CARPANI, Francesco Maria
Nacque a Milano dal marchese Bartolomeo intorno al 1705. Il suo casato, benché di antica origine (figura gia in una matricola dei nobili milanesi compilata nel 1277 per ordine di Ottone Visconti), non è compreso nel novero delle famiglie ascritte al decurionato nel secolo XVIII: forse a causa della nascita illegittima dell'avo di Francesco, che nel 1680 dovette addivenire ad una transazione con la Regia Camera per poter conservare il titolo e i beni feudali di Cassano Albese (nella pieve d'Incino) o forse per la ristrettezza del patrimonio familiare, cui il C. stesso accenna in varie occasioni.
Nulla sappiamo della sua giovinezza e della sua formazione culturale. Il titolo di dottore attribuitogli in qualche documento fa pensare a studi universitari probabilmente di indirizzo giuridico; ma ben presto il suo interesse, stimolato anche da viaggi compiuti in Italia e all'estero, si volse ai problemi dell'economia e del commercio.
Nel 1743 doveva essere già in fama di esperto in tali materie se il plenipotenziario austriaco Gianluca Pallavicini, che lo aveva conosciuto a Genova lo interpellò sulla possibilità di approvvigionare l'annata imperiale, con le eccedenze della produzione agricola lombarda. E i consigli del C., che aveva a disposizione "tutte le stime e le misure", non sarebbero stati estranei alla decisione di riprendere la grande opera del catasto (interrotta nel 1733) presa dallo stesso Pallavicini dopo la sua nomina a governatore dello Stato di Milano.
L'attuazione di questa fondamentale riforma, nelle condizioni di stabilità create dalla pace di Aquisgrana, comportava un profondo riordinamento amministrativo e finanziario e apriva nuove prospettive di inserimento a un uomo come il C., rimasto finoallora escluso dalle cariche pubbliche. Fu indubbiamente con tali aspettative che egli stese una Memoria sulle condizioni economiche dello Stato di Milano nel 1754.
Questa opera, come scrive il Vianello, "nonostante il metodo farraginoso e disordinato con il quale è compilata e il fondamento puramente soggettivo delle deduzioni, rappresenta il primo originale contributo d'indagine statistica e il primo tentativo di bilancio commerciale dello stato, con il quale si inaugura per la Lombardia un periodo particolarmente fecondo di studi economici".
Nella primavera del 1756, il C. partì per Vienna a cercarsi appoggi in alto loco (come farà di lì a poco Pietro Verri) portando nella valigia un suo piano di riforma del Banco di S. Ambrogio, il celebre istituto di credito eretto a Milano nel 1593 con lo scopo di "somministrare partite di denaro ne' bisogni camerali".
Durissime accuse il C. rivolgeva contro l'oligarchia patrizia che ne aveva monopolizzato l'amministrazione, trasformandolo in una sorta di "repubblica economica, che si è impossessata de' dazi delle vittovaglie, delle quali nel 1754 aveva le più preziose regalie della città… la di cui entrata montava a un millione ed ottocento mille lire" e accordando arbitrarie esenzioni "a' decurioni, alle famiglie potenti, ed a tutti gli inservienti del Banco"; e proponeva la nomina di un ministro regio che ne assumesse la direzione, con la facoltà di rivendicare allo Stato la gestione delle imposte indirette, le cosiddette "regalie" (cfr. "Serie de' servizi": Arch. di Stato di Milano, Tribunali e Uffici regi, p. a., 699).
Ma anche un altro grandioso disegno era germinato nella fertile mente del Carpani. Sappiamo dai dispacci del residente veneto a Milano che egli "nel suo cammino si arrestò qualche tempo in Venezia senza apparenza che di suo diporto", informandosi però "assai del veneto commercio e delle relazioni di ogni genere con Trieste. Onde menò il progetto, che seco recò alla corte imperiale, qual si assicura tendente al vantaggio del commercio di Trieste e reciprocamente di quello della Lombardia austriaca, non senza discapito del veneziano". Si trattava già con ogni evidenza dell'idea, che sarà ripresa dal C. in anni più tardi, di un collegamento per via d'acqua tra Milano e Vienna, tra la valle del Po e il bacino del Danubio.
A Vienna questi audaci progetti suscitarono un certo interesse, incontrandosi con le direttive asburgiche della lotta contro i privilegi e i particolarismi locali e del rafforzamento economico e commerciale dei territori soggetti. Ma proprio in quel momento lo scoppio di un nuovo grande conilitto, la guerra dei Sette anni, doveva assorbire a lungo le forze della monarchia e consigliare il rinvio di troppo vaste e dispendiose misure.
A dire del C. il piano di riforma del Banco di S. Ambrogio, presentato al duca Tarouca da Sylva presidente del Consiglio d'Italia, fu "letto in pieno Consiglio ed approvato e sottoscritto dallo stesso Presidente". Poco dopo però il Consiglio d'Italia venne soppresso e il C., ricevuto il 2 ag. 1756 in udienza da Maria Teresa, fu da lei indirizzato al Kaunitz "dichiarato soprintendente degli affari d'Italia".
"Il principe di Kaunitz - sosterrà più tardi il C. - mi ha tenuto in Vienna più di tre mesi dicendomi tutte le sere che voleva parlare con me, ma obbligato ad andare all'armata dopo la battaglia di Praga, ritornato mi disse che non essendo possibile di ascoltarmi, che sarei con tutto questo contento di lui avendo già scritto a Milano, e che dovessi dirigermi al conte Cristiani". Ma ecco che sul più bello lo sfortunato progettista cadde ammalato, e fu costretto "a passar tutto l'anno 1757, essendosi portato per rimettersi col conte Guglielmo Zinzendorf, che lo onorava della sua amicizia, alla sua villa dell'Austria superiore".
Solo nella primavera del 1758 poté riprendere la via dell'Italia. Si diresse dapprima a Firenze, per motivi a noi ignoti, poi rientrò in patria e - sono le sue parole - "andò direttamente a discendere alla casa del conte Cristiani, che lo accolse con tutta la più buona grazia, assicurandolo che sarebbestato impiegato". Ma subito dopo (3 luglio 1758) il Cristiani moriva, e al povero C. non rimase che cominciare tutto da capo col nuovo plenipotenziario austriaco, il conte di Firmian, che giunse a Milano l'anno seguente. Ne ebbe solo buone parole e promesse vaghe; e attribuiva l'insuccesso, oltreché alla scomparsa dei Cristiani, all'inimicizia di Luigi Giusti, segretario aulico e dal 1762 referendario a Vienna per gli Stati d'Italia. Ma alla diffidenza delle autorità nei suoi confronti non doveva essere estranea la scoperta, avvenuta nel 1756, di una loggia massonica milanese cui il C. era affiliato insieme ad altri nobili.
Il suo dramma, in realtà, fu di essersi presentato sulla scena troppo presto, quando ancora le condizioni non erano mature per una decisa azione riformatrice, e di essersi poi trovato dinanzi nuove e più fresche energie intellettuali, pronte a riprendere la battaglia con una più larga visione dei problemi, con un più moderno bagaglio culturale che le poneva in sintonia con le correnti avanzate dell'illuminismo europeo. Significativi sono l'accusa da lui lanciata al questore marchese Pellegrini, fin dal 1759. di avergli "rubati i suoi lumi di commercio e l'idea del suo progetto", e il giudizio di Pietro Verri, in una lettera ai fratelli del 20 dic. 1760: "in Milano non vi sono altri lumi che quei della pratica curiale… Tutto è in mano dei dottori, i quali imbevuti delle opinioni del tempo di Bartolo, veramente o non hanno idea dell'economia politica, o ne hanno di tali che sarebbe meglio il non averne. Il marchese Carpani anni sono ha veduto questo pertugio per dove uscire, ma si è smarrito per troppa imprudenza; non saprei nemmeno s'egli avesse i principii capaci di produrre una ragionevole riforma".
Poco più di un anno ancora, e la rivalità latente tra l'ormai anziano marchese e i giovani soci dell'Accademia dei Pugni, che si andava allora formando, esplodeva in una rumorosa polemica. Il disordine monetario - endemico nello Stato di Milano dove le proporzioni ufficialmente stabilite tra l'oro e l'argento e tra le varie monete non rispondevano più ai rapporti reali e favorivano così la rarefazione del numerario e l'attività degli speculatori d'ogni risma - aveva attirato negli ultimi tempi l'attenzione di uomini di primo piano come Pompeo Neri e Gian Rinaldo Carli; e parve al Verri un campo adatto per cimentarvi l'ingegno dell'amico Cesare Beccaria, in preda a una grave crisi familiare e finanziaria. Non appena ebbe sentore dell'iniziativa, il C., che "vorrebbe avere in monopolio le materie economiche ed è geloso che alcuno osi, di parlarne" (come scriveva P. Verri), si precipitò a stampare (marzo 1762) una Risposta ad un amico sopra le monete:proponeva per uscire dal caos monetario una generale rifusione del circolante e la creazione di una moneta nazionale il cui valore nominale doveva corrispondere esattamente al titolo metallico. Inutile e costoso era giudicato il rimedio da P. Verri, che subito scrisse un Dialogo tra Fronimo e Simplicio a illustrazione e difesa del saggio di Beccaria, insieme al quale fu pubblicato nel luglio di quell'anno. Ma quando ebbe, tra le mani il libretto Del disordine e de' rimedj delle monete nello stato di Milano, il C.scoprì subito nelle tabelle che lo corredavano un grossolano errore, proveniente dall'aver creduto il Beccaria (e con lui il Verri) che i grani di fino contenuti nelle varie monete rappresentassero dovunque un identico peso; e si affrettò a denunciarlo, trionfante, in un manifesto a stampa fatto diffondere nel luglio del 1762.
Difficile era replicare su questo terreno, e i due amici preferirono passare al contrattacco con la diffusione di un foglio volante in cui il C. era accusato di aver tolto di peso dalle opere di Carli e Cantiffon oltre la metà delle pagine che componevano il suo lavoro.
Mentre il C. tentava una goffa difesa in una seconda ediz. della Risposta, con una Seconda lettera dell'autore (ag. 1762), entrava in lizza anche Alessandro Verri con una gustosa parodia dello stile "contorto, cruschevole e stentato" e delle argomentazioni curiali proprie di quanti propendevano "a favore degli scritti confusi di C. contro la luminosa scrittura di Beccaria". Non ancora pago, il maggiore dei Verri volle assestare al nemico il colpo di grazia mettendolo alla berlina ne Il Gran Zoroastro, ossia astrologiche osservazioni su i veri principj della scienza monetaria in soccorso della Risposta ad un amico (Lugano 1762). Sul piano scientifico, la battaglia si concludeva senza vincitori né vinti, giacché nessun artificio polemico poteva nascondere l'abbaglio preso dagli uni né i plagi cui nella fretta era ricorso l'altro; ma aveva messo in luce un incolmabile stacco di generazione, un palese divario di cultura, di mentalità e di stile pur nella sostanziale consonanza delle critiche all'assettovigente.
Il C., tuttavia, non si perdeva d'animo. Quello stesso anno 1762, il 4 maggio, sottoponeva al Kaunitz un piano tendente a sanare il grave dissesto finanziario dello Stato di Milano e a metterlo in grado di sopperire alle richieste di denaro della monarchia, esausta dalle spese belliche.
Le cause profonde del malessere non andavano secondo il C. cercate nella povertà naturale del paese, come sostenevano le magistrature interessate alla conservazione dei loro privilegi, bensì in primo luogo nella cattiva distribuzione della ricchezza (un terzo della quale era concentrata nelle mani degli ecclesiastici), e in secondo luogo nei "debiti immensi della città e stato di Milano", nelle "alienazioni fatte delle regalie a molti privati", negli "illeciti guadagni" che l'oligarchia dominante traeva dall'amministrazione dei quattro banchi cittadini e in particolare del Banco di S. Ambrogio, per il quale l'autore tornava a proporre la nomina di un unico controllore regio.
Evasiva fu la risposta del ministro austriaco, che "dovendo rivolgere tutti i suoi pensieri alla difesa ed alla gloria della monarchia" pregava il C. "di riserbare ad altre circostanze i di lui suggerimenti" (Lombardei Korresp., 258).
Meno di due anni dopo un'altra occasione di confronto e di scontro con il gruppo del "Caffè" fu offerta al C. dal Bilancio commerciale per lo stato di Milano di P. Verri (Milano 1764), che sulla base dei dati dei registri doganali sosteneva l'esistenza di un deficit di quasi 10 milioni annui. Le tesi del Verri incontrarono l'interessata opposizione dei fermieri, che mossero a confutarlo il senatore Muttoni, il conte Carli e lo scrittore Giuseppe Baretti. Nel suo Bilancio dello stato di Milano, col quale a priori si fa la dimostrazione del suo attivo commercio (scritto nel 1764, ora in Vianello, 1942) il C.obiettò al Verri la difficoltà di "presentare un bilancio rigoroso, sempre vario e incostante come li governi e l'industria degli uomini", basandosi sull'andamento delle esportazioni e delle importazioni di un solo anno, e gli rimproverava di non aver tenuto conto di entrate "invisibili" come le rimesse degli emigrati.
D'altronde, osservava il C., "senza miniere, senza zecca, con una voragine di nove milioni di debito, come potressimo ancora contare un soldo neppure di rame?". Come avrebbe potuto crescere la popolazione e diminuire il saggio d'interesse del denaro? Miglior metodo e più sicuro pareva al C. quello di calcolare l'eccedenza della produzione agricola destinata all'esportazione, sulla base non già delle infedeli notifiche dei proprietari, ma delle misure e delle stime del nuovo catasto. Si arrivava per questa via, attraverso diversi procedimenti, ad un'unica conclusione: la Lombardia esportava derrate per un valore quasi doppio del 13 milioni o poco più calcolati dal Verri, e, lungi dall'essere passiva, la bilancia commerciale doveva registrare un attivo di circa 3 milioni.
Le valutazioni ottimistiche del C. erano senz'altro più gradite alla corte di quelle catastrofiche del Verri, che si ebbe infatti una solenne reprimenda dal Kaunitz; eppure fu il secondo, e non il primo, ad avere un posto nel Supremo Consiglio di economia eretto nel 1765. E invano il C. premeva sul Firmian e sul Kaunitz perché fosse adottato il suo progetto di redenzione delle regalie o perché gli fosse attribuita la carica di presidente del Magistrato di commercio rimasta vacante dopo la giubilazione del marchese Cavalli. Di natura solo temporanea furono le incombenze avute nel 1764, allorché fu incaricato di esporre le ragioni delle perdite registrate dalla moneta austriaca sul mercato dei cambi, e nel 1767, quando gli fu affidata l'ispezione dei luoghi pii in dodici parrocchie milanesi e nelle pievi di Incino e Valassina. Nessuna meraviglia che lo cogliesse a volte lo scoramento: "Carpani è il Taylor della politica, e ormai maledice questo studio, perché dispera di potervisi più distinguere", scriveva Pietro Verri il 18 apr. 1770, reso ormai longanime dal successo (già nel '66 aveva inviato il bilancio del C. insieme al proprio in lettura al Morellet). Proprio allora, invece, la diuturna applicazione del C. ai problemi della finanza e dell'economia riceveva tangibili riconoscimenti ufficiali. La caparbia resistenza alle riforme dell'oligarchia patrizia, che nel 1766-67 aveva assunto toni di insurrezione aperta, aveva convinto il governo austriaco della necessità di neutralizzarne i residui centri di potere e di mobilitare a sostegno di questo sforzo tutte le energie locali che apparissero disponibili. Cadeva perciò particolarmente opportuna la proposta avanzata dal C. nel 1768 o 1769 in un suo Discorso sopra la necessità di un Controllore, e dell'incomberenza del medesimo (Archivio di Stato di Milano, Commercio, p. a., cart. 3) di concentrare in due ministri regi, uno per lo Stato di Milano e l'altro per il Ducato di Mantova, il compito di svolgere inchieste sulle attività economiche e sullo stato delle finanze, di elaborare piani di riforma, e di fronteggiare le situazioni di emergenza. "La Controlloria generale - osservava il marchese in una seconda redazione del progetto - suggerirà anche un'altra necessaria providenza, che è un Controllore per le casse civiche, e quelle de' luoghi pii, che dimandan una riforma di amministrazione e di percezione". Scrivendo al Kaunitz il 23 sett. 1769, il Firmian, che aveva preso a proteggere il C. e lo invitava spesso alla sua tavola (dove lo incontrò il viaggiatore inglese John Symonds), proponeva senz'altro di affidare a lui quest'ultimo incarico, insieme alla "Controlloria dello stato di Milano". La controproposta del Kaunitz di nominare un regio delegato che presenziasse alle sedute del Tribunale di provvisione trovava favorevole il plenipotenziario, che temeva però la reazione del patriziato qualora si fosse prescelto per tale carica il C., "giacché quantunque egli sia uomo di talento, di attività, di zelo, ed attaccato al Principe… tuttavia per esser egli assai libero e franco nel parlare, è piuttosto temuto, che amato da buona parte della nobiltà".
Al C. venne quindi preferito un uomo meno inviso al ceto decurionale, Luigi Trotti. Ma sia il Kaunitz che il Firmian erano ormai moralmente impegnati a trovargli una sistemazione, e così quando si rese vacante un posto nel Supremo Consiglio di economia, nell'estate del 1770, il cancelliere pensò subito a lui; la nomina ufficiale giungeva da Vienna col dispaccio reale del 29 apr. 1771.
Animato dal successo che finalmente gli arrideva, l'anziano marchese moltiplicava frattanto i propri sforzi per mettersi in buona luce. Il soggiorno in Lombardia dell'imper. Giuseppe II (1769) gli ispirava i tre Discorsi sullo stato di Milano (Ibid., Uffici civici, p. a., 128, ora in Vianello) dove le valutazioni espresse nel Bilancio del 1764 sono riprese in un più ampio quadro di riferimenti storici e di interessi culturali (notevoli tra gli altri quelli dei fisiocratici e del Genovesi) e con più chiara consapevolezza dei legami tra problemi economici e sociali (non mancano accenni alle misere condizioni del contadino lombardo, "che in mezzo a tanta ricchezza è forse il più povero d'Europa"). Nel 1770 fu steso probabilmente il Progetto di un piano di polizia (Ibid.), in cui grande rilievo assume la questione del pauperismo, esaminata con dovizia di dati quantitativi. L'anno seguente infine, in occasione della chiamata a Vienna del Firmian per cooperare alla riforma delle magistrature lombarde, il C. gli affidava un Discorso storico dell'origine e cambiamento del Consiglio dei LX Decurioni (ed. Vianello), forse il più lucido e appassionato dei suoi scritti, quello in cui le conoscenze tecniche e la ricerca dei precedenti storici meglio si saldano con una polemica volontà di denuncia dell'egoismo e della corruttela dell'ordine patrizio, "che da due secoli dispone del prezzo del pane, delle mete delle carni e dei commestibili, approfittando di queste per vendere meglio i propri frutti e per affittare più care le proprie case a' prestinari e macellari, postari e salsamentari, avendo estesa la sua autorità sul patrimonio dei poveri con perpetuare la deputazione de' più ricchi luoghi pii nelle famiglie decurionali".
In conseguenza della ristrutturazione decisa a Vienna nel settembre 1771, il C. entrava a far parte del nuovo Magistrato camerale (che ereditava le funzioni del precedente organo di questo nome e del soppresso Supremo Consiglio di economia) col soldo di 10.000 lire annue e col compito di sovraintendere in particolare agli affari di commercio, di strade e confini.
Il C. aveva sessantacinque anni suonati; l'età e la cattiva salute gli impedivano ormai di poter esplicare nel suo lavoro l'assiduità e lo zelo di cui sarebbe stato certo capace: "Carpani da più mesi è a letto con cento mali di fistole e simili all'…; pover'uomo, dacché è consigliere, è affatto distrutto", informa ancora Pietro Verri il 20 maggio 1772; ed egli stesso ammette in una supplica di non aver "potuto a principio frequentare il regio Magistrato stante le sue indisposizioni". Pure anche così ridotto, nell'impossibilità di uscir da casa per lunghi periodi, non si stancava di raccoglier dati, di stendere consulte, di escogitare progetti, di chiedere perfino, un ampliamento delle proprie mansioni.
Uno dei primi compiti come consigliere era stato l'incarico datogli il 4 luglio 1771 dal presidente Carli di esaminare un progetto sulle monete del collega Lottingher. L'ampia consulta del C. dimostra ancora una volta la sua competenza tecnica e la sua non comune conoscenza della letteratura sull'argomento, ma non porta contributi nuovi alla soluzione dell'annosa questione, riproponendo come rimedio la riapertura della zecca e la rifusione del circolante in modo da porre fine alla disparità tra rapporti nominali e rapporti reali nei valori delle monete.
Ma due oggetti soprattutto occuparono la sua attenzione in questi ultimi anni. Uno fu la ripresa e lo svolgimento del vecchio proetto di collegare Milano a Vienna con un sistema di navigazione fluviale e marittima da realizzarsi, per la parte italiana, col potenziamento del porto austriaco della Mesola e con la canalizzazione del torrente Delmona, tra l'Adda e l'Oglio, così da sfuggire ai gravosi dazi modenesi e parmensi sul Po. Convinto, come sempre, della bontà delle proprie idee, l'anziano consigliere non esitò a svolgere di persona sopralluoghi nel Cremonese e a stampare il risultato delle sue riflessioni e osservazioni col titolo: Descrizione della Monarchia austriaca, che serve d'introduzione al progetto di rendere la Delmona navigabile dall'Adda all'Oglio, con cui si potrebbe pensare all'unione del commercio e delle nazioni suddite di qua, e di là dell'Adriatico, e delle due valli Danubio, e Po (s.n.t., ma Milano 1772).Una copia ne inviava al Kaunitz, il 25 ag. 1772, e lo tempestava di lettere nei mesi successivi, respingendo sdegnosamente le obiezioni dei critici (tra cui Paolo Frisi) come quelle di "geometri più metafisici, che fisici e reali".
Un altro problema di grande attualità era in quegli anni l'aumento sensibilissimo dei prezzi. Ed ecco il C., invece di collaborare col Beccaria nella preparazione di una consulta per conto del Magistrato, chiudersi in casa a stendere un proprio piano d'annona in cui, con grande sfoggio di calcoli e tabelle, dimostrava ancora una volta infondati i timori di un'insufficienza del prodotto agricolo nazionale e attribuiva il rincaro agli accaparramenti, al contrabbando e al monopolio esercitato dai panificatori; come rimedio proponeva un sistema di notifiche e di acquisti pubblici che assicurasse gli approvvigionamenti ai mercati cittadini e lasciasse per il resto completa libertà di commercio e di esportazione. Anche di questo progetto il C. curava la diffusione a stampa, e ne sollecitava più volte l'esame al Firmian e ai colleghi del Magistrato camerale: costoro, pronunciandosi alfine il 14 marzo 1774, elogiarono "le storiche cognizioni dell'Autore" e la perspicacia de "i minuti calcoli co' quali giustifica il suo assunto", ma non senza ragione osservavano che restava da sapersi come ottenere notifiche fedeli e come trovare il denaro per i "grandiosi acquisti" da lui immaginati.
La garbata ironia sottesa a tali giudizi ci fa capire come il C. fosse ormai considerato un sopravvissuto, e come nella sua smania di far progetti si tendesse a vedere più che altro un'innocua fissazione senile. Perfino sul letto di morte il C. si sarebbe posto "a dettare… un progetto al frate suo fratello" secondo quanto riferisce Pietro Verri commentandone la scomparsa, avvenuta a Milano il 13 apr. 1777.
Fonti e Bibl.: La data di nascita del C. si desume da Carteggio di P. e di A. Verri, a cura di F. Novati-E. Greppi-P. Giulini-G. Seregni (Milano 1910-1942, IX, pp. 21-22), che è ricco di riferimenti alla sua figura e alla sua attività (cfr. Indices).Per le notizie sulla sua famiglia cfr. Milano, Archivio storico civico, Famiglie, cartt. 378, 379; F. Calvi, Il patriziato milanese, Milano 1865, p. 91; E. Casanova, Dizion. feudale delle provincie componenti l'antico Stato di Milano, Milano 1930, pp. 21, 28, 47. A partire dal 1743 disponiamo di un vero e proprio curriculum vitae (intitolato "Serie de' servizi prestati dal marchese Carpani a Sua Maestà") compilato dal C. al tempo della sua giubilazione, nel 1776, e conservato nell'Arch. di Stato di Milano, Uffici e Tribunali Regi, p.a., 699. Sui rapporti col Pallavicini cfr. anche Vienna, Hofkammer Archiv, Ital. Dep., K VIII 36 1/2. La Memoria del 1754 è ristampata da C. A. Vianello nella raccolta da lui curata Economisti minori del Settecento lombardo, Milano 1942, pp. 1-23, accanto ad altri scritti del C. Sull'affiliazione del C. alla massoneria v. C. Francovich, Storia della Massoneria in Italia. Dalle origini alla Rivoluzione Francese, Firenze 1974, ad Ind.Sul soggiorno viennese del 1756-58, oltre alla "Serie dei servizi" cit.: Vienna, Haus- Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, 109 (lettera di Kaunitz a Cristiani del 16 sett. 1757); Archivio di Stato di Milano, Uffici e Tribunali Regi, p.a., 215-216 (lettere del duca da Sylva Tarouca a Corrado de Olivera e al Cristiani datate Vienna, 3 maggio, 29 luglio e 2 ag. 1756); Ibid., 699; Arch. di Stato di Venezia, Senato Secreta, Dispacci Milano, filze 200 e 202. Il commento di P. Verri del 20 dic. 1760 si legge in Lettere e scritti ined. di P. e di A. Verri, a cura di C. Casati, Milano 1879, I, pp. 136 s. (altri accenni al C. ibid., pp.157, 165, 178 s.). Sui problemi dell'economia lombarda e sul Banco di S. Ambrogio in particolare, cfr. B. Caizzi, Industria, commercio e banca in Lombardia nel XVIII secolo, Milano 1968, e A. Cova, IlBanco di S. Ambrogio nell'econ. milanese dei secc. XVII e XVIII, Milano 1972, che però citano del C. solo i saggi pubblicati dal Vianello. La querelle sulle monete del 1762 è riassunta dal Vianello nell'introd. a Economisti minori, cit., p. LIII, e in quella a La riforma monetaria in Lombardia nella seconda metà del '700, Milano 1939, pp. IXXII, dove è inoltre pubblicato (a pp. 217-257) il Discorso sopra le monete del 1771-72; per una definitiva messa a punto cfr. ora L. Firpo, Ilprimo saggio di Beccaria, in Riv. stor. ital., LXXVI(1964), pp. 671-706, che è il solo lavoro a occuparsi diffusamente del C. e a tratteggiarne la figura con intelligente penetrazione (cfr. però i cenni di F. Venturi, Settecento riform., Torino 1969, ad Ind.), Ilpiano inviato dal C. al Kaunitz nel 1762 è contenuto, insieme al successivo carteggio fino al 1773, in un fascicolo a Vienna, Haus-, Hof- und Staatsarchiv, Lombardei Korrespondenz, 258. Sui contrapposti bilanci del 1764, oltre alle fonti e agli studi già cit., cfr. l'introd. di L.Einaudi a I due primi bilanci del commercio estero dello Stato di Milano, in Atti dell'Accad. delle scienze di Torino, LXVI(1930-31), 2, pp. 457-562 e P. Verri, Consideraz. sul commercio dello stato di Milano, a cura di C. A. Vianello, Milano 1939. Per i rapporti tra il C. e il fermiere Groppi cfr. la lettera (giugno 1764) del primo al secondo in Arch. di St. di Milano, Dono Greppi, busta 30; per l'amicizia con Morellet la lettera di quest'ultimo a Beccaria pubblicata da F. Venturi nella sua ediz. di Dei delitti e delle pene, Torino 1965, pp. 348, 359. Il Discorso sopra la necessità di un controllore è inedito in Arch. di Stato di Milano, Commercio, p.a., cart. 3; attribuito al 1762 dal Vianello (Economisti minori, cit., p. XIV), è invece da ritenersi posteriore al 1767dato che contiene riferimenti alla visita dei luoghi pii compiuta dal C. quell'anno, come sirileva dalla "Serie dei servizi" edall'Arch. di Stato di Milano, Luoghi pii, p.a. cart. Lostesso scritto e una sua versione successiva, intitolata Discorso sopral'incumbenzadi un controllore generale, anche Ibid., Uffici civici, p. a., cart. 128; ivi pure copie dei tre Discorsi sullo stato diMilano pubblicatida Vianello in Economisti minori, cit., e il Progetto d'un piano di polizia; v. anche la cart. 135dello stesso fondo per il carteggio Firmian-Kaunitz intorno alle proposte del C. Sui rapporti col Firmian interessante la testimonianza cit. in M. Ambrosoli, John Symonds. Agric. e polit. in Corsica e in Italia(1765-1770), Torino 1974, p. 48.Sulla carriera come consigliere, molti doc. in Arch. di St. di Milano, Uffici e Tribun. Regi, p.a., cartt. 2, 222, 687, 699, 885. Il piano annon. redatto nel 1773è stato pubblicato dal Vianello, sulla scorta di un ms. della Bibl. Ambrosiana di Milano, in Considerazioni sull'annona dello Stato di Milano nel XVIII sec., Milano 1940, pp. 175-188;un'altra copia, con molte varianti, è in Archivio di Stato di Milano, Annona, p.a., cart. I, fasc. 13, insieme al carteggio relativo (fasc. 12); il C. stesso, infine, ne stampò una versione riveduta e aggiornata col titolo: Estratto di un discorso per la riforma dell'annona milanese presentato all'occasione de' prezzi raddoppiati in quattro anni nello stato di Milano dal 1770 al 1773 (s.n.t., ma Milano 1774).