FARNESE, Francesco Maria
Nacque a Parma il 15 ag. 1619 dal duca Ranuccio I e da Margherita Aldobrandini, figlia di Gianfrancesco, generale di S. Chiesa.
Desideratissimo dai genitori, il lieto evento venne salutato e festeggiato da "compositioni, idilli e ragionamenti" di notabili e cortigiani e, più modestamente, dai reclusi per reati minori che poterono beneficiare di un'amnistia.
A soli due anni il F. perse il padre e venne affidato al gesuita Orazio Smeraldi che diventerà suo maestro ufficiale e confessore, nonché dal 1637 rettore del collegio dei nobili di Parma. Di carattere accomodante e fragile, si dedicò allo studio del diritto e delle discipline umanistiche, con l'incombente e ingombrante presenza del potente zio cardinale Odoardo che seguì e orientò la sua formazione.
Nel 1633 il F. fu oggetto di manovre matrimoniali: il fratello duca Odoardo I, desideroso di trovare il modo di stringersi alla Francia, si attivò freneticamente in una serie di contatti altolocati nella speranza, risultata vana, di congiungerlo in matrimonio con una nipote del cardinal Richelieu. E sempre il duca, più tardi e a più riprese, si occupò concretamente della sua carriera ecclesiastica.
Interessato ad un rafforzamento della presenza romana della famiglia, cercò nel giugno 1634 di inserire il F. nella rosa dei possibili cardinali inpectore, e nuovamente, nell'agosto 1637 e nella primavera 1640, fece pressioni per far ottenere al F. la porpora cardinalizia. I tentativi fallirono miseramente per i numerosi elementi di tensione a cui non giovava certo l'insipienza e l'indolenza della personalità del Farnese. L'ostilità crescente soprattutto di Francesco Barberini, l'occupazione del ducato di Castro, le operazioni militari e l'interdizione dei Farnese dal concistoro, una inamovibile ostilità rinviarono la possibilità del F. di raggiungere il cardinalato sino alla scomparsa di Urbano VIII.
L'occasione si presentò più tardi quando, appoggiato dalla sua famiglia, poté profittare dello sdegno provocato nel papa Innocenzo X dall'avvicinamento dei Barberini alla Francia: ancora una volta, sperando in una migliore fortuna, il F. venne proposto come candidato leale e fidato alla famiglia Pamphili. Le aspettative furono finalmente esaudite dal papa che lo riservò inpectore il 14 nov. 1644, per renderne poi pubblica la nomina a cardinale diacono (10 dic. 1645), Pomposamente salutata con un solenne Te Deum nella cattedrale di Parma.
La nomina, senza titolo e senza obbligo di residenza, in realtà scatenò la volontà di ritorsione del card. G. Mazzarino che vide in ciò un tentativo spagnolo di accattivarsi i Farnese in contrapposizione alla protezione che la Francia accordava ai Barberini. La concessione del cardinalato fece pertanto maturare nel primo ministro la decisione, mancando alla parola data, di negare la protezione degli affari francesi in Curia al F., affidata invece al cardinale Rinaldo d'Este.
Questo infelice avvio della sua carriera curiale e l'inesperto grigiore dei suoi atteggiamenti fecero sì che il F. rimanesse sostanzialmente estraneo ad impegni politici sino alla morte della madre (9 ag. 1646) e a quella del fratello duca Odoardo (12 settembre). Egli, per l'occasione, fu nominato tutore del giovanissimo Ranuccio Il insieme con la vedova Margherita de' Medici. In questo periodo si attenne strettamente ad una strategia neutralista di equidistanza tra la Francia e la Spagna, confermando Iacopo Gaufrido come primo ministro e vero depositario degli orientamenti e delle conoscenze negli affari di Stato.
Il F. comunque dovette resistere alle pressioni di quest'ultimo per una dichiarazione apertamente filofrancese e, nell'aprile 1647, all'offerta avanzata dall'ambasciatore B. Du Plessis-Besançon di una pensione di 20.000 scudi in cambio di una devozione certa al primo ministro francese. La delicatezza di una fase che vedeva la spedizione navale contro lo Stato dei presidi e l'ipotesi di un'occupazione di Orbetello e Portolongone come chiara ripresa della volontà mazzariniana di creare una diversione italiana alla guerra, allo scopo di complicare ed aggravare ulteriormente gli oneri della crisi militare e politica della Spagna, gettarono spesso il F. in uno stato d'animo colmo d'incertezze che finì per paralizzare ogni iniziativa.
Indaffarato in cose più grandi di lui, controllato dal Gaufrido che segretamente intavolava accordi, il F. concesse il permesso di transito alle truppe francesi provenienti dal Piemonte, senza però pronunciarsi esplicitamente a favore del Mazzarino. Si recò a Castro per sovrintendere e provvedere alla meglio alle fortificazioni e per preparare il presidio ad eventuali aggressioni di truppe straniere. Rimase spesso inascoltato e venne ritenuto un interlocutore precario per via di una salute minata da un male ignoto ma in evidente e rapida progressione. Il F., in una corte che dava sempre più segni di una inarrestabile decadenza, poteva contare nel 1647 su un'entrata annua di 22.392 ducatini. Morì a Parma il 12 luglio 1647 "all'ora prima di notte" non ancora ventottenne, con il desiderio, esaudito, di una sepoltura in forma privata nella tomba di famiglia del convento parmense dei cappuccini.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Parma, Casa e corte Farnesiana, s. 2, b. 29, fasc. 9; Mémoires de Du Plessis-Besançon, a cura di C. P. M. Horric de Beaucaire, Paris 1892, pp. 240, 242, 246, 251-255, 263; F. Testi, Lettere, a cura di M. L. Doglio, Bari 1967, I, p. 486; II, pp. 202, 218, 333, 752; III, pp. 368, 397; Gride e bandi del Seicento a Piacenza, a cura di D. Zancani, Piacenza 1985, p. 53; G. Carabelli, Dei Farnesi e del ducato di Castro e Ronciglione, Firenze 1865, pp. 138, 147, 163; G. Capasso, Il collegio dei nobili di Parma, Parma 1901, pp. 32, 36; F. de Navenne, Rome et le palais Farnèse pendant les trois derniers siècles, I, Paris 1923, pp. 178 ss.; G. Drei, I Farnese. Grandezza edecadenza di una dinastia italiana, Roma 1954, pp. 207, 213, 218; L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 1, Roma 1961, pp. 143, 160; G. Moroni, Diz. di erud. storico-eccl., XXIII, p. 214; LI, p. 230; P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, p. 28; Dict. d'hist. et de géogr. eccl., XVI, coll. 617 s.