MANNELLI, Francesco
Nacque a Firenze tra il 1356 e il 1357, secondogenito di Amaretto di Zanobi e Zenobia di Domenico Guidalotti Rustichelli.
Il M. apparteneva a una delle più antiche casate d'Oltrarno e nacque in un periodo difficile per i Mannelli del "popolo" di S. Felicita: per poter partecipare alle cariche politiche il nonno prima e successivamente il padre rinunciarono alla loro consorteria, assumendo il nome di Pontigiani in ricordo del ponte Vecchio presso il quale si trovavano le loro case. La famiglia fu investita dai dissesti finanziari e dalla condanna all'esilio negli anni '80 del Trecento in seguito all'adesione al tumulto dei ciompi. I Mannelli si trasferirono allora probabilmente in Catalogna, tra Valencia e Barcellona, dove si arricchirono con il commercio.
Il M. è nominato nella rinuncia alla consorteria da parte del padre il 9 ott. 1361: "Amarettus filius q. Zenobi et Franciscus, Zenobius, Angela, Simona, Nesa filii dicti Amarecti de Mannellis renuntiaverunt consorterie […] et volunt de cetero nominari de Pontigianis de capite pontis" (Delizie degli eruditi toscani, p. 257).
Tra i suoi fratelli si ricordano Ginevra, moglie di Vieri di Guido da Castiglione; Ramondo (o Raimondo), mercante e comandante della marina fiorentina nel 1431; Vaggia (Selvaggia), moglie di Marco di Uberto Strozzi.
Il silenzio sul M. è interrotto solo dalla sottoscrizione del copista "Francesco d'Amaretto Mannelli" che data l'allestimento del manoscritto XLII.1 della Biblioteca Medicea Laurenziana, contenente il Decameron e il Corbaccio di Giovanni Boccaccio, al 13 ag. 1384 (c. 172r). Né sappiamo se il M. avesse seguito la famiglia nel suo trasferimento a Valencia, presso l'accomandita del fiorentino Antonio de' Nelli, e a Barcellona, presso un fondaco di Francesco Datini.
In una lettera datata dall'editore al 16 genn. 1392 Coluccio Salutati raccomandava il M. a Michele da Rabatta, che si trovava presso la corte di Francesco Novello da Carrara, signore di Padova: "in favorem nobilis viri Francisci Amaretti de Manellis, qui michi singularis dilectionis vinculo vinctus est, quique ad clericatum anhelat". Se si fosse trattato di un canonicato, il M. avrebbe almeno dovuto conseguire gli ordini minori per aspirarvi. Del resto non abbiamo notizia di suoi vincoli matrimoniali; lo troviamo invece a trascorrere la vecchiaia ospitato nella casa del fratello Ramondo, e la tradizione degli eruditi locali lo vuole uomo di chiesa. Nella portata al Catasto fiorentino del 1427 il fratello censiva il proprio nucleo familiare, composto dalla giovane moglie Maria di Piero Strozzi, dal figlio Amaretto di pochi giorni, da un fratello della moglie e da "Francesco mio fratello carnale d'età d'anni 70 infermo e povero". In questo documento manca comunque ogni riferimento a un beneficio ecclesiastico per la persona del Mannelli.
La data della morte del M. può essere verosimilmente circoscritta tra il 1427, data della portata al Catasto di Ramondo che abbiamo citato, e il 1433, nuova registrazione del Catasto fiorentino nella quale manca il nome del M. a carico del fratello.
Il M. risiedeva nel quartiere fiorentino di S. Spirito: le case dei Mannelli non erano distanti dalla loggia dove abitava Boccaccio; ma alcuni studiosi lo vollero "amico familiarissimo e compare" dello scrittore (Manni; il termine "compare" fu poi frainteso dagli editori del Decameron del 1761 che assicurarono che il M. fosse stato tenuto a battesimo da Boccaccio). La differenza d'età tra i due - il M. era appena diciottenne quando Boccaccio morì - non esclude di per sé l'amicizia, ma certo impone di guardare a queste espressioni con un po' di cautela, sebbene contengano un qualche nucleo di verità. È forse vero infatti che il M. poté accedere agli autografi boccacciani su incarico di Martino da Signa, al quale l'autore li aveva affidati nel suo testamento.
Il M. fu copista alquanto attento e capace e molti dei passi che da alcuni studiosi furono riguardati come errori, o licenze indebite del copista, oggi, sulla base della scoperta dell'autografo del Decameron, sono giudicati come trascrizioni di interventi d'autore. Proprio la possibilità che il M. avesse avuto accesso a stesure estreme dell'autore rimaste sconosciute, insieme con la notizia della supposta amicizia tra Boccaccio e il suo copista, alimentò un ampio dibattito sull'interpretazione della nota di sottoscrizione nella quale il M. riferisce di aver completato la copia "beneplacitum et mandatum" di un certo "Simacuspiry S". Padoan, da ultimo, propone di identificare questo personaggio con fra Martino da Signa, il beneficiario del testamento di Boccaccio, che avrebbe quindi dato al M. l'incarico e gli esemplari da trascrivere. Il testo assunto a modello sarebbe stato la copia di servizio dell'autore e questo spiegherebbe perché l'autografo boccacciano del Decameron (cod. Hamilton, 90 della Staatsbibliothek di Berlino) e il manoscritto XLII.1 (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana) dimostrino un rapporto di affinità piuttosto che di dipendenza.
Il Levi, riferendosi alla storia familiare dei Mannelli, rilevò delle incongruità del manufatto con una provenienza tutta fiorentina del manoscritto e ritenne che il suo copista avesse seguito i Mannelli fuori d'Italia. Questo giudizio potrebbe mettere in nuova luce la storia della fortuna di Boccaccio in Catalogna, il primo Paese nel quale si abbiano trascrizioni e traduzioni del Decameron.
Il M., oltre che intelligente copista, fu anche chiosatore dell'opera di Boccaccio, corredando il testo di annotazioni culturali e testuali. Furono forse anche queste note ad accrescere il valore del manoscritto agli occhi del grammatico cinquecentesco Girolamo Claricio che curò l'edizione dell'opera di Boccaccio servendosi appunto del codice mannelliano per Decameron e Corbaccio. Padoan ritiene che il manoscritto laurenziano fosse mutilo e dovesse contenere anche l'Elegia di madonna Fiammetta, per completare la serie delle prose volgari di Boccaccio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Catasto, S. Spirito, "gonfalone" della Scala, XVI (anno 1427), c. 571; Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Passerini, 86, n. 36; C. Salutati, Epistolario, a cura di F. Novati, II, Roma 1893, pp. 286 s.; D.M. Manni, Istoria del Decamerone di Giovanni Boccaccio, Firenze 1742, p. 629; Delizie degli eruditi toscani, XIV (1781), p. 257; Il Decameron di messer Giovanni Boccaccio tratto dall'ottimo testo scritto da F. d'Amaretto M. sull'originale dell'autore, [Lucca] 1761, pp. I-XX; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, [Fiesole] 1844, pp. 312 s.; Della vita e delle opere di Giovanni Boccaccio, in Decameron di messer Giovanni Boccaccio riscontrato co' migliori testi e postillato da P. Fanfani, I, Firenze 1857, pp. XVI-XXX; D. Tiribilli Giuliani, Sommario storico delle famiglie celebri toscane, II, Firenze 1868, s.v.; L. Passerini, Note sulla famiglia Mannelli, in Lettera di Ramondo d'Amaretto Mannelli intorno alla battaglia navale combattuta tra Fiorentini e Veneziani confederati e Genovesi sottoposti al duca di Milano nell'agosto del 1431, a cura di F. Polidori, in Archivio storico italiano, App., 1842-44, t. 1, pp. 137-142; F. Novati, F. d'Amaretto M., in Giornale storico della letteratura italiana, XXI (1893), pp. 451-453; E. Levi, Botteghe e canzoni della vecchia Firenze, in Nuovi Studi medievali, III (1927), 1, pp. 130-137; M. Barbi, Sul testo del Decameron, in La nuova filologia e l'edizione dei nostri scrittori: da Dante al Manzoni, Firenze 1938, pp. 35-85; G. Boccaccio, Decameròn, a cura di V. Branca, I, Firenze 1951, pp. XXXVIII-XL; Mostra di codici romanzi delle biblioteche fiorentine. VIII Congresso internazionale di studi romanzi… 1956, Firenze 1957, pp. 46 s.; V. Branca, La tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio, II, Roma 1991, ad ind.; A. Scolari, Il codice Mannelli e il Corbaccio, in Studi di filologia italiana, LIV (1996), p. 195; G. Padoan, "Habent sua fata libelli", in Studi sul Boccaccio, XXV (1997), pp. 193-212; F. Carrai, Di chi sono le postille recentiori nel codice Mannelli?, ibid., XXX (2002), pp. 159-168.