CATANI, Francesco Maria Xaverio
Nacque a Firenze il 1° dic. 1755 (non, quindi, nell'anno 1728 come afferma il Capra, p. 24) da Filippo di Anton Raffaello e Maria Rosa di Francesco Magni. La famiglia del C. era numerosa (ebbe tre fratelli: Anton Raffaello, Giovanni Battista, Andrea), e di modeste condizioni economiche; denunziava i propri beni in Firenze nel quartiere di San Giovanni e nel gonfalone della Chiave. Le vicende biografiche del C. sono assai oscure durante gli anni precedenti al 1777, quando cominciò a scrivere e ad operare in Firenze. È però sicuro che trascorse un periodo a Siena, città che definì "amabile": ciò risulta da accenni contenuti in articoli dell'opera periodica cui collaborò, il Giornale fiorentino (I[1778], pp. 157, 491), ed anche da un documento reperito presso l'Archivio di Stato di Siena (Governatore, 1048) dal quale appare che nel 1773 frequentava lo Studio senese. Certo è che verso la fine del 1776 il C. era rientrato in Firenze dove iniziò con baldanza giovanile la sua carriera giornalistica e letteraria.
Il suo carattere indipendente, il suo modo di scrivere senza mezzi termini, ma non scevro di intelligenza e di cultura non erano requisiti tali da procurare amici e protezioni ad un giovane privo di mezzi di fortuna e che doveva affidarsi alle sue forze per crearsi uno status nella vita. Ciononostante il C. volle mantenersi "libero" e in sostanza vi riuscì; ebbe più volte a che fare con la giustizia, ma il tollerante regime leopoldino non lo colpì mai duramente. Non godeva certo di buona fama presso la cultura ufficiale: Giuseppe Pelli Bencivenni lo testimonia includendolo in una lista di "semi-letterati fiorentini" compilata intorno al 1783(Efemeridi, s. 2, XI, c. 2093).
Innanzi tutto il C. si dedicò al teatro: nel 1777 e nel 1778 videro la luce a Firenze, nelle belle edizioni del Cambiagi, la prima e la seconda delle sue "tragiche feste teatrali",intitolate La reale Medicide esponente nella morte di Don Garzia i fatti più speciali di Cosimo Duca II di Firenze poscia Granduca primo di Toscana e La reale Medicide esponente la morte di Francesco primo Granduca di Toscana e della Bianca Cappello patrizia veneta di lui seconda consorte. Queste due opere avrebbero dovuto far parte di un ciclo rimasto incompiuto, comprendente "sette tragiche feste teatrali",non, quindi, tragedie vere e proprie, ma pièces di struttura particolarmente macchinosa in cinque atti intramezzati da cantate, ditirambi, balli, e come tali di scarsa resa drammatica. Del resto, il C. si mostrò assai liberale perché proprio sulle colonne del suo periodico, il Giornale fiorentino, furono criticate la prima e la seconda Medicide (I [1778], pp. 63 ss.). Questa critica, mossagli forse da Giovanni Ristori (Capra, p. 24), metteva l'accento appunto sull'artificiosità delle due pièces, sulla loro mancanza di incisività e sulla scarsa immaginazione poetica dell'autore, che fu consigliato addirittura a "cangiar di mestiere".Ungiudizio dunque assai negativo, come era stato negativo quello del revisore regio, Riguccio Galluzzi, il quale era contrario alla pubblicazione del Don Garzia sia per la non aderenza del fatto rappresentato alla realtà storica sia perché giudicava scadente la "festa teatrale" (il "teatro tragico italiano non farebbe gran perdita": Archivio di Stato di Firenze, Reggenza 625, ins. 46, 2 gennaio 1777).
Il C. dette altre prove del suo gusto per il teatro scrivendo due tragedie vere e proprie: la "primogenita cara, e diletta",come egli stesso la designava, ha il titolo Ferdinando I, granduca di Toscana, o sia la morte di Violante Ghinucci (1778) e rimase inedita; la "secondogenita", La congiura de' Pazzi, fu pubblicata a Firenze nel 1779.
Esse furono rappresentate con concorso di pubblico (Giornale fiorentino, I [1778], pp. 491-97),ma con contrastato successo (ibid., II [1779], pp. 423-32).Questa fu la ragione che lo spinse a lasciare inedito il Ferdinando I e a non esporlo ad "un letterario strapazzo" (ibid.), tanto più che l'unico giudizio che il C. avrebbe "rispettato e gradito" non venne. Tale giudizio era di persona che il C. non nomina, ma che indica come quella che "specialmente nella tragica scuola tanto stimo ed apprezzo" (ibid., I [1778], p. 496). Civiene da supporre che voglia indicare l'Alfieri, che proprio nel 1776 ideava il suo Don Garzia (pubblicato nel 1789) e nel 1777 la sua Congiura de' Pazzi (pubblicata nel 1789), e che nel '77 frequentava il salotto di Teresa Regoli Mocenni in Siena, città ben conosciuta dal C. e con la quale mantenne certo rapporti dopo il ritorno a Firenze.Si interseca con la sua attività di tragico quella di giornalista. Alla fine del 1777,insieme a Modesto Rastrelli, a giudizio del Pelli altro "semi-letterato fiorentino",autore di una tragedia sulla Morte di Alessandro de' Medici (Firenze 1780), chiese di pubblicare il periodico che abbiamo avuto occasione di menzionare, il Giornale fiorentino istorico-politico-letterario (Arch. di Stato di Firenze, Reggenza, 626, ins. 16). Ottenne il permesso il 22 dic. 1777 nonostante la relazione sfavorevole di Francesco Seratti che ironizzava sul "merito" degli autori i quali promettevano "riflessioni politiche sulla istoria del secolo". La revisione del foglio fu affidata a Riguccio Galluzzi; vi collaborarono soprattutto il C. ed il suo coetaneo, di lui più famoso, Giovanni Ristori. A questa impresa giornalistica il C. tentò di associare varie personalità tra le quali B. Franklin cui scrisse il 2 genn. 1778, nel modo disinvolto a lui consueto e senza alcun timore reverenziale, invitandolo a collaborare. Si mise in contatto inoltre (è lui stesso che lo dice e la sua disinvoltura ce lo fa credere) coi "primi letterati d'Europa" (Giornale fiorentino, I[1778], p. 500): ricordo la lettera scritta a Gibbon, da lui pubblicata anche sul periodico, nella quale lo invitava a diffidare delle traduzioni della sua opera (ibid.,II [1779], pp. 230-33).
Il Giornale, che si muove all'interno della tematica illuministica, fu redatto in uno stile spigliato e battagliero che rivela la giovanile immaturità del C. e del Ristori, ma che dà al periodico un inconsueto piglio iconoclasta (si veda, ad esempio, la recensione sfavorevole ai Theoremata di Giovanni Maria Lampredi, I [1778], pp. 279-282, che ironizzava sulla fama di quest'ultimo e che contestava aspramente il valore dell'opera). Il periodico usciva a fascicoli mensili (iniziò col gennaio del 1778 ed ebbe termine nel giugno del 1780), e fu certo seguito e diffuso a giudicare dal lungo elenco di corrispondenti presso i quali era reperibile. Conteneva grosso modo quattro rubriche: estratti di opere, varietà letterarie, riflessioni politiche, poesie. La seconda rubrica fu curata soprattutto dal Ristori (Capra, p. 24). A partire dal primo numero del 1780 il giornale non fu più edito dal Cambiagi, cambiò formato, carta e caratteri. Questa innovazione era collegata al progetto di inserire il foglio periodico in un'ambiziosa impresa editoriale che, a partire dal luglio 1780, avrebbe dovuto essere finanziata e realizzata dagli stampatori Stecchi e Del Vivo e che avrebbe preso il nome di Magazzino universale istorico, politico, letterario. Questo avrebbe fornito ai lettori le informazioni politiche con una nuova gazzetta e quelle letterarie con il Giornale enciclopedico di letteratura italiana e oltremontana e con altre iniziative sulle quali si diffondeva un manifesto, datato 14 marzo 1780, allegato al Giornale fiorentino e redatto, a giudicare dallo stile, proprio dal Catani. A tale progetto, che poté realizzarsi solo in minima parte, venne meno la collaborazione del Ristori: è noto, infatti, per gli studi della Del Pezzo e del Capra, il processo cui furono sottoposti il C. e lo stesso Ristori per aver inserito nel numero di marzo 1780 del Giornale fiorentino, senza sottostare alla censura, la lettera spedita dal "porto d'Ormus" del "mar Pacifico",la quale era, in effetti, diffamatoria verso molti cittadini livornesi. Il processo nel quale incorsero i due collaboratori, insieme allo stampatore, ed il conseguente esilio del Ristori dalla Toscana divise due "teneri amici" (Ristori, Mem. encic., I [1781], p. 55).
Dopo questo episodio il C. dette mano non solo al Giornale enciclopedico che proseguì il Giornale fiorentino (al quale collaborò, forse, fino al 1782: cfr. Capra, p. 31 n. 42), ma anche ad altri periodici di Bologna (le Memorie enciclopediche del Ristori: cfr. Capra, p. 61), e di Firenze: lo Spione italiano, del quale erano usciti tre soli numeri quando fu soppresso il 6 luglio 1782 (Arch. di St. di Firenze, Reggenza, 626, ins. 150) e che era sottoposto alla revisione di G. Pelli Bencivenni (ibidem, e ins. 147); il Corriere europeo, iniziato nel settembre del 1782 (G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, s. 2,X, cc. 1772v-1773), rivisto da Marco Lastri (Arch. di Stato di Firenze, Reggenza, 627, ins. 7), dell'esistenza del quale si ha notizia fino al 1783 (Parenti, Dizionario, p. 80); un Giornale delle dame (Capra, p. 25). Tali iniziative giornalistiche ebbero indubbiamente una notevole eco e non solo in Firenze: infatti, i tre numeri dello Spione ed alcuni del Corriere furono messi all'Indice (Arch. di Stato di Firenze, Reggenza, 627, ins. 7).
Si ricorda, infine, che il C. scrisse un Elogio di Maria Teresa (1780; cfr. Capra, p. 25), un'Orazione funebre in morte del marchese di Pombal (1782;cfr. Arch. di St. di Firenze, Reggenza, 626, ins. 155), un Discorso al papa di un filosofo tedesco (1782),pubblicato prima, parzialmente, sullo Spione italiano e poi integralmente dallo Stecchi a Firenze (ibid.,ins. 149), Il papa o siano ricerche sul primato di questo sacerdote (Eleutheropoli 1783), ed altri opuscoli di contenuto anticuriale (Capra, pp. 25-26), tra i quali Ganganelli e Braschi, o sia dialogo fra Clemente XIV e Pio VI (Tibet-Antica 1784) e Ilgoverno di Roma sotto il Pontificato di Pio VI (Tibet-Antica 1784). Per questi ultimi lavori si servì probabilmente di un negozio di stamperia che con il permesso delle autorità aveva messo su nella sua casa nel 1784, assieme ad un suo giovane amico, Girolamo Betti (Arch. di Stato di Firenze, Camera fiscale, 2986, n. 549, e Segreteria di Stato, prot. 1, n. 33, G), con il quale esercitò anche il commercio di libri. Proprio per tale attività il C. fu in contatto anche con Filippo Buonarroti ed ebbe nuovamente a che fare con la giustizia alla fine del 1786 (Ibid., Reggenza, 1037,ms. 78, e M. A. Morelli, Alcuni documenti inediti, pp. 470-77).
Nella produzione anticuriale del C. ha un posto di rilievo, per la diffusione che conobbe e le discussioni che suscitò, l'opuscolo Ilpapa, che si richiama anche nel titolo al più noto scritto di Joseph V. Eybel, Was ist der Papst, dell'anno precedente. Il C., mostrandosi convinto sostenitore delle riforme ecclesiastiche leopoldine, sottolinea la necessità di non limitare l'azione del governo a un intervento nella disciplina ecclesiastica delle diocesi toscane: ogni tentativo riformatore sarà votato al fallimento - egli avverte - se non sarà scalzato nella coscienza dei cattolici il falso concetto circa il potere assoluto del papa sulla Chiesa universale. Il C., quindi, ripercorre le fasi attraverso cui il vescovo di Roma è riuscito ad usurpare i diritti dei confratelli e del popolo cristiano: nei primi secoli del cristianesimo ogni decisione veniva presa in comune dai vescovi, dai preti e dagli anziani e approvata dai fedeli convocati in assemblea (p. 82: l'eguaglianza "può dirsi l'attributo caratteristico della società Cristiana. Or chi mai può ignorare, che in una società, la di cui legge fondamentale sia l'eguaglianza; ivi il governo è sempre Repubblicano e Popolare? E così disegnò Cristo, così volle..."). Il C. in tal modo superava le tesi episcopalistiche e giurisdizionalistiche care al governo granducale per approdare, senza dubbio sotto l'influenza di suggestioni illuministiche e rousseauiane, alla concezione di un cristianesimo che deve porsi obiettivi utili alla società civile attraverso una forma comunitaria di governo.
Il C. morì, in ancor giovane età, a Firenze il 18 genn. 1789.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore, Battesimi, maschi, anni 1754-55;Archivio di Stato di Firenze, Decima granducale, reg. 3653, campione di San Giovanni, gonfalone Chiave, C. 440; Catasto lorenese, giustificazioni di volture di Fiesole, reg. 1129, num. int. 24; Camera di Commercio, morti, reg. 194, c. 68, e reg. 216, parrocchia di S. Remigio; Reggenza, 625, ins. 46; 626, inss. 16, 78, 147, 149, 150,155; 627, ins. 7; 1037, ins. 78; Segreteria di Stato, a. 1780, prot. 23, n. 5, s.; a. 1784, prot. 1, n. 33, G.; Camera fiscale, Negozi di polizia, a. 1780, 2902, n. 544; a. 1784, 2986, n. 549; Firenze, Bibl. nazionale, Sezione manoscritti, N. A. 1050: G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, s. 2, X, cc. 1772v-1773; XI, cc. 1939v, 2093; Ibid., Bibl. Marucelliana, B. II. 27, XXXV: Carteggio di A. M. Bandini, cc. 411rv, 414rv, 428 (per il rapporto che vi fu tra il C. e Giuseppe Maria Galanti); Arch. di Stato di Siena, Governatore, 1048; A. Del Pezzo, Il "Giornale fiorentino", periodico del sec. XVIII, in Rivista delle biblioteche e degli archivi n. s., II (1924), pp. 138-171; M. Parenti, Dizion. dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti, Firenze 1951, pp. 79 s.; A. Pace, Benjamin Franklin and Italy, Philadelphia 1958, pp. 188 s., 404 s.; M. A. Morelli, Alcuni docum. inediti su Filippo Buonarroti, in Critica stor.,III (1964), pp. 470-77; M. Rosa, Dispotismo e libertà nel Settecento, Bari 1964, p. 63; G.Capra, Giovanni Ristori da illuminista a funzionario (1755-1830), Firenze 1968, pp. 23-33, 39-45, 61; M. Rosa, Riformatori e ribelli nel '700 religioso italiano, Bari 1969, p. 172; M. A. Timpanaro Morelli, Filippo Buonarroti e l'ambiente della sua giovinezza nelle Efemeridi di Giuseppe Pelli Bencivenni, in Mov. operaio e socialista, XVII (1971), pp. 32-34; G. Ricuperati, Giornali e società nell'Italia dell'"ancien règime" (1688-1789), in La stampa ital. dal 500 all'800, Bari 1976, pp. 276, 297, 318, 320.