LORENZINI, Francesco Maria
Nacque a Roma il 4 ott. 1680 da Sebastiano e Orsola Maria Neria, bolognese. La famiglia del padre, fiorentina, si era trasferita nell'Urbe al seguito di Cristina di Svezia, di cui Sebastiano fu uomo di fiducia.
Il L. studiò lettere e filosofia presso il Collegio romano diretto dai gesuiti e nel 1702 entrò nella Compagnia. La scelta tuttavia si rivelò non congeniale e dopo poco meno di un anno lasciò l'Ordine, motivando la decisione con ragioni di salute. Essendosi dedicato agli studi giuridici, fu accolto tra i collaboratori dell'uditore della Sacra Rota, monsignor C. Lancetta.
Ingegno eclettico, al punto da essere ricordato da A.P. Berti come poeta, "medico, anatomico, teologo, filosofo, storico, geografo, canonico, pittore, disegnatore", il L. esordì, secondo la migliore tradizione gesuitica, come librettista di alcuni melodrammata di argomento biblico per l'Oratorio del Ss. Crocifisso, tutti impressi presso l'editore G.F. Buagni: Iahel Sisarae debellatrix (1701, rappresentato il 18 febbr. 1701), Mater Machabaeorum (15 febbr. 1704), Sedecias (15 febbr. 1704), Athalia (6 marzo 1705), Thamar vindicata (19 marzo 1706), Bethasabea (30 marzo 1708). Sempre per l'Oratorio tradusse la Diva Maria Magdalena de Pazzis del cardinale B. Pamphili (25 marzo 1707) e la Sancta Caecilia del cardinale P. Ottoboni (8 marzo 1709).
Il successo ottenuto in qualità di librettista gli valse nel 1705 l'iscrizione alla giovane Accademia dell'Arcadia, con il nome pastorale di Filacida Eliaco. La formazione giuridica, nonché una concezione razionalistica e didattica della letteratura, lo avvicinarono a Vincenzo Gravina, al punto da entrare in collisione con il gusto e gli orientamenti prevalenti nell'Accademia. Dello scisma del 1711, secondo quanto racconta D.O. Petrosellini nel poemetto satirico Il Giammaria ovvero L'Arcadia liberata (Tarquinia 1892, p. 67), il L. fu infatti uno degli artefici, tanto nel radicalizzare le rispettive posizioni, quanto poi nel convincere il cardinale L. Corsini a farsi protettore della Nuova Arcadia. Quando però tre anni dopo il partito dei giovani fondò l'Accademia dei Quirini, il L. preferì ritornare in seno al nucleo originario, mutando il nome pastorale in Filacida Luciniano.
Alla fine del secondo decennio del Settecento risale l'avvicinamento del L. alla famiglia Falconieri: gravato da una difficile condizione economica, egli sarebbe stato oggetto di una denuncia al governatore di Roma A. Falconieri. Questi, verificata l'infondatezza dell'accusa, lo avrebbe accolto tra i suoi protetti. Da tale occasione sarebbero nati i due scritti agiografici Breve notizia della vita del beato Alessio Falconieri e qualche mese dopo Breve notizia della vita della beata Giuliana Falconieri (entrambi Roma 1719 e dedicati a Clemente XI). Il L. si trovò nuovamente al centro della vita intellettuale romana nel 1728, quando, unitamente al chirurgo G. Petrioli, progettò di accrescere le tavole anatomiche di B. Eustachio. Battuto sul tempo dal botanico A. Cocchi (B. Eustachio, Tabulae anatomicae, Roma 1728), il L., di natura polemica e facile allo scontro, sospettò che questi avesse corrotto il tipografo cui lui e il Petrioli avevano consegnato il manoscritto pronto per la stampa e si scagliò contro Cocchi in una serie di mordaci epigrammi latini (Analecta variorum PP. AA. [pastorum Arcadum] in Pseudo-Lucilium, sive Typhoeum, s.l. né d.) e nel Cardo, dialogo edito con lo pseudonimo di Ignazio Carletti nel 1728 (Leyda [ma Roma]).
Il 1728 è d'altra parte cruciale per il L., che alla morte di G.M. Crescimbeni fu tra i candidati alla successione del custodiato arcadico. La votazione, che lo vide preferito a G. Bianchini, fu ritenuta non valida, mancando sei voti al quorum dei due terzi; per convalidare l'esito dello spoglio il vicecustode G. Paolucci propose e ottenne che si votasse l'abolizione dell'impedimento legale, e quindi proclamò il L. custode del Serbatoio. Ma l'evento non mancò di suscitare clamori, fino all'appello, da parte della fazione conservatrice sconfitta, al tribunale dell'Auditor Camerae. Come già per lo scisma del 1711, si trattò di un evento rivelatore delle frizioni interne all'Accademia tra il partito degli anziani, fedeli alla linea di Crescimbeni, e quello laico e riformatore che si era riconosciuto nel Gravina. La questione, come testimonia la libellistica anonima o pseudonima originata dalla lite, riguardava da vicino il ruolo dell'Arcadia: per i primi strettamente incardinata nello Stato della Chiesa e dunque vincolata al mecenatismo cardinalizio e papale, per i secondi una repubblica delle lettere laica e indipendente.
All'interno dell'Accademia, anche in ciò seguace degli orientamenti graviniani, il L. si fece promotore di una riforma della lirica incentrata sul recupero del modello umano e stilistico di Dante in opposizione alla generale propensione per i moduli cantabili e rococò degli strenui imitatori di Petrarca. Nelle sue Poesie (riunite nell'edizione postuma a cura di G.P. Cirillo, Napoli 1744; poi, "aggiornata", Napoli-Milano, a istanza di G. Bonacina, 1746) il L. interpreta originalmente le tensioni più meditative del gusto arcadico, aprendo moderatamente a un precoce sublime e al genere delle visioni di argomento religioso. Esercitò un magistero diretto anche nei riguardi dei giovani letterati romani, chiamati a recitare il giovedì nella sua abitazione di via de' Leutari componimenti latini e volgari.
L'impegno su questo fronte si combinò con l'antica passione per la scena e le lettere classiche, al punto da indurlo ad allestire in casa propria un teatro domestico, noto come Sala Latina, o Serbatoio, in cui fece rappresentare commedie plautine (Epidicus, Curculio, Menaechmi, Captivi, Miles gloriosus) e l'Eunuchus di Terenzio, nonché il dialogo ciceroniano De amicitia e la contesa tra Ulisse e Aiace per le armi di Achille (Ovidio, Met., XIII, 1-398). L'accolita, attiva tra il 1735 e il 1741, prese il nome di Accademia Latina e fu sostenuta dalla munificenza di Clemente XII e del cardinale A.S. Gentili. La caratura dei finanziatori nonché il successo ottenuto presso il pubblico romano e forestiero lasciano presupporre un impegno rappresentativo notevole, che non trascurava le risorse scenografiche e costumistiche.
All'inizio degli anni Quaranta il L., ridotto in ristrettezze economiche, trovò nel cardinale F.S. Borghese un generoso protettore: nell'offrirgli una sistemazione presso la villa di famiglia, dove il L. si trasferì nel 1741, il prelato lo mise nella condizione di proseguire i suoi studi, rivolti ormai alla lettura e alla parafrasi dei testi sacri. A questo periodo risalgono, oltre alla perduta traduzione del Libro di Giobbe, la Parafrasi del Cantico de' tre fanciulli nella fornace di Babilonia (Roma 1743), le Parafrasi delle Antifone maggiori per i giorni precedenti al Santo Natale (sette sonetti editi postumi nelle Rime degli Arcadi sulla Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, ibid. 1744, pp. 7-13), i due capitoli in terzine Adamo ed Eva (ibid., pp. 14-18, 139-144) e l'elegia Veggio un bambino candido e vermiglio (ibid., pp. 166-168).
Afflitto da una salute sempre cagionevole, il L., confortato dall'amico gesuita G.E. Carpani, morì a Roma, il 13 giugno 1743. Il cardinale Borghese provvide alle sue esequie e gli Arcadi lo celebrarono nei Componimenti degli Arcadi nella morte di Filacida Luciniano (Roma 1744).
Un'ampia raccolta delle poesie del L. è contenuta nel ms. Ferrajoli, 305 della Biblioteca apostolica Vaticana.
Fonti e Bibl.: Romanae electionis( restrictus facti, et iuris, Romae 1728; Summarium( Romanae nullitatis electionis, Romae 1728; Risposta alla Difesa di Aleffilo Aventiniano p. A. pubblicata da Carlo Giannini(, Roma 1728; Risposta alla lettera scritta in difesa dell'elezzione di Filacida Luciniano in custode d'Arcadia, Roma 1728; Replica alla risposta di Eveno Ippiano intorno all'elezzione di Filacida Luciniano in custode d'Arcadia, s.l. né d. [ma Roma 1728]; Risposta( alla replica anomala scritta in difesa dell'elezzione di Filacida in custode di Arcadia, Roma 1728; A.P. Berti, in Componimenti degli Arcadi in morte di Filacida Luciniano, Roma 1744, p. 17; F. Valesio, Diario di Roma, a cura di G. Scano, V-VI, Milano 1979, passim; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentissimi qui saeculi XVII et XVIII floruerunt, X, Pisis 1783, pp. 399-424; F.M. Renazzi, Storia dell'Università degli studi di Roma detta comunemente la Sapienza, IV, Roma 1806, pp. 135-142; A. Cametti, Il vicolo de' Leutari, in Roma, I (1923), pp. 387 s.; G. Mazzoni, L'Italia nelle poesie di Felicia Dorothea Hermans, in Giorn. stor. della letteratura italiana, C (1932), pp. 284-286; S. Franchi, Drammaturgia romana, II, 1701-1750, Roma 1997, ad nomen.