprio compendio del De poetis Latinis di Crinito. Trovandosi a Venezia, in attesa di imbarcarsi per la (o di ritorno dalla) Palestina, il marchese, vistosi additare in luogo poco distante Pietro Aretino, distolse subito lo sguardo dal personaggio, allora oggetto di scandalo, volgendosi ostentatamente verso la parte opposta.
Tornato Ventimiglia in Sicilia, il sodalizio con il M. si ricostituì. Al seguito dell’amico e mecenate, il M. lasciò Messina per soggiornare nelle dimore dei Ventimiglia tra Castelbuono, Geraci e Palermo, non tralasciando, accanto agli obblighi di familiare dei marchesi di Geraci, quale era divenuto, una febbrile attività di studio e di ricerca largamente documentata, poiché molti degli scritti di questo periodo presentano date e indicazioni di luogo.
L’arrivo nell’isola nel 1547 del nuovo viceré, il castigliano de Vega, già ambasciatore di Carlo V presso il papa, in sostituzione di Ferrante Gonzaga divenuto governatore di Milano, contribuì a un ulteriore avvicinamento del M. agli ambienti della corte. La crescente considerazione che Vega dimostrò per lui, affidandogli anche l’incarico di precettore dei suoi figli, rischiò anzi di compromettere il rapporto privilegiato con Ventimiglia.
Di là di tali ostacoli, le fatiche dotte del M. in questo periodo non conobbero soste. Nel gennaio 1545 trovò compimento una serie di dimostrazioni «arithmeticae et geometricae praxeos» (Roma, Biblioteca naz., San Pantaleo, 114); dalla primavera 1547 all’ottobre successivo, tra Palermo e Castelbuono, fu ultimata l’elaborazione dei quattro libri di Apollonio sulle sezioni coniche.
La Emendatio et restitutio conicorum Apollonii Pergaei fu pubblicata postuma a Messina nel 1654. All’epoca del M., soltanto i primi quattro libri erano conosciuti nell’originale greco: egli tentò di ricostruire, per divinatio, anche i libri V e VI, perduti, a partire dai brevi riferimenti agli stessi dati da Apollonio nella prefazione all’intera opera. Una ricostruzione simile alla sua del libro V fu pubblicata da Vincenzo Viviani a Firenze nel 1659.
Seguì la ripresa dei lavori su Archimede, già iniziati un decennio prima con il De quadratura parabolae, il De circuli dimensione e il De sphaera et cylindro libri II. Quindi completò l’elaborazione in quattro libri del De momentis aequalibus, del De lineis spiralibus e del De conoidibus et sphaeroidibus figuris in due libri, e da ultimo, nel febbraio 1550, di una Praeparatio in Archimedis opera.
La raccolta delle opere di Archimede fu pubblicata soltanto dopo la sua morte: gli Admirandi Archimedis Syracusani monumenta omnia mathematica quae extant… ex traditione doctissimi viri d. Francisci Maurolyci (Palermo 1685) si basano su una precedente edizione parziale curata da G.A. Borelli (Messina 1670-72), che è andata quasi interamente perduta.
Con il matrimonio della sorella Margherita, l’ultima rimasta nubile, con Carlo Aragona Tagliavia, duca di Terranova (sarà presidente del Regno di Sicilia all’epoca della battaglia di Lepanto, nel 1571, e poi governatore di Milano), celebrato il 31 dic. 1547 a Castelbuono, Ventimiglia sistemò le faccende familiari. Deciso a vestire l’abito sacerdotale, il 16 marzo 1548, con atto notarile redatto a Castelbuono, rinunciò ai suoi beni e al titolo ducale in favore del figlio Simone. Recatosi a Messina, soggiornò in casa del M. completando sotto la sua guida la preparazione al sacerdozio, in vista dell’ordinazione che, con l’assistenza dell’amico, volle conseguire a Roma, dove dai primi di aprile a fine giugno 1548 ebbero occasione di fare conoscenze importanti: incontrarono il cardinale Marcello Cervini (con il quale il M. scambiò negli anni una corrispondenza non pervenuta), il cardinale Alessandro Farnese e il fratello Ottavio, oltre ad A. Colocci e Ignazio di Loyola, verosimilmente coinvolto di persona nell’ordinazione sacerdotale di Ventimiglia. Il cardinale Farnese invitò il M. a fermarsi a Roma presso di lui o presso Ottavio. Nonostante una polizza di 500 scudi pagata al M. per il tramite di un suo parente familiare del cardinale, il letterato B. Spatafora, egli rifiutò l’offerta per non lasciare Ventimiglia, desideroso di tornare in Sicilia.
Dopo il rientro, Ventimiglia, riconoscente verso il M. per la grande rinuncia, non mancò di rendergliene merito: decise la cessione di un’abbazia di suo patronato, che avrebbe garantito al M. una nuova fonte di reddito, e progettò di allestire nel castello di Pollina, poco a nord di Castelbuono, locali adatti alle osservazioni astronomiche.
La cessione al M. dell’abbazia benedettina di S. Maria del Parto, nei pressi di Castelbuono (noto oggi come santuario di S. Guglielmo), giuspatronato dei Ventimiglia, fu formalmente compiuta dal figlio di Giovanni, Simone, nel 1550, dopo che tale beneficio si rese disponibile a seguito della morte del titolare, Girolamo Ventimiglia. Il M. mantenne la carica fino alla morte, ma risiedette nel monastero per un decennio, salvo alcune pause, allontanandosene definitivamente in età avanzata dopo la morte dei suoi mecenati.
La nomina ad abate impose al M., già sacerdote secolare, di abbracciare contestualmente la regola; per adempiere a tale obbligo, provvide, in data 1° ott. 1550, con rogito dello stesso notaio dei Ventimiglia, a una donazione ampia dei propri beni in favore dei nipoti. La consacrazione abbaziale avvenne l’11 sett. 1552 a Messina nella chiesa di S. Nicolò, per mano di Agostino Gonzaga, arcivescovo di Reggio Calabria e fratello di Ferrante. La solennità fu tale da richiamare, con altre personalità della corte vicereale, Vega, che s’impegnò a sostenere le spese di stampa delle opere matematiche e storiche del M. e a corrispondergli un vitalizio annuo di 100 scudi aurei. Un atto notarile del 7 nov. 1553, redatto in presenza di Simone Ventimiglia, precisava l’obbligo per il M. di consegnare nel termine di due anni i propri scritti pronti per la stampa; la città avrebbe provveduto alle spese relative.
Il contratto diede corpo a un complesso progetto editoriale, nel quale oltre al M. erano implicati gli stessi giurati di Messina, il viceré e la Compagnia di Gesù, che aveva aperto a Messina un collegio, tra i primi della penisola. I padri offrirono allo stampatore P. Spira ospitalità nei propri locali a spese della città. Il M. rispettò le scadenze stabilite, consegnando il 26 ag. 1555 «opera infrascripta videlicet de Sphericis, de conicis, de geometria, de aritmetica, de instrumentis, de calculo, de opticis, de prognosticis, de cronica et de historiis sicilie consistentibus in diversis tractatibus» (Moscheo, 1998, app. III), ma il tipografo ritardò la stampa a causa di difficoltà finanziarie. Anche per la scomparsa dalla scena di alcuni dei protagonisti più importanti del progetto (i Ventimiglia e il viceré de Vega, che lasciò la carica nel 1557), del programma iniziale videro la luce due soli volumi. Nel 1558 fu impresso il corpus «de sphaera» (con autori come Teodosio, Menelao, lo stesso M. e, ancora, per la «piccola astronomia», Euclide, Autolico ecc.). Il Compendium fu pubblicato nel 1562, a distanza di soli quattro anni dalla prima edizione di un’altra opera importante per la storiografia siciliana, il De rebus Siculis decades libri duo del domenicano T. Fazello, che aveva attaccato le prerogative politiche della città di Messina. Il Sicanicarum rerum compendium era stato del resto commissionato al M. dal Senato messinese nell’intento di replicare al protagonismo di Palermo nelle vicende insulari. Nell’epistola in calce all’opera, destinata Ad patres Tridentinae synodi, il M. ribadisce le proprie convinzioni religiose improntate alla più rigorosa ortodossia.
Rispetto al ruolo cruciale svolto a Messina in campo culturale dai gesuiti (il primo rettore del collegio di Messina, padre G. Nadal, introdusse nei programmi l’insegnamento di Euclide) l’atteggiamento del M., dopo una breve diffidenza iniziale, fu di apprezzamento e collaborazione. I gesuiti, con l’aiuto di Vega, nel cui entourage spiccava la figura del medico B. Torres, si impegnarono, in coerenza con gli intenti originari della Compagnia, nella creazione di istituzioni di insegnamento. Assecondavano così anche le antiche aspirazioni di Messina, emula di Catania sede del Siculorum Gymnasium, a divenire sede universitaria. Sul finire del 1548 i gesuiti riuscirono a ottenere una bolla papale di fondazione dello Studium messinese. Il M., ancor prima che fossero stabilite le cattedre universitarie, ebbe parte attiva nell’organizzazione della didattica nel collegio gesuitico, ridefinendo in buona parte i contenuti scientifici di quella che più tardi sarà la Ratio studiorum.
Ai primi anni Cinquanta risalgono i contatti con il matematico urbinate F. Commandino, giunto a Roma come familiare del cardinale Ranuccio Farnese. Tramite del rapporto tra i due fu soprattutto B. Torres, che nella primavera del 1553 entrò tra i gesuiti del collegio di Palermo, per trasferirsi poco dopo a Roma, dove fu medico di Ignazio di Loyola e lettore di matematiche nel collegio romano. Nuovi contatti con Commandino risultano intorno al 1557, attestati da una minuta di lettera di quest’ultimo al M. non datata, con discussioni su temi archimedei (Urbino, Biblioteca univ., Comune, b. 120, cc. 185r-188v); da una lettera del M. a Commandino dell’8 ott. 1557 (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 304, c. 284r); da un’altra lettera del M. a Commandino, della quale rimane traccia nella biografia del M. scritta dal nipote.
La stima reciproca fra i due matematici è attestata dai pochi resti della corrispondenza, che dovette essere importante soprattutto per quanto concerne la restituzione del corpus archimedeo. In varie dediche Commandino riconosce il sostanziale valore dell’opera mauroliciana di recupero dei classici greci. A differenza di Commandino, che a Roma sviluppò un metodo filologico di recupero dei testi classici di matematica, il M., condizionato dalla situazione di Messina, per lo più priva di raccolte librarie, sviluppò un suo stile («ex Maurolyci traditione»), antifilologico per eccellenza, che tuttavia garantì la possibilità di un ripensamento complessivo dei contenuti veri dei testi, per riproporli con nuove procedure dimostrative e con la messa a punto di tecniche che garantivano l’ammodernamento delle matematiche.
Il 1558 fu un anno cruciale per il M.: dopo una lunga gestazione fu pubblicato a Messina da P. Spira il corpus del De sphaera. La stampa comprendeva i trattati di Teodosio e Menelao (per il secondo la stampa costituisce l’editio princeps), entrambi «ex traditione Maurolyci», fondata non sulla tradizione greca ma su quella medievale. Il volume contiene anche un’opera di Autolico sulla sfera in movimento, traduzioni del De habitationibus di Teodosio e i Phaenomena di Euclide, tavole trigonometriche, un compendio di matematica e un’opera originale del M. intitolata De sphaera sermo. Un’ipotesi affacciata in più occasioni e che sembra risalire a C. Clavio, che il lavoro su Menelao fosse stato compiuto direttamente sulla tradizione araba, è stata smentita dagli studi recenti. Il matematico napoletano G. D’Auria contribuì alla ulteriore diffusione dell’opera, corredando di sue note edizioni più tarde del De sphaera di Autolico e del De habitationibus di Teodosio (Roma, A. Blado, 1587), nonché dei Phaenomena di Euclide (Roma, G. Martinelli, 1591).
Nel 1559-60 il M. entrò in contatto con il prelato e giurista spagnolo A. Agustín, visitatore della Sicilia per conto della Corona. Durante la missione Agustín intrattenne una fitta corrispondenza con i suoi amici romani F. Orsini e O. Panvinio, nella quale ricorrono con frequenza i nomi di Commandino e del Maurolico. Dal 1564 il M. collaborò sempre più strettamente con il collegio messinese dei gesuiti, dando un contributo concreto all’organizzazione dell’insegnamento delle matematiche, fino a quando, dal novembre 1569 e per cinque anni, ebbe formalmente la cattedra di matematiche. Per tale insegnamento la Municipalità gli elargì un vitalizio annuo. In questo periodo il M. lavorò, per la didattica scientifica, alla elaborazione della ratio studiorum e preparò testi a essa destinati, dialogando con i gesuiti locali e con i responsabili romani della Compagnia e in particolare con Clavio. Con l’approvazione della Curia generalizia, il M. stilò un progetto organizzato in tredici opuscoli, ciascuno dedicato a un particolare ambito disciplinare, che compendia una o più voci del catalogo della produzione mauroliciana da lui stesso stilato (Indices lucubrationum). Negli anni Settanta mise a disposizione le sue conoscenze, fornendo di carte geografiche la flotta della Lega santa che salpò dal porto di Messina per l’impresa conclusasi con la vittoria di Lepanto del 1571.
Il M. morì di peste a Messina nel luglio 1575.
Nel 1575, in occasione della visita di Clavio a Messina, il M. gli affidò alcuni suoi manoscritti. Clavio non fece nulla per la loro pubblicazione, se non assecondare con ritardo iniziative maturate a Messina dopo la morte del M. e perseguite, in sintonia con i nipoti, dal gesuita pugliese G.G. Staserio, che pubblicò a Napoli nel 1611 gli inediti Photismi de lumine et umbra e i Diaphana. Anche il progetto enciclopedico del M. fu ostacolato, perché la Compagnia preferì incrementare la produzione «gesuitica» di testi matematici.
La ricostruzione degli scritti dispersi cominciò poco dopo la morte e si consumò nell’arco di un secolo. Nella complessa vicenda ebbero un ruolo importante in primo luogo i nipoti del M., Francesco e Silvestro, e più tardi Paolo, i gesuiti, a partire da Staserio e Clavio, fino a scienziati quali Borelli. Un cospicuo gruppo di autografi mauroliciani entrò nella biblioteca privata di J.-B. Colbert, dopo la tragica conclusione della rivolta antispagnola messinese del 1674-78, per poi confluire nel Fonds latin della Bibliothèque nationale di Parigi.
Opere: La maggior parte delle carte autografe superstiti del M. si trova a Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds latin, 6177, 7249, 7459, 7462, 7463, 7464, 7465, 7466, 7467, 7468, 7471, 7472, 7472a, 7473; altri autografi sono a Roma, Biblioteca naz., San Pantaleo, 115, 116, 117; Ibid., Biblioteca Corsiniana, Cors., 35 E 22; Ibid., Archivum Romanum Societatis Iesu, Ital., 137, c. 95; Firenze, Biblioteca naz., Magl., XV.39; Parma, Biblioteca Palatina, Mss., 1023, f. 6; Molfetta, Biblioteca del Seminario vescovile, Molf., 5-7 H 15; Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 2158, cc. 143r-146v; Cambridge, University of Cambridge Library, Mss., Ff.V.42, Ff.V.43, Ff.V.44; Madrid, Real Biblioteca de S. Lorenzo de El Escorial, Mss., J.III.31. Apografi e copie si trovano in Roma, Archivum Pontificiae Universitatis Gregorianae, Fondo Curia, 2052, fascicolazione varia; Catania, Biblioteca univ., Mss., U.52; Lucca, Biblioteca governativa, Mss., 2080; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds latin, 7251 e 17859; Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 3131; Amburgo, Staats- und Universitätsbibliothek, Mathem., 483, pp. 95-136; Erlangen, Universitätsbibliothek, Mss., 831, 832, 833; Madrid, Real Biblioteca de S. Lorenzo de El Escorial, Mss., IV.22, c. 185; Ibid., Real Academia de la historia, Cortes, 2787.
Tra i lavori editi, oltre a quelli segnalati nel testo: Descrittione [carta geografica] della Sicilia, Venetiis 1545; Descrittione dell’isola di Sicilia, ibid., N. de Bascarini, 1546; Rime, [s.n.t.]; Martyrologium secundum morem Sacrosanctae Romanae et universalis Ecclesiae, Venetiis, apud Iuntas, 1567 (altre edizioni: ibid. 1568 e 1570, Napoli 1572); Arithmeticorum libri II, Venetiis, apud Franciscum Franciscium Senensem, 1575; Problemata mechanica, Messanae 1613; Vita sancti Cononis e Vita beatae Eustochii, in O. Gaetani, Vitae sanctorum Siculorum, II, Panormi 1657, pp. 200 s., 258-265; Super nova stella, a cura di C.D. Hellmann, in Isis, LII (1960), pp. 322-336.
Fonti e Bibl.: Antiche biografie del M. sono state riedite di recente, spesso arricchite di commenti, note e nuovi dati tratti da documenti d’archivio: D. Scinà, Elogio di F. M., Palermo 1808, ripubblicato da U. Bottazzini - P. Nastasi, Caltanissetta 1994; F. Maurolico jr, Vita dell’abbate del Parto d. F. M.…, Messina 1613 (ed. a cura di R. Moscheo, Messina 2002); P. Ansalone, Sua de familia opportuna relatio…, Venetiis 1662; G. Macrì, F. M. nella vita e negli scritti, Messina 1901; M. Amari, Storia dei musulmani in Sicilia, I, Catania 1933, p. 468. Tralasciando la bibliografia erudita, si segnalano i lavori più recenti sul M., a partire dalla voce di sintesi curata da A. Masotti, M. F., in Dictionary of scientific biography, a cura di Ch.G. Gillespie, IX, New York 1974, pp. 190-194; M. Clagett, The works of F. M., in Physis, XVI (1974), pp. 148-198; R. Moscheo, Un secolo di studi mauroliciani: bilanci e prospettive, in Arch. stor. messinese, s. 3, XXVI-XXVII (1975-76), pp. 267 s.; P.L. Rose, The Italian Renaissance of mathematics. Studies on humanists and mathematicians from Petrarch to Galileo, Geneva 1976, pp. 159-184; R. Moscheo, Scienza e cultura a Messina tra ’500 e ’600: vicende e dispersione dei manoscritti autografi di F. M., in La rivolta di Messina (1674-1678) e il mondo mediterraneo nella seconda metà del ’600. Atti del Convegno… 1975, a cura di S. Di Bella, Cosenza 1979, pp. 435-474; M. Pavone, Saggio critico sulle opere di F. M., Ragusa 1987; R. Moscheo, F. M. tra Rinascimento e scienza galileiana. Materiali e ricerche, Messina 1988; Id., Scienza e cultura a Messina tra ’400 e ’500: eredità del Lascaris e filologia mauroliciana, in Nuovi Annali della Facoltà di magistero dell’Università di Messina, VI (1988), pp. 595-632; P.D. Napolitani, M. e Commandino, in Il Meridione e le scienze, secoli XVI-XIX. Atti del Convegno… 1985, a cura di P. Nastasi, Palermo 1988, pp. 281-316; R. Moscheo, Mecenatismo e scienza nella Sicilia del ’500. I Ventimiglia di Geraci ed il matematico F. M., Messina 1990; M.R. Lo Forte Scirpo, F. M.: autobiografia e sapienza alla fine del Medioevo, in L’autobiografia nel Medioevo. Atti del XXXIV Convegno storico internazionale, Todi… 1997, Spoleto 1998, pp. 307-330; R. Moscheo, I gesuiti e le matematiche nel secolo XVI. M., Clavio e l’esperienza siciliana, Messina 1998; Id., Fermenti religiosi e vita scientifica a Messina nel XVI secolo, in Sciences et religions de Copernic à Galilée (1540-1610). Actes du Colloque… 1996, Rome 1999, pp. 295-356; M. Zaggia, Tra Mantova e la Sicilia nel Cinquecento, I, Firenze 2003, passim; R. Moscheo, Polidoro ritrattista e l’iconografia mauroliciana, in Filosofia e scienze. Studi in onore di G. Cotroneo, Soveria Mannelli 2004, pp. 277-299. Problemi specifici di storia della matematiche sono trattati in S. Matton, Note sur l’alchimie dans la classification des sciences des arts de F. M.: suivie de l’édition de son «Rerum tractandarum index», in Chrysopoeia, IV (1990-91), pp. 283-306; R. Moscheo, L’insegnamento delle matematiche nell’antico Studium Messinese: F. M., in Annali di storia delle Università italiane, II (1998), pp. 123-145; P. D’Alessandro - P.D. Napolitani, I primi contatti fra M. e Clavio: una nuova edizione della lettera di F. M. a Francisco Borgia, in Nuncius, XVI (2001), 2, pp. 511-522; R. Bellè, I gesuiti e la pubblicazione dell’ottica di F. M., in Boll. di storia delle scienze matematiche, XXVI (2006), pp. 211-243; Id., Il corpus ottico mauroliciano. Origini e sviluppo, in Nuncius, XXI (2006), pp. 7-29. Studi condotti sui testi matematici, alcuni inediti, negli ultimi decenni: M. Clagett, F. M.’s use of Medieval Archimedean texts. The «De sphaera et cylindro», in Science and history. Studies in honor of Edward Rosen, Wroclaw 1978, pp. 37-52; D.C. Lindberg, Laying the foundations of geometrical optics: M., Kepler and the Medieval tradition, in Discourse of light from the Middle Ages to the Enlightenment. Papers read at a Clark Library Seminar… 1982, a cura di D.C. Lindberg - G. Cantor, Los Angeles 1985, pp. 3-65; C. Dollo, Astrologia e astronomia in Sicilia: da F. M. a G.B. Hodierna, 1535-1660, in Giorn. critico della filosofia italiana, VI (1986), 3, pp. 366-398; J. Cassinet, The first arithmetic book of Francisco M., written in 1557 and printed in 1575: a step towards a theory of numbers, in Mathematics from manuscript to print - 1300-1600. Proceedings… 1984, a cura di C. Hay, Oxford 1988, pp. 162-179; R. Moscheo, L’Archimede del M.: genesi, sviluppi ed esiti di una complessa vicenda editoriale in età barocca, in Archimede: mito, tradizione, scienza. Atti del Convegno, Siracusa-Catania… 1989, a cura di C. Dollo, Firenze 1992, pp. 111-164; K. Saito, Quelques observations sur l’édition des Coniques d’Apollonius de F. M., in Boll. di storia delle scienze matematiche, XIV (1994), 2, pp. 239-259; R. Tassora, I Sereni Cylindricorum libelli duo di F. M. e un trattato sconosciuto sulle sezioni coniche, ibid., XV (1995), 2, pp. 135-264; A. Taha - P. Pinel, Sur les sources de la version de F. M. des «Sphériques» de Ménélaos, ibid., XVII (1997), 2, pp. 149-198; G.P. Pasquotto, F. M.: il recupero della matematica antica e gli inizi dell’algebra, in Periodico di matematiche, s. 7, IV (1997), 4, pp. 51-74; P.D. Napolitani, Le edizioni dei classici: Commandino e M., in Torquato Tasso e l’Università. Relazioni presentate al Convegno tenuto a Ferrara… 1995, a cura di W. Moretti - L. Pepe, Firenze 1997, pp. 119-141; J.-P. Sutto, Le compendium du 5e livre des Eléments d’Euclide de F. M., in Revue d’histoire des mathématiques, VI (2000), pp. 59-94; D. Bessot, Ellipse conique et cylindrique chez F. M., in Histoire et épistemologie dans l’éducation mathématique. Actes du Colloque… 1999, II, Louvain 2001, pp. 147-166; P.D. Napolitani - J.-P. Sutto, F. M. et le centre de gravité du paraboloïde, in SCIAMVS, II (2001), pp. 187-250; i contributi sul M. in Medieval and classical traditions and the Renaissance of physico-mathematical sciences in the 16th century. Proceedings of the XXth International Congress of history of science, Liège… 1997, Turnhout 2001; L. Passalacqua, L’«Archimedes» di M.: il «De lineis spiralibus». Differenze e analogie con l’edizione di Basilea, Pisa 2002; V. Gavagna - R. Moscheo, I Theonis Datorum libelli duo di F. M., in Boll. di storia delle scienze matematiche, XXII (2002), 2, pp. 267-348; F. M. e le matematiche del Rinascimento: l’edizione critica di testi scientifici e la sfida delle nuove tecnologie, a cura di V. Gavagna - P.D. Napoletani, Pisa 2002.