MANFREDI, Francesco (Astorgio IV)
Figlio naturale di Galeotto, signore di Faenza, nacque probabilmente intorno ai primi anni Settanta del Quattrocento. Era infatti il maggiore dei figli naturali di Galeotto, che dalla relazione con la ferrarese Cassandra di Tommaso Pavoni ebbe Scipione, nato nel 1473, e Giovanni Evangelista, nato nel 1482. È ipotesi accreditata tra gli studiosi che il M. fosse figlio di Cassandra.
Non si hanno notizie del M. e dei fratelli sino alla morte di Galeotto, trucidato nel maggio del 1488. L'omicidio fu ispirato da Giovanni (II) Bentivoglio, padre di Francesca moglie di Galeotto, che mirava a controllare Faenza attraverso un Consiglio di reggenza presieduto dalla figlia e fortemente legato al sostegno sforzesco. Faenza rimase nelle mani di due potenziali eredi di minore età, Ottaviano di Carlo (II), nato nel 1472 ed esule dallo Stato, e Astorgio (III), figlio di Galeotto e Francesca Bentivoglio, nato nel 1485. Nonostante il testamento di Astorgio (II) stabilisse il diritto di Ottaviano di succedere a Galeotto, Francesca Bentivoglio, forte dell'appoggio paterno e degli armati milanesi giunti a Faenza con il conte Giovan Pietro Carminati di Brembilla, fece nominare signore il proprio figlio di tre anni e si pose a capo di un Consiglio di reggenza controllato da G. Bentivoglio. Il regime fu subito rovesciato da una sollevazione a Faenza, appoggiata da Firenze: quando furono sedati i tumulti seguiti alla morte di Galeotto e dopo che Francesca Bentivoglio si rifugiò a Bologna, i Faentini, con l'appoggio di Firenze e dei suoi commissari, trasformarono il Consiglio di reggenza allargandone la partecipazione a 48 rappresentanti di Faenza e 48 rappresentanti della Comunità della Val di Lamone.
Il piccolo Astorgio fu affidato alla custodia del castellano della rocca, Nicolò Castagnini: accanto a lui furono chiamati il M. e Scipione; più tardi anche Giovanni Evangelista fece parte del seguito di Astorgio, sino a condividerne il tragico destino nel 1502 (ambedue furono condotti a Roma, violentati e strangolati).
Negli accordi tra Faenza e Firenze nel luglio del 1488 si prevedeva che se Astorgio (III) fosse morto entro i tre anni della prima condotta con la Repubblica fiorentina, gli sarebbe subentrato il M., che trascorse gli anni tra il 1488 e il 1501 servendo fedelmente Astorgio: Litta lo dice dal 1489 governatore della Val di Lamone, e ne constata la solida posizione a Faenza.
La caduta della città nelle mani di Cesare Borgia, il Valentino, causò al M. la perdita di tutti i beni e le cariche, ma gli lasciò vita e libertà. Il M. si rifugiò allora a Bologna, non ancora occupata dal Valentino. Alla morte di papa Alessandro VI (18 ag. 1503), quando il potere di Borgia venne sgretolandosi gradualmente, le città di Romagna e della Marca che costituivano il suo Stato trassero dalla situazione il partito migliore, e gli antichi signori tornarono ai loro domini. Solo Faenza, Imola e Cesena rimasero in un primo momento fedeli a Borgia. In particolare Faenza, scrive Guicciardini, "era perseverata nella devozione sua più lungamente; ma privata alla fine della speranza del suo ritorno, rivolgendosi alle reliquie de' Manfredi suoi antichi signori, chiamò Astore, giovane di quella famiglia, ma naturale, perché non vi erano de' legittimi" (pp. 568 s.). "Astore" non era altri che il M., che avrebbe preso il nome più scopertamente dinastico di Astorgio (IV) una volta a Faenza. Sanuto narra che il M. era sostenuto anche da Giovanni Bentivoglio: "Miser Zuan Bentivoy da Bologna à sublevato certo bastardo di Manfredi fo fiolo dil signor Galeoto di Faenza per non vi esser altri" (V, p. 70).
Il 26 ott. 1503 i Dieci scrissero a N. Machiavelli a Roma che due ambasciatori faentini si erano recati a Castrocaro, dove si trovava anche il M., per comunicare al commissario fiorentino che "tutta quella città aveva preso partito, mentre viveva il Valentino o che si avessi qualche speranza delle cose sua, non mutare signore, poi volere il detto signor Francesco" (in Machiavelli, Prima legazione().
Il M. si mosse subito con 150 fanti e 20 cavalli verso Faenza, dove i Faentini lo acclamarono signore. Lo accompagnava un altro Manfredi di nascita illegittima, Astorgio, figlio naturale di Lancillotto di Astorgio (II), che talvolta è confuso con Carlo, figlio del vescovo Federico.
La situazione non era tale da permettere la riuscita di questo tentativo. Venezia decise infatti di muovere risolutamente in Romagna approfittando dell'incertezza nella successione papale (Pio III Piccolomini, eletto il 22 settembre, morì il 18 ottobre successivo e il 31 ottobre fu eletto Giuliano della Rovere, papa Giulio II) e quindi della debolezza della posizione del Borgia: da Ravenna e da Cervia inviò armati a Russi e a Rimini, e di lì mosse contro Faenza.
A Faenza intanto il M. doveva far fronte all'ostilità di Dionigi Naldi. Costui - già castellano di Imola e membro di un'importante famiglia di Val di Lamone che aveva sostenuto le rivendicazioni di Ottaviano Manfredi contro Astorgio (III) e aveva subito pesanti ritorsioni per questo - era passato a fianco di Cesare Borgia nel 1500. Naldi era contrario al reinsediamento a Faenza di un Manfredi e consegnò dunque le fortezze della Val di Lamone ai Veneziani; questi ultimi, secondo Guicciardini, forti delle basi nella valle, riuscirono a introdurre 300 fanti nella rocca di Faenza grazie a un complotto. Faenza tuttavia resistette, appellandosi al neoeletto Giulio II. Il papa, "essendo nuovo in quella sedia e senza forze e senza danari [(] non poteva provedervi se non con l'autorità del nome papale" (Guicciardini, pp. 569 s.): così mandò, senza esito, Angelo Leonini, vescovo di Tivoli, a Venezia per protestare contro la violenza fatta a una città della Chiesa. La posizione del papa secondo fonti veneziane era in realtà più equivoca: Sanuto scrive che il papa "di Faenza disse non vol bastardi la domini, ma che [Venezia] l'aiuti a far sia sotto la Chiesia" (V, p. 342).
Faenza, abbandonata da tutti e con l'esercito veneziano praticamente in città, si arrese il 18 nov. 1503, dopo avere patteggiato con la Serenissima l'incolumità del M. e dei suoi congiunti. I patti stipulati tra Venezia e i Manfredi concernevano tutti gli eredi superstiti della dinastia, naturali o meno, che furono definitivamente liquidati. Il M. e il cugino Astorgio ottennero un donativo una tantum di 800 e 400 ducati, una provvisione vitalizia di 400 e 200 ducati e beni immobili per una rendita di 400 ducati l'anno di entrata (per due terzi al M., per un terzo ad Astorgio); a una sorella di Astorgio, Iacopa, si assicurarono 200 ducati di dote; a Girolamo di Federico Manfredi, ecclesiastico, fu promesso il godimento di benefici per una rendita di 100 ducati l'anno; a Carlo e Marco Antonio, figli laici del vescovo Federico, fu garantita l'integrità dei beni. Tutti dovevano però impegnarsi a non vivere a Faenza e nel territorio faentino.
Il M., passato l'inverno a Ravenna, si recò a Venezia, dove trascorse tranquillamente gli ultimi anni. La data della morte non è certa, ma è generalmente ritenuto che morì a Venezia nel 1509.
Litta lo dice sposato a Beatrice di Ugo dei conti di Carpegna, ma non si hanno notizie di eventuali figli.
Fonti e Bibl.: G.C. Tonduzzi, Historie di Faenza, Faenza 1675, s.v.; G.B. Mittarelli, Ad scriptores rerum Italicarum accessiones, Venetiis 1771, Index septimus, s.v.; M. Sanuto, I diarii, I, Venezia 1879, p. 188; V, ibid. 1881, pp. 70, 164, 173, 194 s., 215, 217, 223 s., 229, 238, 250, 271, 276, 283 s., 311, 339, 342-344, 350, 352, 358, 368, 377-379, 525, 736 s., 808 s., 834, 836, 838; N. Machiavelli, Prima legazione alla corte di Roma, in Id., Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1971, p. 498; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Torino 1971, I, pp. 568-570, 572; A. Messeri - A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909, s.v.; A. Missiroli, Astorgio III Manfredi signore di Faenza (1488-1501), Bologna 1912, ad ind.; G. Donati, La fine della signoria dei Manfredi in Faenza, Torino 1938, p. 181; P. Zama, I Manfredi signori di Faenza, Faenza 1954, ad ind.; P.D. Pasolini, Caterina Sforza, Roma 1968, ad ind.; A. Medri, Il duplice assassinio di Galeotto Manfredi (1477-1488), Faenza 1972, ad ind.; G. Cattani, Politica e religione, in Faenza nell'età dei Manfredi, Faenza 1990, pp. 31, 36, 38; P Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Manfredi di Faenza, tav. VII.