MANFREDI, Francesco (Francesco il Vecchio)
Primo signore di Faenza della dinastia dei Manfredi, nacque secondo Litta da Alberghetto di Alberghetto (o Alberico), morto nel 1275, e da Gertrude Belmonte, figlia di Ricciardello, conte delle Caminate. Non è noto l'anno di nascita del M., ma le cronache locali lo dicono intorno ai vent'anni in occasione dell'eccidio della Castellina (1285) e ottantenne alla morte, nel 1343: la sua nascita andrebbe quindi posta nei primi anni Sessanta del Duecento. Ebbe una sorella, Maddalena.
La famiglia Manfredi era eminente a Faenza dal XII secolo: al 1103 risale la prima attestazione di un Manfredi, Alberico di Guido di Manfredo, esiliato da Faenza con altri nobiles dopo aspri scontri interni; nel 1115, un Guido di Manfredo (forse padre di Alberico) fu esiliato mentre Alberico, apparentemente sul fronte opposto, rimase in città e si impadronì di case e beni dei banditi. Probabilmente nel gennaio 1164 Enrico di Alberico ospitò Federico I imperatore.
Nei decenni successivi la fisionomia politica della famiglia venne precisandosi: i Manfredi, talora chiamati Alberghetti da Alberghetto di Alberico (si tratta probabilmente del padre del M.), già podestà a Vicenza e strenuo avversario di Ezzelino da Romano, divennero i capi della parte guelfa di Faenza in perenne lotta contro i ghibellini guidati dagli Accarisi.
La Romagna era dominata dagli scontri di parte dopo la morte di Federico II (1250): grandi signori ghibellini come Guido da Montefeltro e Maghinardo Pagani da Susinana controllavano la regione, resistendo all'avanzata dei rettori papali, e determinavano l'altalenarsi talora convulso delle parti nelle diverse città. Nel 1278 il conferimento imperiale al papa del dominio sulla Romagna inserì la regione nell'orbita della S. Sede, che sovrappose alla mobile geografia politica romagnola un disegno solo apparentemente omogeneo di aree immediate e mediate subiectae.
A Faenza i conflitti fazionari non erano cessati: nel 1274 la pars Accarisi, alleata a Guido da Montefeltro, che controllava anche Forlì, aveva esiliato i Manfredi e i loro seguaci. Il M. cominciò in questi anni a emergere tra i Manfredi, anche se il consorzio familiare, diviso tra i figli di Ugolino, di Enrico e di Alberghetto, fu a lungo lacerato da conflitti interparentali. Il M. era tra i guelfi faentini che negoziarono tra 1279 e 1280 un accordo con gli Accarisi grazie alla mediazione di Manfredo di Enrico Manfredi: rientrò così a Faenza nell'aprile 1280, per rimanervi solo pochi mesi. Nuovamente in esilio, fu coinvolto, con il cugino Alberigo di Ugolino (noto come frate Alberigo per la sua appartenenza ai frati gaudenti), nell'assassinio del cugino Manfredo di Ugolino e del figlio Alberghetto.
Invitati i due a desinare, nel maggio 1285, al castello di Cesato vicino Faenza, a un segnale di Alberigo il figlio di questo, Ugolino detto Buzzola, e il cugino M. dettero inizio al cosiddetto eccidio della Castellina, narrato nelle cronache e cantato da Dante (Inferno, XXXIII, vv. 109-120). L'episodio costrinse il M., condannato da Guillaume Durand, rettore pontificio per la Romagna, a pagare 6000 lire bolognesi e al confino a Oriolo (Riolo): l'isolamento lo spinse ad allearsi a Maghinardo Pagani, con il quale - o contro il quale - combatté negli anni successivi, di volta in volta rientrando a Faenza (come nel 1290, nel 1295 e nel 1299) e venendone nuovamente cacciato (nel 1292, nel 1295 stesso e di nuovo nel 1306, dopo la morte del Pagani).
Nel 1295 Faenza riconobbe la supremazia pontificia e l'autorità del legato inviato da Bonifacio VIII, l'arcivescovo Pietro di Monreale. In questo periodo convulso, il M. allargò la sua egemonia sul territorio faentino, occupando Lugo e Bagnacavallo nel 1307 e una parte dei castelli dei conti di Cunio nel 1309 e consolidando i propri possessi aviti a Brisighella e in Val di Lamone. Un'insurrezione ghibellina capitanata nel 1310 dagli Accarisi provocò la reazione di papa Clemente V, che nominò re Roberto d'Angiò rettore in Romagna per otto anni: a seguito di questi avvenimenti, il M., allineato ai vicari dell'Angioino, conquistò in città tra 1311 e 1313 una supremazia destinata a durare. Nel 1313 infatti fu nominato capitano del Popolo di Faenza ("ascendit palatium Faventie pro defensione populi", dice Azzurrini) e rafforzò la sua posizione divenendo l'anno dopo capitano del Popolo della vicina Imola e tentando nello stesso anno, con l'appoggio dei da Polenta e dei da Calboli, di occupare Forlì ai danni degli Ordelaffi. Al 1313 i cronisti locali fanno iniziare la signoria dei Manfredi - prima come capitani del Popolo, poi come vicari pontifici - sulla città, signoria destinata a durare sino al 1501.
La supremazia del M. si sovrappose alla struttura politica e istituzionale del Comune faentino senza alterarla formalmente. Il prestigio del M. e la solidità della sua egemonia sono testimoniati tra l'altro dalla creazione del figlio Ricciardo a cavaliere da parte di Roberto d'Angiò nel 1316 e dall'edificazione del castello di Granarolo, tra Faenza e Lugo, nel 1317. Il M. inaugurò anche una Zecca propria e batté moneta per concessione imperiale e papale.
Nel 1322 il M. si sentì abbastanza forte da farsi chiamare apertamente dominus Faventie: nello stesso anno il figlio Ricciardo fu eletto capitano di Imola per cinque anni. L'autonomia politica conquistata dal M. è ulteriormente testimoniata dal fatto che, quando papa Giovanni XXII sollecitò nel 1322 i signori di Romagna a pagare la tallea militum e nel 1325 il censo dovuto alla Chiesa, il M. ritenne di poter rifiutare il pagamento del tributo. Nonostante i sempre più pressanti richiami papali, nel 1326, grazie all'aiuto di Firenze, riprese Lugo a Cecco Ordelaffi, signore di Forlì, che l'aveva occupata: l'influenza dei Manfredi copriva dunque una microregione che comprendeva Imola a ovest, Lugo e Bagnacavallo a nordest, la Val di Lamone a sudovest.
Il processo di consolidamento delle varie egemonie signorili in Romagna subì una battuta d'arresto tra il 1327 e il 1328: il papa, infatti, constatata la riottosità dei signori romagnoli, nel 1327 ribadì che queste terre, tra cui anche Faenza, erano immediate subiectae alla S. Sede e inviò a Bologna il cardinale Bertrand du Pouet, legato di Romagna dal 1319, per raccogliere i giuramenti di fedeltà dei vari signori. Il M. a questo punto ritenne prudente sottomettersi e si recò a Bologna per consegnare formalmente la signoria di Faenza al legato. In sua assenza, il secondogenito Alberghettino, che già aveva congiurato senza successo contro il padre nel 1326, con l'appoggio degli Ordelaffi e dei da Polenta tra il 9 e il 10 luglio 1327 cacciò il podestà da Faenza e si proclamò signore della città. L'altro figlio, Ricciardo, rinunciò al capitanato di Imola nelle mani del legato: quest'ultimo, insieme con il M. e Ricciardo, mise sotto assedio Faenza nel maggio 1328, rioccupandola il 23 luglio. L'avventuroso tentativo di Alberghettino (decapitato a Bologna nel 1329) permise al legato di mantenere per qualche tempo un controllo diretto della città.
Il M., rientrato a Faenza, si ritirò dal governo della città e in buona misura rinunciò anche a una posizione di preminenza all'interno della casata, lasciando al figlio Ricciardo il compito di seguire il legato a fianco di Giovanni re di Boemia, mentre il terzo figlio, Malatestino (Tino) si impadroniva nuovamente di Bagnacavallo. Il prestigio del M. gli permise tuttavia di esercitare la carica podestarile in alcuni centri minori della Romagna, allargando così l'area di influenza della casata verso sudest: acquistò infatti alla fine degli anni Trenta da Fulcieri da Calboli per 6000 fiorini la Comunità di Castrocaro, di cui era stato podestà nel 1338.
La morte prematura dei figli Tino (1336) e Ricciardo (1340) richiamò il M. brevemente a Faenza, dove nel 1340 pose le basi per il ritorno dei Manfredi al governo diretto della città. Nel 1341 infatti, grazie alle mutate condizioni generali, Giovanni di Ricciardo, nipote del M., poté farsi nominare dagli Anziani, dai Sapienti e dal Consiglio del Comune di Faenza capitano, conservatore e rettore della città, inaugurando un secondo, più breve periodo di signoria diretta.
Il M. morì il 29 maggio 1343.
Litta gli riconosce, oltre ai tre figli legittimi Ricciardo, Alberghettino e Malatestino avuti dalla moglie Rengarda di Malatesta Malatesta, detto Malatesta da Verucchio, due figli naturali (Beltramo, morto nel 1363, e Nascimbene, frate minore e vescovo di Trivento, morto nel 1344) e quattro figlie, Caterina, Onestina (sposata ad Arrighetto Rogati, di importante famiglia faentina), Margherita (moglie di Manfredi di Alberico conte di Cunio) e Lisa (moglie di Ruggero di Guido Salvatico Guidi, conte di Dovadola). Al momento del testamento del M., nel 1341, Lisa era vedova, diversamente dalle sorelle.
I cronisti e gli storici locali sottolineano l'importanza della figura del M., che pose solide basi alla supremazia della sua casata in Faenza e inaugurò, con un programma urbanistico ed edilizio improntato alla valorizzazione della struttura romana dell'impianto urbano di Faenza, la serie degli interventi signorili e principeschi dei Manfredi sulla città, improntati a una politica di prestigio e di legittimazione.
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