GUAZZO (Guazzi, Guaccio), Francesco Maria
Le notizie biografiche disponibili sono poche e incerte. Nato a Milano intorno al 1570, fu lettore di teologia e forse anche membro dell'Inquisizione; appartenne all'Ordine di S. Barnaba e di S. Ambrogio ad Nemus, costituitosi nel 1589 per incorporamento degli apostolini di S. Barnaba nell'Ordine santambrosiano.
Il nome del G. è essenzialmente legato a un voluminoso Compendium maleficarum, trattato di demonologia in tre libri che uscì in prima edizione a Milano nel 1608 ("apud haeredes August. Tradati", ma "apud Bernardinum Lantonum" sul colophon). La stesura dell'opera, come si ricava dalla dedicatoria, risale al 1605: il G. la dice composta durante un suo soggiorno alla corte di Cleve, dove era stato chiamato a prendere parte, in qualità di esperto, a un processo per stregoneria istruito dall'Inquisizione contro un vecchio sacerdote accusato di avere maleficiato il duca Giovanni Guglielmo di Jülich-Cleve-Berg. Fu probabilmente in questa circostanza che il G. incontrò, a Heimbach, Nicolas Remy, il famigerato procuratore generale della Lorena che fra il 1576 e il 1606 emanò più di duemila condanne al rogo. L'"oscuro frate milanese" dovette ricevere da lui non solo consigli, ma anche "incoraggiamento e plauso" per il suo Compendium (ed. 1992, p. XX), che non a caso rimanda di continuo all'ingente casistica processuale raccolta nei Daemonolatreiae libri tres (Lugduni 1595) del Remy.
Secondo i suoi biografi più recenti, negli anni compresi fra il processo di Cleve e la pubblicazione del trattato, il G. avrebbe viaggiato per l'Europa al fine di ampliare le proprie competenze professionali. Certo è che nel 1607 lo ritroviamo - in qualità di "provincialis provinciae Mediolanensis Ordinis Sancti Ambrosii ad Nemus" - sul lago Maggiore, nell'eremo di S. Caterina del Sasso Ballaro: è quanto si ricava da un atto notarile del 1° novembre di quell'anno (Motta, IlSeicento, p. 94), che lo menziona, insieme con altri quattro frati ambrosiani residenti a S. Caterina, come testimone del solenne prelievo di una reliquia - destinata, sembrerebbe, a una diocesi lorenese ("S. Nicola de Portu Lotharingiae") - dalle spoglie del beato Alberto Besozzi, fondatore semileggendario del piccolo monastero, che dalla seconda metà del XIV secolo dipendeva dall'Ordine milanese. La presenza del G. al Sasso Ballaro è del resto attestata anche negli anni successivi da una serie di documenti relativi alla vita amministrativa dell'eremo e alle relazioni patrimoniali che esso intratteneva con privati della propria giurisdizione. Il 22 genn. 1619 il G. prese parte al capitolo per la retrovendita di parte di una casa; il 7 marzo 1623 è menzionato in un atto di vendita come compratore; il 18 genn. 1624 come beneficiario di un'impegnativa (Ispra, Biblioteca privata Armocida, Raccolta Armocida, Cartacei, regesto di atti notarili relativi a S. Caterina, 1591-1635; cfr. Besozzi, 1999, p. 16).
Al G. si deve probabilmente la trasformazione primosecentesca della decorazione della saletta del capitolo di S. Caterina, come si ricava da uno stemma con un leone rampante recante la scritta "Gracie al Guaccio" sulla parete nord (Caccin, p. 21), così come l'ispirazione rigorosamente scritturistica del tema iconografico del soffitto di una delle chiese del complesso conventuale, che implica certamente "la presenza di un teologo di professione" (ibid., p. 46).
Nel 1625 uscì a Milano una Vita del b. Alberto Besozzo, dal quale ha avuto principio il luogo tanto celebre, et miracoloso di S. Caterina del Sasso Ballaro sopra il lago Maggiore, che il G. dichiara di avere scritto non solo "a gloria di Dio, e del b. Alberto, et a consolazione […] de' pellegrini, e devoti di quel luogo", "ma ancora dell'antichissima e nobilissima famiglia de' Besozzi".
L'opuscolo, composto probabilmente intorno al 1615, è infatti dedicato a un membro dell'importante casato verbanese, il canonico del duomo Ludovico Besozzi, familiare del cardinale Federico Borromeo. Si tratta della trascrizione in forme tipicamente agiografiche della vita di un oscuro eremita vissuto fra il XII e il XIII secolo nel luogo dove sarebbe poi sorto il monastero; povera di novità sostanziali rispetto alla tradizione locale e cronologicamente inattendibile e confusa - tanto da apparire ai bollandisti "oratio panegyrica […] potius, immo vere silva variarum rerum, quam narratio historica" (Acta sanctorum, p. 788) -, questa Vita non è tuttavia priva di interesse storico, in quanto il capitolo conclusivo fornisce alcuni dati interessanti sulla piccola comunità monastica santambrosiana, e soprattutto sulla gestione del culto e dei pellegrinaggi cui quest'ultima si dedicò alacremente fra la fine Cinquecento e i primi decenni del Seicento. Della Vita del b. Alberto esiste pure una ristampa tardosecentesca (Milano 1684).
Nel 1626, sempre a Milano, uscì - "ex Collegii Ambrosiani typographia" (con imprimatur concesso in data 3 febbr. 1624) - una ristampa notevolmente ampliata del trattato pubblicato nel 1608.
La struttura originaria del testo si mantiene sostanzialmente immutata nell'edizione accresciuta: tre libri suddivisi in capitoli di diversa lunghezza, ciascuno articolato in due sezioni, una teorica e definitoria (doctrina), spesso sorretta da citazioni scritturali e patristiche, e una composta di exempla antichi, moderni e contemporanei. Nel I libro (20 capitoli sia nella prima, sia nella seconda edizione) vengono fissati i punti fondamentali della materia e discusse alcune questioni obbligate, fra cui quella relativa alla natura del volo notturno delle streghe (cap. XIII), la cui realtà viene affermata con forza dal G., ben consapevole dell'importanza di tale argomento ai fini della repressione antistregonica coeva. Sempre nel I libro vengono descritte dettagliatamente, con il supporto visivo di un cospicuo numero di schematiche vignette, tutte le fasi del "pactum" diabolico (cap. VII) e del sabba (cap. XIII). Il II libro (21 capitoli nella prima edizione, 23 nella seconda) tratta principalmente "de diversis generibus maleficiorum" ("De maleficio somnifico", cap. I; "venenario", cap. III; "ligaminis", cap. IV; "incendiario", cap. V; "amoris et odii", cap. VII ecc.), senza tralasciare questioni di ordine dottrinario ("Quare Deus permittat diabolum sic grassari per maleficia", cap. X); ma vi vengono pure affrontati problemi che esulano da tale materia, come per esempio il nesso che lega, nell'ottica repressiva del disciplinamento controriformistico, il patrimonio folklorico delle credenze popolari, dei pronostici contadini ecc., alle pratiche stregonesche ("De vana observantia et superstitione", cap. XI, aggiunto nella seconda edizione). Il libro III, dedicato ai "remedia", "divina" e "naturalia", a disposizione dei "vexati" dalle streghe, è quello che subisce, nella redazione del 1626, il rimaneggiamento più massiccio (da 4 a 14 capitoli), configurandosi come "una sezione quanto mai pratica", che "si potrebbe chiamare di pronto intervento" (ed. 1992, p. XXI): si va dagli esorcismi contro le tempeste e la grandine alle benedizioni contro le infestazioni di parassiti (capp. VI-VII), dai "remedia pro domo a spectris vexata" a quelli "contra maleficia iumentorum" (capp. X-XI) e così via. Il libro si chiude con un lunghissimo "Exorcismus" composto ad hoc, seguito da una serie di formule liturgiche da impiegarsi contro le varie insidie diaboliche.
Gli studiosi hanno sottolineato la scarsa originalità dottrinaria del Compendium, che, per ammissione dello stesso autore, è essenzialmente un lavoro di scrupolosa compilazione (ed. 1626, [c. 2r]), non privo di intenti divulgativi, dinanzi all'inarrestabile progredire "di una scienza che aveva assunto, con il primo Seicento, proporzioni tali da richiedere l'aiuto di volenterosi riduttori" (La stregoneria. Diavoli, streghe, inquisitori dal Trecento al Settecento, a cura di S. Abbiati - A. Agnoletto - M.R. Lazzati, Milano 1991, p. 270). Fra le 322 auctoritates citate, il G. utilizza principalmente l'opera del prediletto Remy e le sterminate Disquisitiones magicae di M.A. Del Rio (Lugduni 1599-1600), senza tuttavia trascurare opere più antiche, come per esempio il Formicarius di J. Nider (Augsburg 1476 circa) e il tristemente celebre Malleus maleficarum di J. Sprenger e H. Institor (precedente al 1487).
Il trattato guazziano forse non fu scritto "per espresso desiderio della Curia milanese" (ed. 1967, p. XI), tuttavia la sua ristampa aggiornata (uscita, non a caso dai torchi del "Collegium Ambrosianum") dovette ricevere, da parte di Federico Borromeo, ben più che la semplice approvazione esterna dell'imprimatur, per poi rivelarsi, negli anni della peste manzoniana, uno "strumento non secondario" nell'offensiva processuale contro i presunti untori (ed. 1992, p. XXI), cui del resto lo stesso G. collaborò, pare, con alcune denunce (ibid., p. XIX). Che il trattato si prestasse ad alimentare la psicosi del contagio è del resto un dato evidente sin dalle prime pagine: proprio sull'assimilazione fra peste e arti magiche, "quasi animi morbi" dilaganti "per orbem totum" (ed. 1626, [c. 2r]) è imperniata, infatti, la dedica al conte Antonio Serbelloni.
Il documento più tardo in cui compare il nome del G. è databile intorno alla fine degli anni Trenta: si tratta di una Nota del clero che nella seconda regione può deputarsi per essorcisti (Milano, Arch. della Curia arcivescovile, Visite pastorali, Arona, XIV, 1; in Frigerio - Pisoni, pp. 348-350). In questa lista di religiosi di area verbanese idonei allo scopo il G. è designato per la diocesi di Leggiuno, in quanto residente a S. Caterina del Sasso; se ne deduce che la sua permanenza nell'eremo sul lago - sia pur inframmezzata da soggiorni presso la casa madre milanese dell'Ordine - dovette protrarsi fino al momento della morte, avvenuta intorno al 1640.
Al G. è stato pure attribuito un trattato politico uscito a Venezia nel 1643, Il delineato prencipe di Francesco Guazzo. Libri tre, ma l'attribuzione (proposta per la prima volta da M. Summers, che pensa a una pubblicazione postuma) desta qualche perplessità, non tanto per la non perfetta coincidenza del nome del frontespizio con quello del G., quanto piuttosto per il fatto che, nella dedica "Al serenissimo prencipe et eccelso Consiglio di Dieci", datata Venezia 10 ott. 1642, l'autore attribuisce a sé e ai propri antenati una devozione alla Repubblica che mal si accorda con la biografia del Guazzo.
Edizioni moderne del Compendium: trad. inglese di E.A. Ashwin dell'ed. 1608, a cura di M. Summers, London 1929 (ristampe: London 1970, New York 1970, New York-Dover-London 1988); trad. italiana parziale dell'ed. 1608, a cura di S. Jacini - P. Varani, Milano 1967 (ripresa nelle edizioni: a cura di A. Torno, Milano 1988; Genova 1990); trad. dell'ed. 1626, a cura di L. Tamburini, Torino 1992; in La stregoneria, cit., pp. 270-279 (trad. parziale del cap. XIII del libro I).
Fonti e Bibl.: F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 213; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, Mediolani 1745, coll. 713 s.; Acta sanctorum, Septembris, I, Antverpiae 1746, pp. 787 s.; T. Cavalli, La scienza politica in Italia, II, Venezia 1873, pp. 429 s. (su Francesco Guazzo); V. De Vit, Vita del beato Alberto Besozzi e storia del santuario di S. Caterina del Sasso sul lago Maggiore, in Id., Il lago Maggiore, Stresa e le isole Borromee…, II, 1, Prato 1877, pp. 37, 103 e passim; T. Bozza, Scrittori politici italiani dal 1550 al 1650, Roma 1949, pp. 188 s. (su Francesco Guazzo); H.Ch. Lea, Materials toward a history of witchcraft, New York 1957, pp. 489 s., 918 s.; M. Adriani, Italia magica. La magia nella tradizione italica, Roma 1970, pp. 335-362; M. Summers, The history of witchcraft and demonology, London-Boston 1974, pp. 81-89 e passim; A.M. Di Nola, Inchiesta sul diavolo, Bari-Roma 1979, pp. 168-170; L. Besozzi, Il beato Alberto e l'eremo di S. Caterina, in Riv. della Società storica varesina, XV (1981), pp. 153-156; P. Frigerio - P.G. Pisoni, L'esperto esorcista, in Verbanus, IV (1983), pp. 348-350; G. Bonomo, Caccia alle streghe. La credenza nelle streghe dal secolo XIII al XIX con particolare riferimento all'Italia, Palermo 1985, pp. 345-349, 516; F. Cordero, La fabbrica della peste, Bari 1985, pp. 366 s. e passim; L. Sebastiani, Culto dei santi, feste religiose e comunità nella Lombardia post-tridentina, in Verbanus, VII (1986), pp. 209 s. e passim; G. Farinelli - E. Paccagnini, Processo per stregoneria a Caterina de' Medici. 1616-1617, Milano 1989, pp. 103 e passim; G. Bosco, in Bibliotheca lamiarum. Documenti e immagini della stregoneria dal Medioevo all'Età moderna. Catalogo della mostra, Pisa 1994, pp. 172 s. (scheda biobibliografica); A.M. Caccin, S. Caterina del Sassoballaro, Gavirate 1995, pp. 21, 46 s.; A. Motta, IlSeicento, in L'eremo di S. Caterina sul lago Maggiore, Gavirate 1995, pp. 82, 92, 94; Id., Storia della storiografia, ibid., pp. 169-171; F. Pastore, La fabbrica delle streghe, Udine 1997, pp. 7 s. e passim; L. Besozzi, Il monastero di S. Caterina del Sasso Ballaro sotto il regime di S. Ambrogio ad Nemus, II, Il Cinquecento, in Riv. della Società storica varesina, XXI (1999), p. 16; R.H. Robbins, The Encyclopedia of witchcraft and demonology, New York 1959, pp. 236 s.; P. Di Gesaro, Diz. degli autori di opere di demonologia, in Id., Streghe, Bolzano 1988, p. 85.