MARATTI (Moratti), Francesco
Nacque probabilmente nel 1669 (in base all'età dichiarata nell'atto di morte); il luogo di nascita è generalmente individuato nella città di Padova, dove avvenne la sua formazione artistica e dalla quale prese l'appellativo di Padovano.
Il tirocinio come scultore ebbe luogo nella bottega del genovese F. Parodi, impegnato nella basilica del Santo; una diretta collaborazione con Parodi avvenne con tutta probabilità, come ricordano fonti locali (G. Ferrari, in Faccioli), per il Monumento del conte Orazio Secco, intorno al 1686. Al giovane M. si ascrive la figura dell'uomo seduto su una corazza nell'atto di strozzare un serpente.
Almeno dal 1692 il M. fu a Roma, dove la prima notizia della sua presenza risale alla partecipazione al concorso bandito dall'Accademia di S. Luca, in cui si affermarono due allievi di Parodi: il 25 gennaio di quell'anno i premi della prima classe di scultura furono assegnati al primo posto al genovese A. de' Rossi e al terzo a "Francesco Murati di Padua" (Cipriani - Valeriani).
Dal 1693 si registrano pagamenti a favore del M. da parte del principe Livio Odescalchi per la tomba di Innocenzo XI eseguita da P.É. Monnot, in parte su disegni di Carlo Maratti (Maratta). La collaborazione è confermata da un modello della tomba, con figure in cera, segnalato nell'inventario dei beni del M. (in Marchionne Gunter); alla fase di progettazione potrebbe riferirsi il bozzetto in terracotta del Museo del Palazzo di Venezia, tradizionalmente ascritto a P. Le Gros, solo di recente attribuito da Walker al M. e collegato a un pagamento ricevuto il 7 genn. 1696.
La prima importante opera romana fu per l'altare di S. Ignazio di Loyola nella chiesa del Gesù, grandiosa impresa diretta da A. Pozzo in cui si affermarono scultori francesi e alcuni giovani che proponevano un'alternativa agli imperanti modelli berniniani. L'incarico per le due coppie di angeli destinati alle pareti laterali era stato affidato a C. Rusconi, che eseguì gli angeli sotto l'organo nella parete destra, e a P. Papaleo, che rinunciò all'incarico; la commissione per la parete sinistra passò quindi al M. (angelo a destra) e a L. Ottoni (angelo a sinistra).
Il marmo fu consegnato nello studio del M. nel palazzo di S. Marco il 12 marzo 1697 e il saldo, per complessivi 325 scudi, fu pagato il 20 nov. 1699 (Enggass). Contemporaneamente il M. eseguì altri due angeli in stucco per il timpano dell'altare maggiore di S. Maria in Vallicella; pagati 80 scudi il 10 luglio e il 13 ott. 1698, furono realizzati seguendo i disegni di Rusconi, responsabile del completamento della decorazione plastica della navata (Dunn).
Poco dopo il M. realizzò il S. Francesco di Sales e l'angelo per l'omonima chiesa di Trastevere (ora nel monastero della Visitazione di via Galla Placidia), commissionat0 dall'impresario di marmi Giovan Domenico Transi, padre di due monache visitandine; il M. firmò il contratto il 25 genn. 1699; il gruppo scultoreo, costato 575 scudi, fu terminato tra la morte di Transi (20 dic. 1700) e la consacrazione dell'altare (29 genn. 1701). Considerato il suo capolavoro, il S. Francesco di Sales inaugura un trattamento delle superfici di una liquidità lievemente increspata e una raffinata teatralità, raggiunta anche grazie al confronto con i modelli pittorici di C. Maratti.
Il pieno inserimento nella vita artistica romana fu sancito dall'ingresso nella Compagnia dei Virtuosi al Pantheon, avvenuto il 14 febbr. 1700; il suo primo incarico fu la cura degli apparati per la festa di S. Giuseppe (Bonaccorso - Manfredi), il 19 marzo. A cavallo dell'anno 1700 lavorò al Sepolcro di Francesco Erizzo nella chiesa di S. Marco, commissionato dall'ambasciatore veneziano Nicolò Erizzo, padre di Francesco; il monumento funebre reca al centro, tra due statue alate della Fama, un medaglione a bassorilievo con l'effigie di Erizzo, morto nel 1699 a sedici anni; l'attribuzione ha trovato conferma nel riscontro della presenza, tra i beni del M., di un "ritratto ouato di terra cotta dell'Ecc(ellentissi)mo S(ignor) Ambasciator Erricio" (Marchionne Gunter).
Altra prova ritrattistica fu quella del Cardinale Enrico Noris, titolare di S. Agostino; il busto, eseguito sul modello preparatorio in terracotta ricordato nell'inventario del M., è di poco successivo alla morte del cardinale (1704); nel 1708 era già descritto presso la porta laterale della chiesa (Titi), da dove fu rimosso in occasione dei lavori vanvitelliani. Secondo una convincente ipotesi di Guerrieri Borsoi, l'opera attualmente a sinistra dell'accesso alla sacrestia non sarebbe quella scolpita dal M. ma una replica di G. Sibilla compiuta per adattarla alla nuova collocazione; mentre l'originale andrebbe identificato nella più raffinata versione della vicina Biblioteca Angelica. Al M. è stato anche attribuito un Busto di nobiluomo conservato al Museo di Roma (Di Gioia).
Il più celebre e il più riuscito dei ritratti del M. è quello del pittore Carlo Maratti, eseguito in due versioni: una finita entro il 1704 e posta in S. Maria degli Angeli sul monumento funebre disegnato dallo stesso pittore committente, e una replica autografa, di poco più tarda (forse l'opera pagata 300 scudi l'11 apr. 1709), commissionata da Niccolò Maria Pallavicini, poi passata a Firenze e infine agli Staatliche Museen di Berlino, dove fu danneggiata durante la seconda guerra mondiale (Rudolph). La protezione da parte del più influente pittore del tempo non fu dovuta a legami di parentela ma a un'affinità di gusto che spinse C. Maratti ad appoggiare la candidatura del M. per la nomina ad accademico, ottenuta nella riunione del 25 maggio 1711. Gli stretti rapporti sono inoltre testimoniati dai numerosi dipinti maratteschi posseduti dal Maratti.
La sua fama doveva comunque essere significativa già nel 1708, se F. Posterla arrivò a definirlo "uno de' più celebri Scultori de nostri tempi, come viene testificato dalle sue opere" (aggiunta a Titi, p. 240). L'affermazione artistica del M. coincide con il pontificato di Clemente XI, che lo scelse anche come uno dei suoi ritrattisti ufficiali.
Pochi giorni dopo l'elezione di Clemente XI, la città di Urbino aveva deciso di erigergli una statua nella piazza maggiore; l'impegno fu rinnovato nel 1705, ma il papa decise di accollarsi la spesa, controllando così direttamente che la scultura rispondesse ai suoi progetti di riforma del gusto accademico; la statua a figura intera datata 1710, già in palazzo ducale e oggi nella cattedrale, a lungo ingiustamente assegnata ad A. Cornacchini, spetta invece al M. e fu eseguita inizialmente per Montecassino (Negroni). Dal prototipo urbinate derivarono numerosi busti, per i quali risulta difficile arrivare ad attribuzioni sicure (Papa Albani e le arti…, pp. 140-142). Una seconda versione del Clemente XI fu spedita a Montecassino e collocata nel portico del chiostro bramantesco dell'abbazia. Si tratta dell'ultima delle quattro statue che il M. scolpì per i benedettini, parzialmente danneggiate durante l'ultima guerra. Dal 1703, per le nicchie del chiostro dei benefattori furono realizzate le figure dei genitori di s. Benedetto (Anicio Euproprio Probo e Abundantia, terminate nel 1708), alle quali fece seguito la statua di Anicio Tertullo. Il contratto per la statua del papa regnante fu stipulato il 9 giugno 1706 e fu rinnovato il 29 maggio 1708 con l'abate Gregorio Galisio a seguito dell'invio a Urbino della prima versione; il compenso finale fu saldato il 26 ott. 1711. Del S. Euproprio si conserva anche un bozzetto nella collezione Martinelli in palazzo della Penna a Perugia (Marchionne Gunter).
La massima affermazione del M. arrivò con la commissione del S. Simone per il ciclo degli Apostoli nella navata centrale di S. Giovanni in Laterano.
Al M. era stato affidato anche l'incarico di seguire i lavori del S. Pietro, in prima istanza assegnato a J.-B. Théodon, per il quale eseguì un modello nel 1705; ma la realizzazione dell'opera passò a Monnot. Il modello del S. Simone fu approvato nel dicembre 1704 e la sgrossatura della statua, alta quasi 5 m, iniziò verso il 1706; nel complesso il M. ricevette pagamenti per oltre 1500 scudi, conclusisi con la rata di 330 scudi il 7 luglio 1710. La statua è improntata a un moderato classicismo arcadico: posa contenuta e flessuosa, espressione concentrata, panni sottili e aderenti.
Sempre Clemente XI coinvolse il M. nei restauri di cinque statue egizie rinvenute presso gli Horti Sallustiani e donate al Popolo romano nel 1714 per essere poste in Campidoglio (dopo una prima collocazione nel Museo Nuovo, nel 1839 passarono al Museo Gregoriano egizio); al M. furono affidati la sovrintendenza ai lavori di restauro e il risarcimento della figura colossale in granito della regina Tuya, lavori pagati tra il dicembre 1714 e il settembre 1716, per un totale di 200 scudi (De Felice).
L'ultimo grande impegno del M. rientra nel piano di abbellimento della basilica di S. Maria in Cosmedin e dell'antistante piazza Bocca della Verità, sistemata dalla presidenza delle Strade su progetto affidato nel 1715 all'architetto C.F. Bizzaccheri, autore del disegno della grande fontana.
Al centro della vasca stellare emerge una scogliera lavorata da F. Bai, sulla quale si adagiano i due Tritoni del M., l'uno di spalle all'altro e con le code intrecciate, che reggono la tazza con gli stemmi pontifici. I lavori furono iniziati l'11 ag. 1717 e terminarono il 7 genn. 1719; con chirografo di Clemente XI, emanato tre giorni dopo, si stabilì che il compenso doveva essere pagato dalla presidenza dell'Annona (Anselmi).
Il M. morì a Roma il 26 genn. 1719 all'età di 50 anni, senza aver fatto testamento; lasciò la moglie Antonia Ferrari, e cinque figli minorenni.
La morte è registrata nella parrocchia di S. Salvatore ai Monti; il corpo fu sepolto all'Aracoeli, poco lontano dallo studio di S. Maria in Campo Carleo e dall'abitazione di via Baccina, nelle quali si trovavano le opere accuratamente descritte nell'inventario dei beni.
Fonti e Bibl.: F. Titi, Studio di pittura, scoltura, et architettura, nelle chiese di Roma (1674-1763), a cura di B. Contardi - S. Romano, Firenze 1987, ad ind.; A. Riccoboni, Roma nell'arte. La scultura nell'Evo moderno dal Quattrocento ad oggi, Roma 1942, pp. 270 s.; P. Pecchiai, Il Gesù di Roma, Roma 1952, pp. 176, 187, 191, 265; C. Faccioli, Dello scultore F. Moratti detto "il Padovano", in L'Urbe, XXXVII (1974), 3-4, pp. 8-18; R. Enggass, Early eighteenth-century sculpture in Rome, University Park, PA, 1976, pp. 114-119; M. Dunn, Father Sebastiano Resta and the final phase of the decoration of S. Maria in Vallicella, in The Art Bulletin, LXIV (1982), pp. 601-622; M. De Felice, Miti ed allegorie egizie in Campidoglio, Bologna 1982, pp. 26-29, 84-88; F. Negroni, Più leggero l'"atelier" di Agostino Cornacchini, in Notizie da Palazzo Albani, XV (1986), 2, pp. 68-72; C. D'Onofrio, Le fontane di Roma, Roma 1986, pp. 498 s.; A. Cipriani - E. Valeriani, I disegni di figura nell'Archivio stor. dell'Accademia di S. Luca, I, Roma 1988, pp. 121 s.; E.B. Di Gioia, Museo di Roma. Le collezioni di scultura del Seicento e Settecento, Roma 1990, pp. 36-38; A. Anselmi, in In Urbe architectus (catal.), a cura di B. Contardi - G. Curcio, Roma 1991, pp. 323 s.; A. Marra Ranucci, Ancora opere "dal silenzio": Sebastiano Conca ed altri nel monastero della Visitazione a Roma, in Bollettino d'arte, LXXIX (1994), 84-85, pp. 99-104; S. Rudolph, Niccolò Maria Pallavicini. L'ascesa al tempio della Virtù attraverso il mecenatismo, Roma 1995, pp. 80, 143, 224, nn. 181 e 334; G. Bonaccorso - T. Manfredi, I Virtuosi al Pantheon 1700-1758, Roma 1998, pp. 20-24, 59-80; O. Ferrari - S. Papaldo, Le sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, ad ind.; Papa Albani e le arti a Urbino e a Roma 1700-1721 (catal., Urbino), a cura di G. Cucco, Venezia 2001, pp. 99-103, 140-142; S. Walker, Livio Odescalchi, Pietro Stefano Monnot e Carlo Maratta…, in Sculture romane del Settecento: la professione dello scultore, a cura di E. Debenedetti, II, Roma 2002, pp. 23-40; M.B. Guerrieri Borsoi, Gaspare Sibilla "scultore pontificio", ibid., pp. 153 s., 166; A. Marchionne Gunter, L'attività di due scultori nella Roma degli Albani: gli inventari di Pietro Papaleo e F. Moratti, ibid., III, Roma 2003, pp. 67-146; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 52.