MERLI, Francesco Luigi
– Nacque ad Ascoli Piceno il 24 marzo 1879 da Giuseppe e Maria Guarnieri, in una famiglia che aveva avuto interessi imprenditoriali ad Ascoli sin dalla fine del XVIII secolo.
Il trisavolo Luigi aveva ottenuto nel 1792, in enfiteusi perpetua ereditaria dalla R. Camera apostolica, i maggiori complessi manifatturieri della città, consistenti in una cartiera, due mulini e una gualchiera. Nel corso dell’Ottocento il ramo principale della famiglia, guidato da un altro Luigi (1808-89) – nipote del beneficiario della concessione enfiteutica e nonno del M. –, aveva concentrato la propria attività nell’industria molitoria, acquisendo una serie di mulini posti a poca distanza dalla città e ammodernando uno degli opifici ricevuti in eredità, il cosiddetto Molino di Sotto, i cui impianti erano stati progressivamente adeguati alle migliori tecnologie dell’epoca. Successivi ampliamenti della struttura avevano permesso la creazione di un panificio e di un pastificio. Nel 1885 Luigi aveva introdotto nella sua fabbrica l’illuminazione elettrica e aveva stabilito un collegamento telefonico fra il mulino e la propria abitazione.
All’inizio del XX secolo il M., giunto giovanissimo alla guida dell’azienda di famiglia (e presto affiancato dai fratelli Luigi e Giovanni), riprese e sviluppò alcune delle idee innovative concepite dal nonno; in particolare, nel 1902, decise la trasformazione di uno dei mulini di proprietà, sito a Mozzano, frazione di Ascoli Piceno, in impianto per la produzione di energia elettrica.
Scopo dell’iniziativa era quello di fornire illuminazione alla città e forza motrice alle varie industrie cittadine, fra cui è da menzionare la fabbrica del carburo di calcio, costruita dalla genovese Società industriale italiana nel 1907. Il raggio di azione della ditta Fratelli Merli nel campo della distribuzione dell’energia elettrica si estese progressivamente, nel corso del decennio 1902-12, a tutta la vallata del Tronto a est della città di Ascoli, alla Val Vibrata in provincia di Teramo e a nord, fino a raggiungere le città di Porto San Giorgio e Fermo.
Insieme con la rete elettrica venne sviluppato anche il collegamento telefonico fra i vari centri della provincia di Ascoli, grazie all’azione della Società ascolana dei telefoni, costituita dai Merli insieme con un altro possidente ascolano, V. Marini. Nel 1909 l’attività della ditta Fratelli Merli venne conferita in un’anonima, la Società elettrica del Tronto (SET), dotata di un capitale di 1.700.000 lire e avente il M. quale amministratore delegato. Nel 1912 la SET fu ammessa alla quotazione di Borsa sulle piazze di Milano e Roma; nel 1917 la maggioranza delle sue azioni fu venduta alla Società industriale italiana, che trovava il suo maggiore esponente in ambito locale nell’ingegner G. Tofani e che stava predisponendo un ampio progetto di industrializzazione nell’Ascolano; il M. entrò allora nel consiglio di amministrazione della Industriale italiana. Sempre nel 1917 la tradizionale attività molitoria (ulteriormente ammodernata e potenziata nel corso degli anni) venne conferita in una nuova anonima, la Molini e pastifici, dotata di un capitale sociale di 1.250.000 lire di cui i Merli conservarono il controllo fino al 1921, anno in cui lo cedettero a un gruppo di altri imprenditori ascolani. Il successo delle iniziative imprenditoriali assicurò al M. un posto di rilievo nell’economia cittadina: nel 1912 fu eletto presidente della Banca popolare di Ascoli Piceno, uno dei tre istituti di credito cittadini, e l’anno successivo assunse la carica di presidente della Camera di commercio di Ascoli.
La Popolare di Ascoli si caratterizzava per l’orientamento politico radicale dei suoi soci, in contrapposizione alla Cassa di risparmio, dominata da elementi conservatori, mentre la terza banca, il Piccolo Credito ascolano, era legata agli ambienti della curia vescovile. Nel 1917, sotto la presidenza del M., la Popolare di Ascoli si trasformò da cooperativa in anonima, dotandosi di un capitale di un milione di lire; all’inizio del 1921 l’istituto si fuse con due banche di San Benedetto del Tronto: la Banca di San Benedetto e la Banca agricola e industriale di San Benedetto. Non estranea alla fusione fu la Banca italiana di sconto, che entrò nella nuova anonima, denominata Credito adriatico, con la maggioranza relativa (33%) del capitale sociale, ammontante inizialmente a un milione di lire e successivamente ampliato, nello stesso 1921, a tre milioni.
Il M. divenne presidente del consiglio di amministrazione del Credito adriatico, che aveva una rete di 14 sportelli, sparsi fra le Marche e l’Abruzzo. La caduta della Banca italiana di sconto, alla fine del 1921, costrinse i maggiori soci locali dell’istituto, guidati dal M., a un intervento di salvataggio; in particolare, venne varato un aumento di capitale a 4,5 milioni di lire, sottoscritto in larga parte dai fratelli Merli, che, nel 1923, giunsero a controllare la maggioranza delle azioni della banca. La presenza di questa nelle Marche e in Abruzzo si rafforzò, inoltre, per effetto dell’assorbimento di alcune banche minori, nonché per la conclusione di un accordo con il Banco di Roma che, all’inizio del 1925, conferì nel Credito adriatico la propria rete di filiali nelle Marche e in parte dell’Abruzzo. I Merli cedettero la maggioranza delle azioni della banca all’istituto capitolino, che sottoscrisse un aumento di capitale a 12 milioni. Il M. (che rimase presidente dell’istituto ascolano) divenne anche consigliere di amministrazione del Banco di Roma (carica che conservò fino al 1929).
Sotto la sua guida, il Credito adriatico conobbe un rapido sviluppo territoriale, giungendo a possedere nel 1929 una rete di 60 sportelli sparsi nelle due regioni medio-adriatiche.
Nel 1926 il M., che aveva aderito nel 1924 al Partito nazionale fascista (PNF), divenne podestà di Ascoli (carica che mantenne fino al 1930) e nel 1927 segretario politico provinciale del partito. Nello stesso anno riacquistò dal Banco di Roma la maggioranza delle azioni del Credito adriatico.
Questo deteneva partecipazioni maggioritarie in cinque aziende industriali: la Industriale La Calabria (operante in provincia di Reggio Calabria), la Società forni elettrici ad alta temperatura (avente sede a Novate Milanese), la Società immobiliare corso Buenos Aires (detentrice di immobili a Milano), la Società ceramica adriatica (localizzata a Porto Potenza Picena) e la Terme di Acquasanta (nelle vicinanze di Ascoli). Tali aziende risentirono tutte della grave crisi economica che si manifestò alla fine degli anni Venti, registrando perdite che trovarono riflesso nei conti della banca controllante. Inoltre, all’inizio del 1929, la moratoria dei pagamenti richiesta dalla Società bancaria marchigiana di Ancona pose le basi per una grave crisi di fiducia dei risparmiatori nei confronti degli istituti di credito operanti nelle Marche e in Abruzzo.
Anche il Credito adriatico venne coinvolto nella grande crisi del 1929 e il M. cercò di reagire alle circostanze avverse provando a vendere il pacchetto di maggioranza delle azioni del suo istituto alla Banca nazionale del lavoro (BNL). Il fallimento di questo tentativo lo costrinse ad addivenire, nel giugno 1929, a un accordo assai oneroso con il Banco di Roma, che riassunse il controllo dell’istituto di credito ascolano, ma impose che le partecipazioni azionarie da questo detenute venissero trasferite a una società di nuova costituzione, la Società finanziaria marchigiana, che avrebbe dovuto provvedere al loro risanamento. I fratelli Merli garantirono personalmente le posizioni debitorie via via assunte dalla Finanziaria marchigiana nei confronti del Banco di Roma.
L’incalzare della crisi economica all’inizio degli anni Trenta rese però vani tutti i tentativi di risanamento. Solo l’intervento di salvataggio dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), che nel biennio 1934-35 assunse le partecipazioni industriali riferibili al Banco di Roma – ivi comprese le aziende controllate dalla Finanziaria marchigiana – permise di sollevare i Merli dalla maggior parte dei gravosissimi impegni finanziari assunti.
La crisi manifestatasi nel 1929 segnò dunque la fine della vicenda industriale e finanziaria del M., che concentrò nei decenni successivi i suoi interessi economici nel settore agrario.
Il M. morì ad Ascoli Piceno il 23 maggio 1972.
Fonti e Bibl.: Ascoli Piceno, Archivio della famiglia Merli, bb. 10, 16, 27; si vedano inoltre: Roma, Archivio storico della Banca d’Italia, Vigilanza sulle aziende di credito, nn. 1492, f. 1; 6293, f. 1; Ispettorato generale, n. 224, f. 1; Ispettorato del credito, nn. 28, f. 2; 578, f. 11; Ibid., Archivio storico della Banca Nazionale del Lavoro, Verbali del Comitato esecutivo, reg. 12; Ibid., Archivio storico della Banca di Roma, Banco di Roma, Sez. XIII.III.II, regg. 1-3; ibid., III, reg. 1; XI, 11.10, ff. 30-31; IX, 1, ff. 13, 19; XII, 2, b. 18, f. 24; Ibid., Archivio storico dell’Istituto per la ricostruzione industriale, Numerazione nera, Istituti bancari, Varie, s2.7-fl.3-p1 e p2; Banco di Roma, s2.7-f2.1.1, f2.1.12, f2.1.18, f2.2; G. Di Bello, L’attività della famiglia Merli ed i primi tentativi di industrializzazione nell’Ascolano, in Proposte e ricerche, 1987, n. 19, pp. 174-193; Id., Economia e società nell’Ascolano dal 1860 al 1940, s.l. [ma Ascoli Piceno] 2000, ad indicem.
G. Di Bello