MALIPIERO, Francesco
Figlio di Perazzo, appartenente a un casato veneziano di rango, nacque intorno al 1388-89. Le prime notizie sul suo conto risalgono al 1412 quando compare negli Acta graduum dello Studium di Padova con il titolo di abate di S. Pietro de Roboa di Zara. L'ateneo patavino rappresenta in effetti l'ambiente dal quale ci provengono le segnalazioni più significative sulla sua attività tra il 1412 e il 1417, anni durante i quali presenziò a numerosi esami di dottorato; Mantese (1964, p. 119), in effetti, gli attribuisce il titolo di decretorum doctor. Con tutta probabilità, dunque, egli doveva disporre di una residenza proprio a Padova, abitata con una certa continuità. Il suo curriculum monastico in questo periodo, però, si svolse, almeno formalmente, presso i principali cenobi zaratini: nel 1414 risulta abate dei monasteri di S. Michele e dei Ss. Cosma e Damiano; nel 1415 è abate di S. Crisogono; nel 1417 è ancora abate dei Ss. Cosma e Damiano.
Queste nomine "periferiche" preludevano alla chiamata in patria ad abate del monastero benedettino di S. Cipriano di Murano, nella diocesi di Torcello. Il M. infatti ricopriva sicuramente questo incarico nel 1422 (Arch. di Stato di Venezia, Mensa patriarcale, S. Cipriano, b. 84, 1422 febbr. [10]) e lo mantenne fino al 1427.
A partire dal 1418 il M. cominciò a candidarsi all'assunzione di titoli episcopali entro sedi del dominio veneto.
Com'è noto, la Repubblica condizionava l'accesso alle cariche vescovili del suo dominio mediante il sistema delle probae: quando una sede rimaneva vacante, gli aspiranti esibivano le proprie credenziali al Senato, che poi sceglieva il candidato da proporre al papa.
Il M. partecipò nel 1418 alle probae per la sede di Treviso, nel 1420 a quelle per Zara, nel 1425 a quelle per la sede veneziana di Castello, nella quale peraltro figura come electus per capitulum. Il 27 genn. 1427 assurse finalmente alla dignità vescovile nella sede di Spalato, senza aver partecipato alla relativa proba. Qui rimase per un solo anno; infatti, nel 1428 il M., già candidatosi per la sede di Padova, riuscì a farsi eleggere in quella di Castello. Il 16 luglio dunque, divenne vescovo a Venezia dove rimase in carica fino al 1433 quando, in seguito alla morte del vescovo di Vicenza, Pietro Emiliani, il capitolo della cattedrale vicentina elesse molto rapidamente come successore il Malipiero.
Il trasferimento a Vicenza significò per il M. l'approdo a una sistemazione definitiva. Secondo Mantese (1964), nella sede vicentina egli "sostanzialmente" rispettò l'impegno della residenza. Si allontanò infatti dalla sede solo per partecipare al concilio di Basilea, nel 1434, e poi per brevi soggiorni nelle sue dimore di Cittadella, nel Trevigiano, e soprattutto nella contrada veneziana di S. Angelo, dove visse pressoché stabilmente dal 1446 fino alla morte.
Le linee guida dell'azione del M. nei quasi venti anni trascorsi a capo della diocesi vicentina devono essere rintracciate nella sua formazione e nell'ambiente di provenienza, fattori che pesarono sulle sue scelte a partire dalle circostanze della nomina nella sede di Vicenza.
Una tesi cara all'erudizione locale (Barbarano) vuole che la scelta del capitolo vicentino si fosse imposta su quella del papa, Eugenio IV, che aveva invece nominato Lorenzo Giustinian, figura eminente di quel modello di riforma ecclesiastica che maturò a Venezia presso la comunità di canonici secolari di S. Giorgio in Alga nei primi decenni del Quattrocento. Oggi si ritiene piuttosto che fosse stato proprio il papa a proporre il nome del M. per quella sede. Le modalità dell'elezione - nello scegliere il proprio vescovo il capitolo in quella occasione aveva rimesso in auge una procedura da tempo desueta, riesumando un antico privilegio - lo confermano: infatti, per un verso veniva aggirata la procedura della proba, mettendo il governo veneto di fronte a un fatto compiuto e difficilmente contestabile; per un altro, si liberava la sede di Castello proprio per Lorenzo Giustinian, cugino del papa e suo sodale nell'esperienza riformatrice.
L'immagine che la storiografia ci ha tradizionalmente lasciato del M. è quella di un presule allineato sulle posizioni riformatrici del gruppo di S. Giorgio in Alga, cui appartenevano, oltre a Lorenzo Giustinian e a Gabriele Condulmer, Ludovico Barbo, Antonio e Angelo Correr, Marino Quirini, uomini di primissimo piano nel mondo ecclesiastico veneziano. Non si hanno testimonianze di una partecipazione diretta del M. a quel consesso, che al massimo poté esercitare su di lui una suggestione a cui non dovettero essere estranee probabili convergenze di ideali individuate anche dall'orientamento assunto in materia di riforme dalla politica di Venezia (Rigon, pp. 176-179).
Altro personaggio che forse ispirò l'operato del M. fu l'abate Paolo Venier, riformatore dell'importante monastero camaldolese di S. Michele in Isola di Murano. Tuttavia, mancano testimonianze di contatti diretti tra i due, che in effetti sono stati ipotizzati unicamente sulla base della vicinanza fisica dei monasteri, S. Michele e S. Cipriano, che, per un periodo di pochi anni, il M. e il Venier si trovarono a governare contemporaneamente.
Piuttosto, conosciamo bene alcune, concrete, ragioni che misero in contrapposizione il M. a Paolo Venier, a Ludovico Barbo, allo stesso Eugenio IV. Il M., infatti, insediato nella nuova sede, si trovò subito a dover affrontare gravi problemi amministrativi. Pietro Emiliani, il suo predecessore, aveva largamente attinto ai beni della Chiesa vicentina per beneficare nel suo testamento parenti ed enti a lui legati. Il tentativo di recuperare almeno parte del patrimonio della mensa vescovile trascinò il M. in defatiganti azioni legali e laboriose trattative.
L'abate Venier lo citò in giudizio, proprio per ottenere la corresponsione di un corposo lascito (1100 fiorini) del vescovo Emiliani a favore del monastero di S. Michele in Isola; la lite non si risolse prima del 1445, quando intervenne a mediare lo stesso Eugenio IV, che comunque pare abbia sancito l'obbligo del M. nei confronti di S. Michele (Mantese, 1964, p. 124 n. 50).
L'attrito con il papa fu invece determinato dal rifiuto del M. di recarsi nel 1433 a Basilea, giustificato con ragioni economiche.
L. Barbo, abate di S. Giustina di Padova, dimostrò in quella circostanza nei confronti del M. un atteggiamento non chiaro: dapprima lo incoraggiò a partire, poi lo dissuase. Infine, il papa si spazientì e segnalò al governo veneto la sua irritazione per le assenze a Basilea dei vescovi del Dominio.
Il M. partì quindi, dietro ingiunzione della Serenissima, nel gennaio del 1434 e fu ammesso al concilio l'11 febbraio, unitamente ai due canonici vicentini Giovanni Gasparo de Leocornis, celebre cantore, e Nicola de Columbis. Entro l'anno, forse entro il primo semestre, il drappello vicentino era già di ritorno. Gli inizi del M. a Vicenza, dunque, appaiono faticosi; oltre ai dissesti economici, infatti, il vescovo scontava una certa subalternità, per non dire emarginazione, rispetto all'élite ecclesiastica veneziana, o almeno a una sua parte. Tuttavia, il M. lasciò segni importanti nella ristrutturazione della Chiesa vicentina. Se, infatti, non fu particolarmente attento al sostegno dell'attività pastorale e di cura d'anime - non riunì sinodi, né effettuò mai visite pastorali -, attuò comunque un'incisiva azione di riassestamento del patrimonio ecclesiastico.
Il momento più qualificato di questa azione fu, nel 1444, l'allestimento dell'inventario dei beni mobili e immobili delle parrocchie, un censimento reso solennemente pubblico in un documento autenticato da ser Novello Dall'Orologio, cancelliere episcopale. Particolarmente significativo fu poi lo sforzo di riforma degli enti monastici vicentini. Egli operò introducendo in città ordini legati ai grandi movimenti rinnovatori della prima metà del Quattrocento, riformando drasticamente - dove era possibile - i cenobi e sopprimendo quelli che non davano più alcuna garanzia di adeguamento alle esigenze della nuova spiritualità. Esempio illuminante del modo di procedere del M. in questo settore è l'introduzione della congregazione di S. Maria di Frigionaia, meglio nota come Congregazione dei canonici regolari lateranensi, che fu insediata a Vicenza nel 1445 nel monastero doppio di S. Bartolomeo. Anche i brigittini, presenti nel santuario mariano di Monte Berico fin dalla sua fondazione nel 1428, furono, nel 1435, in conseguenza anche di una drastica ristrutturazione dell'Ordine voluta da Eugenio IV, sostituiti dai frati serviti dell'Osservanza. Nel 1434 fecero la loro comparsa a Vicenza i gesuati di Giovanni Colombini da Siena, ai quali si affiancò la confraternita laicale di S. Maria dei Colombini, di cui il M. nel 1435 approvò gli statuti. Nel 1436, sotto il patrocinio del M., una parte del monastero di S. Biagio, dove si erano già insediati gli osservanti francescani (1422), fu separata e trasformata nella chiesa di S. Chiara, da destinare alle clarisse dell'Osservanza. Una speciale attenzione fu poi dedicata ai cenobi benedettini, e in particolare alle monache di S. Pietro. Qui il M. intervenne a diverse riprese privando dapprima la badessa della potestà amministrativa, affidata a monache elette annualmente; nel 1442, poi lo stesso presule riconobbe al capitolo il diritto di eleggere la badessa, ancora con cadenza annuale, suscitando un contenzioso che Eugenio IV decise nel 1445 in favore del Malipiero.
Una volta portate a compimento le più impegnative iniziative di riordino della vita religiosa ed economica della diocesi, il M. fece ritorno a Venezia, per trascorrervi gli ultimi anni della sua vita e dove morì, in seguito a malattia, l'8 giugno 1451. Il suo corpo fu traslato a Vicenza per le esequie e la sepoltura nella cattedrale, avvenute il giorno 10 dello stesso mese.
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