MILESI, Francesco Maria. –
Nacque a Venezia il 21 marzo 1744, da Giuseppe e da Margherita Occioni.
Le famiglie d’origine, nobili di provenienza bergamasca, si erano trasferite a Venezia nella seconda metà del XVII secolo, dove avevano raggiunto una posizione economica ragguardevole, in particolare i Milesi, grazie a forti investimenti nel commercio della seta, cui si erano dedicati da generazioni, unendo la perizia legale, frutto di una consuetudine agli studi in giurisprudenza.
Dopo i primi studi a Venezia e a Murano, nel 1764 il M. si iscrisse all’Università di Padova, dove conseguì la laurea in utroque il 4 maggio 1768. Fu durante gli studi universitari che, in modo improvviso, scelse la vita ecclesiastica dopo una delusione sentimentale dovuta alla rigidità del padre nel vietargli il matrimonio con la figlia di un medico, perché non nobile. Si ritirò a Padova, tornando a Venezia per l’ordinazione, che avvenne in soli tre mesi, il 25 marzo 1767; fu destinato alla parrocchia nativa di S. Silvestro.
Nel 1776, nel censimento voluto dal patriarca F. Giovanelli, il M. è censito «cancelliere del clero, fiscal della Sacra Inquisizione, confessore e predicatore» (Sandri, p. 26). Il primo incarico aveva funzioni di coordinamento tra le nove congregazioni del clero veneto: pur onorifico gli suscitò critiche e gelosie, tanto che lo tenne dal 1775 al 1779 per poi rinunciarvi. Il «fiscal» era invece il pubblico ministero nei processi dell’Inquisizione, versato sia nel diritto ecclesiastico sia in quello civile, a conferma di una vocazione giuridica del M. testimoniata anche dalla biblioteca a lui intitolata, ora nell’archivio parrocchiale di S. Silvestro: vi figura un consistente gruppo di volumi di diritto, a fianco di libri di storia ecclesiastica e civile, di politica, di teologia e di morale. Le qualifiche di confessore e predicatore, infine, erano rare tra il clero veneziano: non più di un quarto dei sacerdoti, infatti, poteva fregiarsene.
La carriera ecclesiastica del M. assunse particolare risalto dopo il 1790, quando fu eletto parroco di S. Silvestro, divenendo l’anno successivo canonico della cattedrale di S. Pietro di Castello, quindi, nel 1793, arciprete della Congregazione di S. Silvestro e fiscal della nunziatura veneziana, dove ebbe modo di affinare le sue doti di osservatore politico sino al 1798, quando, al cadere della Repubblica di Venezia, la rappresentanza fu chiusa.
Nel 1795 il suo nome fu proposto come titolare della diocesi di Caorle, per la quale, però, gli fu preferito A.M. Peruzzi. La sua fama aveva intanto oltrepassato i confini veneziani: il patriarca F.M. Giovanelli lo nominò esaminatore sinodale, dandogli autorità sulle nomine dei nuovi sacerdoti; il vescovo di Torcello, A. Sagredo, lo volle al suo fianco come vicario generale e l’arcivescovo di Udine, P.A. Zorzi, lo nominò uditore e giudice della diocesi metropolitana friulana. Durante la Municipalità democratica il M. fu arrestato, nella notte tra l’11 e il 12 ott. 1797, e portato nell’isola di S. Giorgio, insieme con i più intransigenti oppositori del nuovo regime. Il suo moderato dissenso, espresso nelle sessioni pubbliche della Municipalità, e il rispetto di cui godeva tra gli oppositori gli permisero di essere liberato all’indomani dell’arresto.
Con l’arrivo degli Asburgo (1798) e la nomina del patriarca L. Flangini (1801), il M. assurse al terzo posto nella gerarchia ecclesiastica dopo il patriarca e il vicario generale, designato provicario e vicario per le monache. Era ora pronto per l’investitura di una sede vescovile: l’11 genn. 1807 fu destinato ordinario della diocesi di Vigevano da Napoleone Bonaparte al posto di N.S. Giamboni, che l’imperatore aveva trasferito a Venezia. Consacrato a Milano (2 nov. 1807), restò a Vigevano sino al 1816, quando rientrò a Venezia con la nomina a patriarca della città natale.
Negli otto anni in cui resse la diocesi di Vigevano, il M. entrò in buoni rapporti con le gerarchie napoleoniche. Lo confermano la nomina a barone del Regno d’Italia, l’adesione ai principî della Chiesa gallicana e il viaggio a Parigi, nel 1811, per assistere al battesimo del figlio di Napoleone. Di qui la probabile diffidenza della Sede papale nell’avallare la nomina a patriarca avanzata dagli Asburgo al loro rientro, nel 1815. In realtà la sua attività apostolica in Lomellina era stata molto intensa: in anni difficili per i continui conflitti, con i commerci e le manifatture rovinate, il M. restò «sordo al clamor d’illustri marzie imprese», prodigandosi come «padre comun più che comun pastore», vendendo i beni personali per sollevare l’indigenza delle classi più deboli e aiutare gli orfani e le vedove. Non abbandonò però l’abitudine «del culto conversar soave» (Tettoni, pp. 4-6) e, dopo la soppressione dei somaschi (1811) cui era affidato il seminario, dovette anche dedicarsi all’insegnamento. Tornati i Savoia a Torino collaborò egualmente con le autorità politiche e civili; in quegli anni, a causa di una grave malattia del vescovo di Novara V. Melano e, dopo la sua morte (1813), nei tre anni della sede vacante, si recò spesso nella città e nella diocesi confinante in aiuto pastorale, a somministrare i sacramenti o a celebrare particolari solennità.
La designazione veneziana non fu semplice. Insieme con il problema della riduzione della diocesi, per l’Austria al rientro in laguna la scelta del patriarca costituiva il vero problema in materia ecclesiastica. Tra i religiosi veneti forte era l’appiattimento culturale e teologico, la timidezza palesata verso le autorità napoleoniche, e molto avanzata l’età dei più integerrimi. La scelta iniziale cadde sul vescovo di Concordia, il benedettino veneziano G.M. Bressa, il quale, ricevuto il decreto alla fine di aprile 1815, dopo alcune esitazioni, rinunciò nel giugno successivo, a causa dell’età avanzata. La situazione si sbloccò dopo la visita di Francesco I a Venezia nell’autunno successivo: l’8 dic. 1815 l’imperatore firmò il decreto di nomina, che fu reso pubblico, per evitare altri rifiuti, oltre un mese dopo. Il M. accettò la nomina il 25 genn. 1816, e aspettò il placet di Roma che giunse il 13 marzo, dopo la ritrattazione delle tesi gallicane del 1811 voluta soprattutto dal cardinale E. Consalvi; tuttavia, a causa delle tensioni diplomatiche tra l’Austria e la S. Sede, la bolla papale di nomina si fece attendere sino al 23 settembre: partito da Vigevano il 31 ottobre, il M. si insediò a Venezia solo all’inizio di dicembre.
L’ingresso ufficiale a S. Marco avvenne il 2 marzo 1817. Il M. prese possesso dapprima della sede storica di S. Pietro di Castello, salvo abbandonarla definitivamente come residenza patriarcale e cattedrale dopo che nel 1807 il viceré Eugène de Beauharnais ne aveva disposto la traslazione a S. Marco. La linea pastorale fu vicina a quella di Giovanelli e fu molto attenta all’educazione dei chierici nel nuovo seminario, spostato da S. Cipriano di Murano alla Salute nell’ex convento dei somaschi, e al rilancio delle scuole di dottrina e di predicazione, pratiche ormai abbandonate. In questa logica si spiega l’appoggio dato alle istituzioni educative che nacquero in quegli anni, come quella delle Figlie della Carità, fondata da Maddalena di Canossa, e la scuola dei fratelli Anton Angelo e Marcantonio Cavanis, per le quali il parere favorevole del M. (1818) favorì il riconoscimento imperiale (1819). Nuova fu anche la commissione generale di pubblica beneficenza per l’assistenza ai molti poveri che vi erano in città, segno della crisi economica dell’ex Serenissima. Il M. ebbe inoltre molto a cuore l’aspetto organizzativo: formulò il piano organico per il clero e gli stabilimenti ecclesiastici, cui adibì nuovi organismi che risentirono del clima politico di forte giuseppinismo, come la divisione della diocesi in decanati e l’istituzione del Consiglio patriarcale, per l’influsso del consigliere imperiale abate M. Farina con cui fu redatto il piano. Il fatto di maggior rilievo fu il riconoscimento, da parte di Roma, della situazione creatasi durante il governo napoleonico, che aveva soppresso le diocesi di Torcello e Caorle. La bolla De salute dominici gregis (1818), voluta dal governo asburgico e fortemente auspicata anche dal M., disegnava una nuova diocesi, dal territorio molto più razionale, in cui a fronte della perdita di Grado, Latisana e delle sei parrocchie del Compardo, tra Conegliano e Ceneda, la Chiesa veneziana vide ampliata la sua giurisdizione metropolitana a tutto il Veneto, il Friuli e l’Istria.
Il M. morì a Venezia il 18 sett. 1819.
Fonti e Bibl.: A. Orsoni, Dei piovani di Venezia promossi alla dignità vescovile …, Venezia 1815, ad nomen; L.M. Tettoni, Nella partenza di … mons. F. M. dalla sede vescovile di Vigevano per recarsi alla sede patriarcale di Venezia, Novara 1816; G. Rado, Nel funebre uffizio renduto dal clero veneto nella chiesa parrocchiale e matrice di S. Silvestro il giorno 17 nov. 1819 a … mons. F.M. M., Venezia 1819; G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, IX, Chiesa patriarcale […] di Venezia, Venezia 1852, pp. 378-389; G. Occioni Bonaffons, F.M. M., Nota biografica, Udine 1884; A. Niero, I patriarchi di Venezia: da Lorenzo Giustiniani ai nostri giorni, Venezia 1961, pp. 167-170; La visita pastorale di Ludovico Flangini nella diocesi di Venezia (1803), a cura di B. Bertoli - S. Tramontin, Roma 1969, passim; F. Sandri, F.M. M. patriarca di Venezia nei primi anni della Restaurazione, tesi di laurea, Università di Padova, facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1970-71 (cui si rimanda per le fonti dell’Archivio di Stato di Venezia e dell’Archivio della Curia patriarcale); Contributi alla storia della Chiesa veneziana, VII, La Chiesa veneziana dal tramonto della Serenissima al 1848, a cura di M. Leonardi, Venezia 1986, passim; A. Ascani, Dagli inizi (1530) alla sua rifondazione (1817), in Storia religiosa della Lombardia, XII, Diocesi di Vigevano, a cura di A. Caprioli - A. Rimoldi - L. Vaccaro, Brescia 1987, pp. 45 s.; G. Vian, La Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane, in Storia di Venezia, IX, L’Ottocento e il Novecento, I, a cura di M. Isnenghi - S. Woolf, Roma 2002, pp. 650-652.
M. Gottardi