RAVASCHIO, Francesco Maria
RAVASCHIO, Francesco Maria. – Nacque a Genova il 17 aprile 1743 da Nicolò, fornaio, e da Maria Caterina, e venne battezzato quattro giorni dopo nella chiesa di S. Andrea (Alizeri, II, 1865, p. 172). La formazione accademica dello scultore ebbe inizio con l’iscrizione alla Scuola del disegno presso la Ligustica nel 1757 (Sanguineti, 2013b, p. 444). Accanto a questo percorso istituzionale è probabile che Ravaschio avesse affiancato, contemporaneamente, qualche allievo di Anton Maria Maragliano – come Pietro Galleano –, giacché sono note opere giovanili, in legno policromo, ancora sostanziate dalla cultura figurativa tardobarocca molto gradita alle committenze parrocchiali e all’ambiente delle confraternite (Sanguineti, 2013a, pp. 68-71): la Pietà e la Madonna del Rosario, appartenenti alla chiesa di S. Pietro a Diano S. Pietro ed eseguite nel 1769 (Abbo, 1983), il S. Stefano dell’omonima parrocchiale di Casella, documentato allo stesso anno (Santamaria, 1999), e la scultura mariana in trono della chiesa di S. Martino a Onzo, saldata nel 1774 (Lignum Crucis..., 2013, p. 74).
Se nel S. Stefano di Casella i volumi sono ampi e rigorosi e nella Pietà di Diano S. Pietro la forza espressiva è incline a una magniloquenza di forme e di gesti, nella Madonna del Rosario dell’oratorio Mortis et Orationis di Sestri Ponente – che è possibile attribuirgli (Sanguineti, 2013a) – e nel più tardo simulacro di Onzo prevale nettamente il gusto maraglianesco, evidentemente richiesto dalla committenza. Invece il Cristo risorto e l’Angelo annunziante la Resurrezione, conservati anch’essi nella parrocchiale di Onzo e a lui attribuiti (Lignum Crucis..., 2013, pp. 74 s.), dovrebbero essere, per le propensioni neoclassiche, più tardi. È quindi possibile notare, nei lavori giovanili citati, un connubio tra le imprescindibili suggestioni tratte dalle opere maraglianesche e l’applicazione di un linguaggio corretto di provenienza accademica (Sanguineti, 2013b, pp. 444 s.).
Ben presto iniziò il fortunato sodalizio con lo scultore Nicolò Traverso, espresso nella condivisione di bottega per dar corso al desiderio comune di «riformare la statuaria a più sani esempj» (Alizeri, II, 1865, p. 172). Per Federigo Alizeri i due scultori liberarono la cultura figurativa genovese dalla «licenza de’ manieristi», consentendo l’avvento «dell’età nuova devotissima alla severità degli antichi» (pp. 249 s.). I due scultori, entro il palazzo di Cristoforo Spinola in strada Nuova (attuale palazzo Campanella), si occuparono, tra il 1771 e il 1773, delle «plastiche della sala» progettata da Andrea Tagliafichi con la collaborazione di Charles de Wailly e distrutta nel 1942 (Sborgi, 1988, pp. 302, 304, 312): Ravaschio realizzò, in particolare, due busti di Cibele e di Nettuno (Alizeri, II, 1865, p. 172), oggi conservati nell’atrio d’ingresso (Torriti, 1982). Alizeri, pur tacendo i lavori per le confraternite, ricordò l’intaglio, condotto insieme a Traverso, per il palazzo genovese della famiglia dogale dei Cambiaso, di «certi gruppi di figure [...] da servire dorati ad ornamento delle costoro stanze negli angoli delle pareti», e che di tale impegno (1774 circa) lui stesso aveva gradito «la venustà, la pulitezza e l’eleganza» (Alizeri, II, 1865, pp. 174 s.): si trattava di quattro gruppi raffiguranti Bacco e Arianna, Nettuno e Anfitrite, Venere ed Efesto ed Ercole e Onfale, andati distrutti ma testimoniati da alcune fotografie che ne evidenziano la cultura tardobarocca (Montanari, 2014).
Stimolati e supportati da Michelangelo Cambiaso, Ravaschio e Traverso intrapresero, dal 1775, una permanenza di studi a Roma (Alizeri, II, 1865, p. 177), ove entrarono in contatto con Antonio Canova e con Anton Raphael Mengs, al quale il patrono genovese li aveva indirizzati e raccomandati. A comprovare i progressi, i due spedirono da Roma a Cambiaso i rilievi con le Allegorie delle Stagioni (Ravaschio scolpì Eolo e Flora).
Il quinquennio romano fu di grande importanza per il loro perfezionamento e per le sorti della scultura genovese, dato che al rientro in patria, intorno al 1780, condussero «in piccoli modelletti tutto il bello dell’arte antica» (Alizeri, II, 1865, p. 179). Ravaschio cercò una bottega da condividere con il socio nei pressi del monastero di S. Silvestro, in un terreno di proprietà delle monache in vico del Fondaco (p. 187). La fama acquisita assicurò una serie di commissioni importanti: la Flora per la facciata di villa Serra a Genova Cornigliano, ma soprattutto, con contratto del 21 agosto 1780 (pp. 182 s.), i lavori della facciata di palazzo ducale, condivisi con Traverso, ossia i Trofei e i Prigioni (di cui si conservano i bozzetti in collezione privata) posti sul cornicione e sul prospetto a sottolineare i ritmi costruttivi della facciata neoclassica progettata da Simone Cantoni (Sborgi, 1988, p. 305; Ossanna Cavadini, 2004). In questo cantiere, il più prestigioso aperto in città in quegli anni, Ravaschio e Traverso furono affiancati da Andrea Casaregi: «anche nel minor salone furono in tre a modellare i busti de’ chiari Liguri» (Alizeri, II, 1865, p. 184) disposti nel 1781 nella volta insieme ai trofei in stucco e ai busti classici sulle mensole del cornicione (Sborgi, 1988, pp. 308, 313; Olcese Spingardi - Sborgi, 1999, p. 425). Verosimilmente Ravaschio e Traverso si occuparono anche dei telamoni in stucco che sorreggono la volta della sala del Maggior Consiglio, ambiente nel quale, attivi dal 1782, posizionarono, ai lati del trono – secondo il progetto di integrazione fra decorazione plastica e tessuto murario voluto da Cantoni – le statue, sempre in stucco, raffiguranti la Fortezza (Ravaschio) – di cui Alizeri (II, 1865, p. 184) vide svariati modelli in cera panneggiati di tela – e la Giustizia (Traverso). Rispetto a quest’ultima la statua di Ravaschio (erroneamente identificata da Alizeri come Prudenza) risente in maggior misura del tardo classicismo barocco di area romana (Sborgi, 1988, p. 313; Olcese Spingardi - Sborgi, 1999, p. 425). Per una delle nicchie della stessa sala, abitate dai benemeriti della Repubblica, Ravaschio scolpì il ritratto, a figura intera, di Giambattista Cambiaso (ora a villa Rosazza), lodato da Alizeri per la «prontezza del gesto», lo «sfarzo dei vestimenti» e la «copia degli accessorj» (Alizeri, II, 1865, p. 185).
Di poco posteriori possono considerarsi le statue, ai lati della scalinata nell’atrio di palazzo Durazzo di via Balbi, raffiguranti la Fortezza (Ravaschio) e l’Unione (Traverso), emblema del sodalizio per il raggiungimento di un omogeneo linguaggio neoclassico, benché Ravaschio mostri di prediligere la rappresentazione di un movimento maggiormente chiaroscurato (Alizeri, II, 1865, pp. 185 s.; Sborgi, 1988, p. 314). Tra il 1780 e il 1785 si colloca l’operazione di aggiornamento del coro della chiesa genovese delle Vigne su progetto di Gaetano Cantone: le forme neoclassiche spiccano nei bassorilievi con putti che Ravaschio scolpì unitamente a Traverso (Sborgi, 1990, p. 35). Nel 1791 terminò la statua, «oltre il naturale», di Carlo IV di Spagna, destinata a decorare la porta principale di Ceuta in Marocco (Alizeri, II, 1865, p. 192; Avvisi, 1791, 19 e 26 febbraio) e, nello stesso anno, ultimò la Madonna in marmo per il Santuario di Nostra Signora del Garbo, presso Genova (Ciliento, 1977, p. 12), località ove i Cambiaso avevano edificato una residenza nella cui cappella Ravaschio fornì una Immacolata (Alizeri, II, 1865, p. 192). Nel 1795-97 ultimò il gruppo statuario per il battistero della parrocchiale di Camogli (pp. 193 s.; Simonetti, 1989, p. 46), ove riemerge, accanto al controllo neoclassico, il legame con la tradizione tardobarocca, già evidente nelle tre statue in marmo della Fede, Speranza e Carità scolpite per la stessa chiesa in un momento non distante dal 1788, quando fu terminato l’altare di S. Prospero ove sono inserite (Sborgi, 1988, p. 310; Simonetti, 1989, p. 37). Nel 1796, con una conclusione da porre entro la fine del secolo, Ravaschio, unitamente a Traverso e a Casaregi iniziò a occuparsi delle statue dell’altar maggiore, su progetto dell’architetto Carlo Barabino, della chiesa di Nostra Signora del Rimedio (Sborgi, 1988, pp. 309, 314). Infine, la Pietà conservata all’Albergo dei Poveri fu lodata da Alizeri «per la semplicità dei partiti» (II, 1865, p. 211). Nominato accademico di merito alla Ligustica, ne resse la scuola, alternativamente a Traverso, dal 1791 al 1802, con un impegno di divulgazione del linguaggio neoclassico e canoviano (p. 240; Sborgi, 1988, p. 314).
Morì il 22 ottobre 1820 e negli ultimi anni non proseguì il lavoro a causa della sopraggiunta cecità (Alizeri, II, 1865, p. 242).
Fonti e Bibl.: F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalla fondazione dell’Accademia, I, Genova 1864, p. 231, II, 1865, pp. 172, 174-179, 181-187, 189, 191 s., 200 s., 206, 210 s., 238, 240, 242, 249; F. R., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVIII, Lipsia 1934, p. 48; C. Maltese, Appunti per una storia del Neoclassicismo a Genova, in Neoclassicismo. Atti del Convegno... 1971, Genova 1973, p. 81; P. Torriti, Tesori di Strada Nuova. La Via Aurea dei Genovesi, Genova 1982, p. 160; G. Abbo, La chiesa parrocchiale di Diano San Pietro, in Communitas Diani, VI (1983), p. 68; M.G. Montaldo Spigno, Nicolò Traverso scultore (1745-1823), Genova 1984; F. Sborgi, L’Ottocento e il Novecento. Dal Neoclassicismo al Liberty, in La scultura a Genova e in Liguria dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988, pp. 301-309, 310-317, 473; F. Simonetti, Basilica di Santa Maria Assunta a Camogli, Genova 1989, pp. 37, 46; F. Sborgi, Alcune note sulla cultura artistica in Liguria nella seconda metà del Settecento, in Gerolamo Grimaldi e la Società Patria, a cura di L. Pessa, Genova 1990, pp. 28-30, 33, 35; C. Olcese Spingardi - F. Sborgi, “Solidità, comodità e decoro”: l’intervento di Simone Cantoni a Palazzo Ducale dopo l’incendio del 1777, in El siglo de los Genoveses e una lunga storia di arte e splendori nel palazzo dei dogi, a cura di P. Boccardo - C. Di Fabio, Genova 1999, pp. 410, 425; R. Santamaria, Le statue lignee della chiesa parrocchiale di Santo Stefano di Casella e due sculture di Agostino Storace in Santa Maria Assunta di Vaccarezza, in Miscellanea di studi del Centro culturale del Comune di Casella, Casella 1999, pp. 90 s.; E. Baccheschi, L’Accademia Ligustica di Belle Arti, in E. Gavazza - L. Magnani, Pittura e decorazione a Genova e in Liguria nel Settecento, Genova 2000, pp. 355 s.; N. Ossanna Cavadini, Simone Cantoni architetto: un esponente di spicco dell’emigrazione artistica ticinese. Il progetto di Palazzo Ducale, in Genova e l’Europa continentale..., a cura di P. Boccardo - C. Di Fabio - M. Bartoletti, Genova 2004, pp. 189-209; Lignum Crucis. Crocifissi e arredi della Passione del Signore nella Diocesi di Albenga-Imperia (catal.), Albenga 2013, pp. 56-59, 74 s.; D. Sanguineti, La Madonna del Rosario di Francesco Ravaschio, in La Decollazione del Battista di Marco Antonio Poggio. Storia e restauro, Genova 2013a, pp. 68-73; Id., Scultura genovese in legno policromo dal secondo Cinquecento al Settecento, Torino 2013b, pp. 63, 234 s., 238, 444 s.; G. Montanari, Tra tradizione tardo barocca e aggiornamento neoclassico. Cinque nuove opere per Nicolò Traverso, 2014 (on-line su Academia.edu).